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Pensieri di fine agosto (Buratti Gino)

Questa estate, che sta volgendo lentamente verso la sua conclusione, non mi pare sia stata molto tranquilla, almeno dal punto di vista politico: i rom, le impronte ai bimbi, l'esercito a "garantire" l'ordine pubblico, la demonizzazione di ogni forma di dissenso, la riduzione degli spazi di democrazia, le povertà e le precarietà che aumentano.
Forse è semplicemente il punto di vista da cui si guardano le cose a suscitare in me molti timori e bisogni di chiarezza a sinistra e nel movimento nonviolento, ma credo anche che debba essere fatto uno grosso sforzo culturale per pensare di immaginare relazioni sociali ed economiche diverse.
Sempre più di frequente mi capita di discutere di marginalità, di sicurezza, di immigrati, di clandestini, di vu cumprà, di rom... e non solo con "persone normali", ma anche con politici e con amministratori e sempre di più provo il "fastidio" di avvertire come ormai abbiamo perso la capacità di riconoscere che in quelle categorie sociali, in quelle definizioni per noi così astratte e negative, si celano volti di persone che spesso soffrono.

In questa "ubriacatura culturale" che ci ha contagiati tutti e che ci sposta sempre di più verso una deriva di destra, non siamo più capaci di percepire la sofferenza e la fatica degli altri, così presi dalle nostra fatiche e sofferenze.

Il fastidio e la paura prevalgono sul bisogno di conoscere l'altro, ma il vero dramma è che questa impotenza a costruire relazioni è stata fatta propria anche dalla politica.
Se il vivere di pancia è comprensibile e talvolta auspicabile nelle singole persone, quando questa modalità diventa agire e prassi politica, si paventano rischi tremendi e, soprattutto, si afferma l'incapacità della politica a farsi veicolo di una trasformazione culturale dentro alla quale cercare il consenso.

Non è più la politica che cerca di costruir il consenso su una proposta, ma la politica si dirige dove è sempre più facile conquistare l'opinione pubblica, in un'agenda spesso dettata dai media e dai poteri forti, creando così un ciroclo vizioso che si autoalimenta.
Questo stravolgimento e questa deriva culturale di destra ha contagiato proprio tutti, anche le forze di sinistra e lo stesso mondo cattolico.
Dinanzi a questo risulta ben evidente come sia necessario un salto culturale delle attuali forze politiche progressiste, per proporre un "governo altro" di questa complessità culturale, sociale, internazionale ed economica, che richiede capacità di analisi e ricerca di soluzioni articolate, poiché articolati sono le problematiche e poliedriche le chiavi di lettura delle contraddizioni.
Quando le persone che ci causano fastidio sono "inesistenti", se non per il problema che arrecano a noi, significa che la nostra coscienza critica, come diceva Gaber, è al minimo storico... e forse ancor più sotto.
Quando del Vu Cumprà riesco solo a cogliere nient'altro che il fastidio che mi dà la sua insistenza, e non riesco ad andare oltre a quella percezione (per altro legittima), è ben evidente come io non riesca a percepire che lui è una persona, ancor prima che un Vu Cumprà, che magari è costretto a tutto ciò per riuscire a trovarsi in tasca alla fine di una intera giornata dieci euro; non mi ponga minimamente il bisogno di una qualche relazione con quella sofferenza.

Come diceva l'amica Ilaria nella iniziativa che abbiamo realizzato in Piazza della Stazione a Massa, siamo spaventati dal fatto che diversi rumeni si ritrovino in quella piazza durante il giorno, qualcuno dei quali anche commettendo piccoli reati, ma non ci scandalizza il fatto che alcune persone, tra cui donne in stato di gravidanza, debbano dormire all'aperto in quella piazza.
Non ci scandalizza né ci indigna altro se non quello che avvertiamo come minaccia alle nostre sicurezze quotidiane.

Il dramma che anche politica ha perso la capacità di indignarsi, tranne poi ogni tanto fare altisonanti pellegrinaggi a Barbiana, dove Don Lorenzo Milani ha insegnato agli ultimi di quei tempi a lottare.
Ma chi sono gli ultimi della nostra società?
Non si chiamano forse precari, cassaintegrati, sfruttati, persone costrette a lavorare in nero, a prescindere che sia italiani o stranieri?
Non sono forse anche gli immigrati costretti spesso alla clandestinità da quelle leggi che ci siamo dati a nostra tutela? Non sono forse anche le prostitute, i rom, i senza dimora, i barboni, i lavavetri, gli accattoni, i mendicanti sempre più numerosi...?
Non sono forse tutte le persone che sono costrette a vivere ai margini del nostro sistema, così propenso all'esclusione rispetto invece ai processi inclusivi?
Dinanzi a loro noi, ma di riflesso anche quella politica incapace di proporre un suo modello sociale, siamo solo capaci di allontanarli dai nostri sguardi.
Spazziamo altrove i mendicanti e i lavavetri, allontaniamo dai nostri occhi le prostitute... solo perché la loro vista disturba il decoro delle nostre città, per il governo delle quali rischiamo di essere disposti ad ogni scelta.
Non ci interessa che sempre un numero maggiore di persone debba ricorrere all'elemosina, alle mense dei poveri (a prescindere dalla loro nazionalità), ci interessa che questi non turbino la nostra vita quotidiana e che, possibilmente, non siano stranieri.
Non ci interessa che donne sia sfruttate per il piacere di qualche maschio, ci basta allontanarle dalla vista dei nostri quartieri: colpendo non chi sfrutta, ma semplicemente la vittima.
Il problema non è la condizione di sofferenza degli ultimi, il problema, per noi, sono loro.
La modernità e la crescita devono avere questo prezzo di indifferenza e il bisogno di sentirsi al sicuro nelle fortezze delle proprie certezze?
Crediamo di uscire dalla crisi della politica semplicemente inseguendo quello che le persone ci chiedono...
In tale prospettiva non appare così "assurdamente irreale" la proposta di un prosindaco leghista di cannoneggiare i barconi con cui gli immigrati approdano alle nostre coste. E' solo l'estremizzazione di un pensiero che non riconosce in quei volti delle persone, ma solo delle minacce per noi.
D'altra parte non pensiamo che cacciare un mendicante da una strada, non equivalga, almeno simbolicamente, ad una sua condanna a morte ... se non riesco a farmi carico della sua situazione a prescindere se è italiano o meno, se è clandestino o regolare, se è residente o meno.
Ovviamente in questa dimensione culturale non ci manca l'intelligenza di chiudere un occhio sulle badanti, che qualche fatica ce la risparmiano, magari solo meravigliati da alcune loro richieste (giornata libera, festivi liberi, qualche giorno di ferie per tornare a trovare i figli lasciati nel paese di origine ...), davvero richieste poco riconoscenti ...
In questa ubriacatura collettiva è diventata emergenza nazionale quella dei 250.000 rom che vivono in Italia, tanto che ormai diventa quasi impossibile tentare ragionamenti controcorrente; ma il dramma è che quella emergenza è stata creata appositamente dai media e dalla politica per giustificare un crescendo di chiusura degli spazi di democrazia partecipata.
Nell'immaginario collettivo l'emergenza Rom è più forte di quella della criminalità organizzata, e la politica ha fatto suo questo immaginario collettivo.
Una assenza di capacità di indignarci, tranne pochi settori, che ha fatto passare come un gesto di solidarietà e di attenzione ai minori la proposta di schedare i minori Rom.

In questo clima, nel quale veramente la complessità e la pluralità sono sempre di più messe sotto accusa, risulta altresì preoccupante l'atteggiamento della Chiesa Cattolica, così poco attenta rispetto alla difesa delle diversità e delle pluralità e sempre più preoccupata, non tanto ad arginare questa deriva culturale e di valori, quanto piuttosto a riaffermare un'ortodossia sessuale, canonizzando affetti, sentimenti e passioni.

Forse dovremmo iniziare a porre al centro dell'agenda politica e del progetto cultura che vi sottende, anziché il termine "sicurezza" quello delle "relazioni", che coinvolgono le persone, le istituzioni, le forze politiche, le associazioni di categoria e che si incarnano profondamente nella politica, nella società, nell'economia e nelle religioni.
Saper costruire e pensare una società, un'economia, una politica e una religione ponendo al centro la capacità di mettere in atto relazioni sane tra diversità e pluralità.
Credo che questo potrebbe essere un buon inizio per affrontare la crisi della politica e della rappresentanza.