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Progetto Homeless a Pisa, tra pubblico e privato sociale

Nato a Pisa 15 anni fa su impulso della Caritas diocesana, il Progetto Homeless rappresenta una vera e propria rete sociale a sostegno delle persone senza fissa dimora. Una buona pratica di integrazione tra pubblico e privato sociale che vede il coinvolgimento di molti soggetti, come Comune di Pisa e Società della Salute, le cooperative sociali Il Simbolo, Il Cerchio e Il Melograno e le associazioni di volontariato Amici della Strada e Ronda della Carità. Grazie al progetto sono attivi un asilo notturno, un centro diurno ed uno sportello d’ascolto che solo nel 2012 hanno intercettato 1600 persone senza fissa dimora. Per saperne di più abbiamo intervistato il responsabile del progetto Alessandro Carta.

Secondo i dati Istat-Fiopsd tra le persone senza fissa dimora sono in aumento i cosiddetti ‘nuovi poveri’, spesso maschi di origine italiana, separati e che hanno perso il lavoro. E così anche a Pisa? Chi sono le persone che si rivolgono a voi?

Sì, il fenomeno delle persone senza dimora nella nostra città rispecchia le tendenze registrate su scala nazionale. Bisogna però dire che gli italiani e i cittadini stranieri aumentano in egual proporzione e che la permanenza delle persone accolte presso i nostri servizi è sempre più di breve periodo. Osserviamo, inoltre, un calo dell’età media soprattutto tra gli immigrati. Quasi la metà delle persone che accogliamo ha soprattutto un bisogno abitativo e oltre un terzo dei percorsi intrapresi parte da urgenze sanitarie. C’è anche un altro dato che ci aiuta a capire come stia evolvendo il quadro complessivo: il 45% degli italiani senza dimora da noi ospitati possiede un reddito da lavoro o da pensione, dunque un potenziale di autonomia – anche se talvolta minimo – su cui far leva nella costruzione di un percorso di accompagnamento che però si rivela insufficiente ad uscire da un circuito di assistenza.

Quali sono quindi i vostri servizi sia rispetto all’emergenza che sul medio-lungo periodo?

I nostri servizi presentano le caratteristiche proprie dei centri di “bassa soglia” sia per quanto concerne l’ospitalità notturna che diurna. Una particolare virtuosità – senz’altro perfettibile – riguarda la gestione delle cosiddette “emergenze sanitarie”, cioè di quei casi in cui si rende necessario seguire la persona dimessa da una degenza con un protocollo ad hoc che vede coinvolta l’Azienda Ospedaliera e il servizio sociale del territorio. A determinare l’esito dei percorsi di uscita dalla marginalità, oggi ancor più che in passato, crediamo contribuisca in modo decisivo il coinvolgimento delle comunità, la capacità inclusiva dei territori, la possibilità di offrire beni relazionali a chi non può essere considerato solo come il terminale di una catena di interventi assistenziali.

Uno dei nodi da affrontare quando si parla di diritti delle persone senza fissa dimora è la cosiddetta ‘residenza fittizia’. Può spiegarci di cosa si tratta?

Con la “residenza fittizia” viene garantito – con forme che variano da Comune a Comune – il diritto all’iscrizione anagrafica. E’ un tema complesso e dibattuto, oggetto nel recente passato anche di una specifica campagna di sensibilizzazione della Fiopsd. Si può facilmente comprendere che si tratta del requisito di base per avviare qualsiasi percorso sociale. Il nostro Comune ha adottato un Disciplinare che prevede la concessione della residenza anagrafica alle persone senza dimora presso la sede legale delle cooperative sociali che gestiscono “Progetto Homeless”. Chi accede a questa opportunità viene inserito in progetto di aiuto articolato in varie azioni e dunque preso in carico dall’assistente sociale del Progetto.

Uno degli aspetti peculiare del vostro progetto è l’integrazione tra servizi e attività di volontariato, penso in particolare all’iniziativa “Volontari di quartiere”…

La sede operativa di Progetto Homeless si trova in una zona centrale della città. Siamo “vicini di casa” di due scuole, di diversi esercizi commerciali, di due circoli ricreativi… Abbiamo quindi pensato che fosse importante dialogare positivamente con queste realtà in modo da essere percepiti non come un problema ma come una risorsa per migliorare la qualità di vita del quartiere. Ci siamo dati l’obiettivo di rendere le persone senza dimora protagoniste nella costruzione di un sistema di relazioni capace di promuovere, in quel territorio, la partecipazione e la cooperazione. I “Volontari di quartiere” sono uno dei frutti di questo percorso, è un gruppo formato da cittadini residenti e da ospiti della struttura che progettano e realizzano insieme una serie di iniziative utili a tutti e preziose per la comunità. Uno strumento per con-vivere e per stimolare comportamenti “prosociali” e, dunque, creare una “reciprocità positiva”.

Newsletter “Pluraliweb” del CESVOT, di aprile 2013