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O stiamo con gli scartati o siamo da scartare

C'è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l'unica salvezza” cantava Giorgio Gaber. E la strada, è l’unica salvezza possibile anche per noi. Chi osserva quel che sta succedendo a livello nazionale (e non solo), un giovane che vorrebbe fare militanza, una persona che vorrebbe votare a sinistra, chiunque sente sulle spalle la necessità di lottare per migliorare questo mondo, per combattere l’ingiustizia e l’emarginazione capitalista, vede tutt’altro. Sempre più appare tutta una questione di segreterie, palazzi, scuderie. C’è chi dice che la sinistra è sparita e le sue ideologie son buone solo per i musei. C’è chi la sinistra la cerca e dice di non trovarla. Perché la cercano e la vogliono confinare nei palazzi e nei luoghi sbagliati. Ma la storia della sinistra non è la storia nauseante, traditrice, meschina, in cachemire e poltronismo, opportunismo e tradimenti che piace a loro. E’ la storia degli oppressi, dei vecchi sindacalisti anarchici, dell’antagonismo di ogni epoca, dei comunisti clandestini, degli impoveriti e dello straccio rosso di Pasolini raccolto dalla polvere e sventolato ad ogni latitudine. Nel 2013 a distanza di poche ore furono assassinati Dax e Rachel Corrie. Un filo rosso li unisce. La lotta contro ogni imperialismo e oppressione. Perché o si è internazionalisti o non si è. La lotta kurda, nel sahara occidentale, palestinese, latinoamericana, di ogni popolo oppresso e resistente è la nostra lotta. La stessa lotta degli scioperi delle mondine dell’Ottocento, dei senzatetto nei latifondi, di chi si è opposto alla bestia nazifascista, degli operai nei primi decenni della rivoluzione del capitalismo industriale. La sinistra dei compromessi, dei salotti romani, dei palazzi di regime, la sinistra che considera più importante l’accordo al ribasso del grido di dolore, di rabbia, di indignazione di chi viene avvelenato, oppresso, assassinato dal profitto, dalle mafie e dal capitalismo non è sinistra.

L’anno scorso mi son permesso di inviare una nota ad alcune compagne e compagni, chiedendo provocatoriamente “Dovremmo gridare sempre più e invece si appare afoni. Perché?” (http://heval.altervista.org/dovremmo-gridare-sempre-piu-e-invece-si-appare-afoni-perche/ ). Attorno a noi le ingiustizie del capitale, la disumana brutalità delle classi dirigenti, il loro sovversivismo, l’aumento dirompente di emarginati, sofferenti, deboli, impoveriti, disoccupati, malati abbandonati, aumentano sempre più. E la “politica” è sempre più egemonizzata da chi agita l’odio sociale tra le classi degli ultimi e dei penultimi, incanalando la rabbia sociale lontana dal “padrone”, e la “lotta di classe dall’alto”. Si oscilla drammaticamente tra il nazionalismo patriottico più osceno e il capitalismo più spietato. Per anni abbiamo, giustamente, denunciato il razzismo e la divisione tra “italiani” e “stranieri”. Le destre e i padroni questa distinzione l’hanno superata, sono andati oltre. Mentre ci distraggono ancora con la propaganda “noi contro loro” ormai stanno schiacciando tutti, stanno livellando tutti verso il basso, sfruttano e disumanizzano tutto e tutti. Le politiche sull’immigrazione o sul lavoro sono solo leve di un’unica precisa strategia. Non per altro all’inizio del 2016 si sono avuti due decreti accoppiati il cui risultato è colpire tutti indiscriminatamente. Chiunque non faccia parte dell’alta e ricca borghesia, chiunque sia “colpevole” di povertà e sia escluso dal mondo dei vip e dei potenti. Hanno praticamente fatto propria e applicata la frase di don Milani sulla patria. Divisa la società di fatto in “diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro” hanno scelto come loro patria i secondi e perseguitano i primi. La sinistra o fa la scelta inversa (ovvero la stessa di don Milani) o stiamo solo perdendo tempo e siamo complici nauseanti dell’altra patria.

Nell’estate in cui la barbarie è stata protagonista, in cui si è perseguitata la solidarietà e l’umanità, si sono anche sdoganate le mafie. Sono mesi che va avanti una campagna stampa e politica che sta di fatto “normalizzando” le mafie, sta facendo passare il concetto che i politici condannati per mafia sono perseguitati, che le mafie ormai non sono un pericolo, che la corruzione c’è ma non è un gran problema, si può sopportare. Ma la realtà è un’altra, la realtà è che oggi le mafie s’insinuano e manovrano ovunque. Le moderne mafie muovono i fili di grandi imprese e pubbliche amministrazioni, decidono le sorti di interi territori (un esempio su tutti, Mammasantissima sul dominio massomafioso in Calabria, sarà un caso che una delle più grandi campagne “innocentiste” si schiera con uno dei capisaldi dell’organizzazione colpita in quest’inchiesta?). Usando un termine apparentemente antico ma, in realtà, mai attuale come ora le mafie sono tra le punte di diamante del “sovversivismo delle classi dirigenti”, del sovversivismo del Capitale.

Si vuol far credere che si deve esaltare Marchionne e detestare il poveraccio che cerca di sopravvivere ai margini delle strade. Quegli impoveriti, quegli emarginati, quei lavoratori rimasti senza lavoro, quei malati a cui i diritti son negati sempre più, quelle migliaia di persone assassinate dal capitalismo criminale delle “terre dei fuochi”, quei popoli sotto il tallone di oppressione, militarismo, guerre e terrorismi, il malessere di coloro che subiscono ingiustizie, l’ipersfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori nelle fabbriche, nei magazzini e nei campi, il massacro dei palestinesi a Gaza, la resistenza kurda che continua ad illuminare il cammino degli oppressi e dei ribelli, la narcoprovincia dell’Impero che è ormai l’Afghanistan, ci chiamano e pretendono di essere la priorità, l’unica vera nostra priorità su tutto e tutti. Senza dimenticare quel che accade sulla sponda sud del Mediterraneo, anche con soldi e politiche italiane ed europee nella Libia dei lager e delle mafie, in America Latina (quanti conoscono la lotta odierna del popolo Mapuche in Argentina e per denunciare la scomparsa di Santiago Maldonado?!). Senza dimenticare mai quel che accade nella nostra Italia, a partire dal mondo del lavoro, e dai campi dove dominano il caporalato e lo sfruttamento più disumano, brutale, bestiale. Come possiamo dormire la notte, come possono le nostre coscienze sentirsi a posto, come possiamo pensare ai riti della “grande politica” quando esiste una realtà come quella del ragusano dove il padrone sfrutta e stupra quotidianamente?

Le politiche degli ultimi anni, che hanno spazzato via i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, che hanno precarizzato ancor di più, l’aumento esponenziale ancora una volta di infortuni (anche gravissimi). Il recente incidente ad un ragazzo impegnato nell’alternanza scuola-lavoro, che stava manovrando un muletto, non può essere derubricato a semplice fatto di cronaca. Racconta tantissimo di come stanno trasformando la scuola e di cosa accade nel mondo del lavoro. Quel mondo che sta vedendo nuovamente in piazza gli operai dell’ILVA, posti da governo e padroni davanti ad un destino che li vedrebbe confinati o alla disoccupazione o ad una precarietà ancora maggiore. Nella fabbrica simbolo a Taranto dell’inquinamento ambientale italiano. Simbolo di una storia industriale, ma non solo, che da decenni devasta e impoverisce i territori per poi farne pagare le conseguenze ai territori stessi, ai lavoratori, alla cittadinanza. Riflettere, agire, costruire un’uscita dalla crisi capitalista ambientale verso un modello di sviluppo diverso, ecologico e di giustizia, eco socialista, dev’essere in cima all’agenda di ogni sinistra che sia tale. Il 1° dicembre 1992, quindi non proprio ieri, Alexander Langer propose di diventare “amici degli scarti”. Riprendendo questa sua profetica intuizione ecologista oggi dobbiamo mettere al centro gli emarginati, gli eclusi, gli scartati appunto, della società. Senza mai accettare, omologarci, lasciarci ingabbiare dai triti e ritriti rituali e dalle meschine dinamiche dei palazzi. Don Lorenzo Milani nella lettera scrisse ad un suo amico, Pipetta, nel 1950 che “tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione”. E, aggiunse, “il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò”. Don Milani, con queste parole, ripudiava ogni potere, ogni dinamica di potere, metteva prima di ogni logica di schieramento o di “amicizia” gli impoveriti, coloro che subiscono ingiustizie. Rifiutava ogni opposizione, per dirla con Pasolini, che accetti di diventare “un potere essa stessa” i cui rappresentanti si comportano “anch’essi come uomini di potere”. E quante volte chi si è definito di sinistra e progressista, persino compagno e comunista, si è comportato come uomo di potere, si è fatto due conti sull’algebra delle convenienze e degli schieramenti, quante volte si è accettato di tradire gli ultimi e non i Pipetta della situazione? E c’è veramente qualcuno che pensa sia accettabile ripetere questa profonda e oscena scelta? In nome della “politica”, delle elezioni, di tattiche e strategie presuntuosamente raffinate si sono accettati compromessi, rapporti, alleanze, sostegni. Sono stati messi in secondo, terzo, quarto, quinto piano verità, pensiero, ideali. Si è considerata la politica non la massima attività dell’agire nella società per quel “movimento reale” che punta ad abolire lo stato di cose presenti, ma il luogo in cui cedere al ribasso, trasformare le proprie idee e ideali in una sorta di baratto con chi fino a ieri disprezzavi e combattevi, delle strategie e delle tattiche per stare nel Palazzo e nel Potere. “Non rinchiuderti nelle tue stanze, rimani amico dei ragazzi di strada” che poi troppo spesso son le stanze delle istituzioni, dei Palazzi, le stanze dei bottoni dove ci si accorda con chi è avversario dei “ragazzi di strada”. E un po’ alla volta lo si è considerato normale, ci si è rassegnati e non si è concepita più altra politica. C’è chi è vissuto in funzione solo di coloro con cui fare compromessi, coloro che si doveva disprezzare. Ricordate il brano de “I Cento Passi” (discutibile per altri aspetti) “vivi nella stessa strada, prendi il caffè nello stesso bar, alla fine ti sembrano come te”, ci si abitua alle loro facce, non ci si accorge più di niente. E i ragazzi di strada, gli ideali, le lotte diventano fastidiosi se non funzionali al sistema, alle elezioni, al programma del Palazzo. Un po’ alla volta ci si rassegna che nulla può cambiare per arrivare alla fine ad adeguarsi e pensare che poi “perché cambiare? Alla fine è tanto carino e utile così”. Ma questa non sarà mai sinistra, non sarà mai lotta politica, non migliorerà mai la vita delle classi più deboli ed emarginate, dei lavoratori e degli oppressi. Tutto questa è subalternità, è complicità con padroni e sfruttatori, con la barbarie e la disumanità, con la distruzione e la devastazione. Il compianto Dino Frisullo ci ricorda che, invece, l’unico filo della lettura del mondo per noi è “mettersi dalle parte delle vittime. Guardare il mondo, anche il nostro, con i loro occhi. Con gli occhi dei profughi, dei discriminati, degli incarcerati, degli affamati”, condividere la loro vita. E quando fai tutto questo le dinamiche di palazzo e del politicismo, le compromissioni e i baratti li senti pesanti come macigni, li respingi nauseato, ferito, dilaniato. Perché ti rendi conto che ogni ideale abbandonato, ogni ingiustizia concordata è una coltellata nel fianco di qualcuno che soffre. E con cui tu stesso dovresti soffrire.

Ribelle, una bellissima parola che troppo spesso si dimentica. Ri-belle, doppiamente bello. Perché nulla è più intenso e bello del rimanere in piedi, dell’avere la schiena dritta, del sognare non omologato e amalgamato a potentati e conformisti. Avere una visione di mondo, costruire un mondo diverso e colorato – rispetto al grigiore dei colletti bianchi e del Capitale – vivere nella strada con chi è fuori dal Palazzo e dalla città dell’elite borghese. Troppo spesso questo sembra oggi mancare. Quel partecipare alle manifestazioni non come un rituale corteo ma per respirare insieme alle compagne e ai compagni un’aria diversa, oserei dire migliore, fatta di sogni e di utopie in cammino, di ribellione e di indignazione, di non arrendersi mai e camminare verso quello che ancora non c’è. Ma è lì, dietro l’orizzonte, riprendendo la più celebre frase di Eduardo Galeano. Le storiche lotte della sinistra, la stessa vita dei movimenti pacifisti, no global, non era fini a se stessi. Non era solo una vertenza continua ma ci restituivano una visione di mondo, un cammino preciso. Quel cammino non è sparito, non è confinato ai solai della storia. Perché le istituzioni finanziarie che denunciavamo vent’anni fa, le guerre e i traffici di armi che denunciavamo e ripudiavamo quindici anni fa (e sinceramente amareggia vedere che tranne i movimenti impegnati sul tema, il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Acerbo e pochi altri tantissimi non si sono neanche accorti del Nobel per la Pace all’ICAN), sono ancora lì. La concentrazione delle ricchezze globali, l’aumento della diseguaglianza ad ogni latitudine aumentano quotidianamente. E la troika che ha massacrato (e continua a massacrare, perché quel che accadeva due anni fa accade ancora) il popolo greco è lo stesso Potere che ha distrutto, devastato e affamato interi Paesi di Africa, America Latina e Asia.

La strada chiama, la strada è l’unica salvezza. E allora l’unica sinistra possibile è una sinistra che restituisca voce e cammini con chi non ha voce e si sente abbandonato, che cammini con gli ultimi, con gli impoveriti, gli oppressi, le vittime di ogni ingiustizia, gli indifesi, si riparta solo e soltanto dalla lotta, da una politica che guardi verso di loro e con loro cammini, combatti, spera. Che restituisce una visione di mondo, che ha il coraggio di sognarlo un mondo migliore, denunciando e lottando. Tutto il resto verrà da solo … perché quando non si perde tempo tra segreterie e palazzi, assemblee blindate e soliti riti stantii, le risposte verranno da sole. E anche quando le intenzioni sono le migliori possibili, non si può neanche per un secondo anche solo apparire di segreteria e di palazzo. Perché comunque si è fallito. Quando si denunciano le guerre e l’aumento delle spese militari non c’è bisogno di porsi domande su certi personaggi in cerca d’autore, quando si lotta accanto ai precari c’è poco da aggiungere su chi ha votato e portato in Italia il precariato più selvaggio, quando si cammina accanto ai popoli oppressi e agli impoveriti di ogni latitudine, quando rivediamo Napoli e Genova 2001, quando ricordiamo chi rappresentò il governo italiano a Seattle nel 1999, chi tradì Ocalan, chi si schierò con le guerre (e partecipò ai tanti aumenti delle spese militari) mentre si tagliavano pensioni, ospedali e tanto altro, non c’è altro da aggiungere. La strada chiama, gli impoveriti, gli ultimi, gli emarginati, l’umanità immersa in tutti i sotterranei della Storia, le vittime delle ingiustizie grandi e piccole quotidiane, chi resiste ai feudalismi clientelari e mafiosi moderni e agli imperialismi di ogni latitudine, indicano l’unica rotta possibile. E in conclusione non posso permettermi di omettere quanto sta succedendo in Abruzzo in queste settimane: la Regione che continua a spendere soldi a pacchi per un pluribocciato project financ per costruire un nuovo ospedale, che li trova prima di subito per ponti sul mare e rimboschimenti di aree incendiate che non dovrebbero neanche essere ipotizzati, che continua a perseguire tagli di ospedali, siamo arrivati persino ai pronto soccorso con colonnina telefonica (tipo SOS autostradali …) e non trova celermente soldi per malattie gravi, autistici, disabili, ipovedenti e ipoudenti. Qua non si garantisce il diritto allo studio, si mandano alunni nelle classi di scuole in larghissima maggioranza pericolose per terremoti e l’assistenza scolastica (sia in aula che nel trasporto) per alcuni non è partita e per chi è partita non si sa fino a quando.

 

Alessio Di Florio

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