A novembre dello scorso anno, i giornali si riempirono della notizia delle dimissioni del Papa. Dapprima si parlò di un’indiscrezione. Poi si fece riferimento a un’affermazione rilasciata durante un’intervista in cui Francesco disse che il suo sarebbe stato un pontificato breve. Poi tutto rientrò. C’è chi intanto pensò che il Papa potesse riferirsi a una malattia, chi invece pensò più semplicemente all’età (a conferma di questo, molti lessero un’altra sua frase: «La scelta di papa Benedetto XVI non deve essere considerata un’eccezione ma una possibilità»).
È passato quasi un anno ed eccoci davanti a un altro polverone. Questa volta un presunto tumore benigno al cervello. Subito smentito dalla Santa Sede, con veemenza. Che succede? I commenti si rincorrono: «un complotto montato ad arte», «l’alzata in volo di uno stormo di neri avvoltoi», «un polverone sollevato con intento manipolatorio».
Che accade? Non siamo esperte vaticaniste, né avvezze ai giochi di potere. Ma capiamo che i gesti inusuali di questo Vescovo che non si riesce a reinserire nei canonici schemi possano creare problemi alla parte più conservatrice di una Chiesa ingessata. Un Papa che come prima visita fuoriporta sceglie Lampedusa, costringendo il mondo a voltare lo sguardo verso il Mediterraneo e la nostra tragedia, richiamando la responsabilità di tutti; che ricorda la Chiesa casa dei poveri e incita affinché si aprano le porte dei conventi ai rifugiati; che afferma che ciò che è diventato luogo di turismo e non di culto deve pagare le tasse; che richiama la Chiesa a occuparsi della famiglia, sottolineando «i troppi no» che essa dice alle donne e uomini divorziati; che si chiede «chi sono io per giudicare un omosessuale che è in ricerca di Dio?»; che scrive un’enciclica politico-sociale dedicata all’ambiente, in cui si punta il dito verso i poteri economici, la noncuranza verso gli ultimi.
Difficile pensare che Francesco non sia scomodo per questo suo modo diretto e schietto, per questa sua familiarità condita dai “buongiorno” e “buon pranzo” che costringe la Chiesa a guardare negli occhi la propria gente e non più dall’alto verso il basso, che ricorda la necessità di misericordia e non di giudizio.
Da un po’ di tempo a questa parte in tante e tanti chiamiamo e scriviamo Francesco, quando ci riferiamo al Papa, usando spesso un tono quasi confidenziale, che ci fa ricordare un gesto semplice, quello che spesso le mamme fanno quando si inchinano per parlare con i propri figli e figlie, per essere alla loro altezza, in prossimità dei loro sguardi, perché la vicinanza, la capacità di entrare in empatia utilizzando linguaggi condivisi e semplici è ciò che dà la possibilità di comprendersi, abbracciarsi, riconoscersi come una famiglia pronta a camminare insieme, imparando gli uni dalle altre, i grandi dai bambini e viceversa. Un gesto rivoluzionario, soprattutto per chi non ha ricordi di un gesto materno e gratuito di misericordia.
Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane