"Visibilità", "notorietà", "divismo", "spettacolarizzazione". Più il tempo passa, più il linguaggio della politica si impoverisce e si svuota di senso. Non conta più quello che si dice, ma quanto e dove si parla e si appare. All'epoca dei mass-media, la visibilità è sovrana. Non solo nell'universo dello spettacolo, ma anche e soprattutto nel mondo politico. Come se per acquisire credibilità, si dovesse essere presenti ovunque, saturare il dibattito pubblico, pronunciare sempre le stesse formule. Come se bastasse ripetere una bugia cento, mille, un milione di volte, come diceva Joseph Goebbels, perché la menzogna si trasformi magicamente in verità.
Forse è per questo che, pur di essere visibili, sono sempre più numerose le persone disposte a fare qualunque compromesso. Come se la notorietà, di per sè, fosse una garanzia di qualità. Ma cos'è mai questa visibilità di cui, oggi, nessuno sembra più poter fare a meno, soprattutto quando cerca di ottenere delle responsabilità pubbliche?Il concetto di visibilità non è, di per sè, negativo. Al contrario. Nel corso del XX secolo, la lotta per la visibilità è stata una battaglia politica necessaria al riconoscimento di tutti coloro che, per secoli, erano rimasti nell'ombra. Basti pensare alle donne, agli omosessuali, ai malati mentali. A tutti coloro che, anche se per motivi diversi, erano rimasti a lungo "invisibili", vuoi perché relegati nella sfera privata senza aver la possibilità di far ascoltare la propria voce e di rivendicare i propri diritti, vuoi perché messi ai margini di una società che funzionava in base al tristemente celebre precetto "sorvegliare e punire".
Se si analizza la grammatica del potere, ci si rende perfettamente conto che, per secoli, quest'ultimo si è costruito e consolidato proprio grazie all'assenza di visibilità. Il segreto e l'opacità hanno permesso ai sovrani, ai despoti e poi anche agli apparati di partito di abusare del proprio potere, senza che i sudditi o i cittadini potessero esercitare alcuna forma di "vigilanza", come direbbe Locke. L'oscurità ha reso invisibile non solo la verità, ma anche le persone. Ed è stata proprio la persistenza di aree di opacità nell'esercizio del potere pubblico, e quindi di incontrollabilità e di arbitrio, che hanno messo sistematicamente in pericolo le nostre democrazie. Basti pensare alla corruzione, alle malversazioni e al peculato denunciati da Bobbio attraverso il famoso concetto di potere invisibile. È per questo che la lotta per farsi vedere e sentire è diventata un aspetto fondamentale dei movimenti politici e sociali odierni. E che si è progressivamente capito che uscire dall'afasia e battersi per ottenere la visibilità significava lottare per il riconoscimento delle proprie idee e dei propri diritti.
La richiesta di visibilità pubblica è una richiesta di accettazione. Della propria identità, delle proprie differenze, delle proprie specificità. Anche se la rivendicazione di visibilità obbliga a rimettere almeno in parte in discussione la famosa separazione tra la sfera pubblica (visibile) e la sfera privata (invisibile). Come si diceva negli anni '60 e '70, "il privato è pubblico": esiste una continuità tra le due sfere della vita che non si può far finta di ignorare quando ci si batte per l'uguaglianza e la libertà di tutti, senza che per questo il potere abbia il diritto di interferire con le scelte o con i valori individuali di ognuno di noi. Non si tratta di pretendere che le proprie idee e i propri valori siano approvati o condivisi da tutti. Si tratta solo di fare in modo che tutti abbiano il diritto di esprimersi e di rivendicare i propri diritti, senza per questo essere stigmatizzati dall'esclusione.
Ma la visibilità, in questi ultimi anni, è diventata anche e soprattutto altro. Perché si è progressivamente slittati dal piano politico al piano mediatico. Come se l'unico modo di esistere e di essere visibili fosse quello di occupare lo spazio visivo. Essere presenti sempre e comunque, fino alla saturazione dello spazio pubblico. La visibilità, da questo punto di vista, va sempre più di pari passo con la personalizzazione del potere. È il trionfo dell'individualismo spettacolare: "Esisto, sono importante e dovete credere a quello che vi dico, perché ve lo dico alla televisione e ve lo ripeto una, mille e cento volte". Ormai sono coloro che esercitano il potere che cercano la visibilità, e non più coloro su cui il potere si esercita.
Ma attraverso quest'eccesso di visibilità dei potenti non stiamo allora assistendo, paradossalmente, al ritorno dell'opacità e dell'invisibilità dei cittadini? Cosa è veramente visibile, al di là dell'apparenza, dello spettacolo e degli slogan pubblicitari? Più il tempo passa, più la visibilità spettacolare si trasforma in una cortina di fumo che rende invisibili i veri meccanismi del potere.
"La Repubblica" del 30 giugno 2011