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"La scuola sarà sempre meglio della merda..."

Così rispose un allievo di don Lorenzo Milani ad alcuni borghesi. Da ricordare, per non finire nei nuovi letamai

di Mario Pancera

Un giorno di tanti anni fa, arrivarono a Barbiana alcuni conoscenti di don Lorenzo Milani, i quali parlarono con i suoi giovanissimi allievi. Barbiana è, come ormai tutti sanno, la frazione di Vicchio nel Mugello, dove don Milani fu mandato dai suoi superiori alla fine del 1954: era una evidente punizione, ma quel luogo sperduto è diventato, per merito suo, un esempio d’importanza culturale e sociale senza confini. Oggi si parla tranquillamente di “scuola di Barbiana” e tutti sanno che indica una rivoluzione.
I conoscenti di don Milani – tutti bravi borghesi istruiti - domandarono ai ragazzi che cosa fosse  per loro la scuola. Uno di essi rispose: «Sarà sempre meglio della merda». Don Milani spiegò poi che il ragazzo, prima di essere mandato da lui, doveva «sconcimare la stalla a trentasei mucche». Non ricordo l’anno di questo incontro, ma ricordo bene le frasi. Gli ascoltatori erano intellettuali, che volevano conoscere «i segreti» dell’insegnamento milaniano, e immagino come siano rimasti.
Ci sono ancora oggi ragazzi in condizioni assai simili, e non soltanto sull’Appennino, ma nelle grandi città. Alcuni si rendono conto della differenza tra il lavoro dei loro genitori (ovvero della condizione familiare, modesta o povera, se non misera) e la loro condizione di studenti, altri no. Cioè, i loro genitori sono come quelli del ragazzo toscano: schiacciati dalla vita, ultimi, i quali sperano che almeno i loro figli facciano un po’ di strada pulita. Vogliono che i loro figli studino.

I genitori sono badanti, camerieri, accompagnatori di cani, operai saltuari, portinai, muratori improvvisati, e così via. Spesso vengono da lontano, fuggono dalle guerre del mondo e dalla fame. Le stalle, oggi, hanno tanti nomi. Le strade, la promiscuità, le baraccopoli, i fatiscenti aggregati popolari, la precarietà economica, il mito della droga, dell’azzardo, del crimine sono l’equivalente delle stalle d’un tempo. E questi ragazzi sono l’equivalente dei contadini dell’Appennino di don Milani: non puliscono le stalle dal letame, ma hanno una vita al limite della sussistenza.

Ricordo queste tre cose perché, per le strade e sui mezzi pubblici di Milano, ho visto e vedo centinaia di giovani che, invece di guardarsi attorno o di leggere un libro o un giornale, stanno inebetiti con gli auricolari ad ascoltare le musiche del nostro tempo. Molti di costoro, mi dice un amico che frequenta un doposcuola gratuito per studenti delle scuole medie superiori, non leggono giornali né libri nemmeno in casa; qualcuno è ”obbligato” a leggere un libro dall’insegnante di italiano, ma lo fa di malavoglia e molte volte non lo capisce. Non conoscono l’importanza di pensare. Sono indirizzati alla manovalanza.

Provate ad arrivare da una periferia o dalle Filippine o dall’Egitto e trovarvi davanti «I sepolcri» di Foscolo o l’addio di Didone ad Enea di Virgilio. Dovete farne anche una sinossi (ai miei tempi si diceva “riassunto”) per evitare di avere dei debiti ovvero gli esami. Foscolo è ricordato anche da don Milani, il quale probabilmente mai avrebbe pensato che sarebbe arrivato, tale e quale, fino ad oggi, catapultato nel linguaggio contemporaneo. E la povera Didone? «…E perché deggio, lassa, viver io di più?». Con questa nozione dei “debiti”, inoltre, fin dalla scuola veniamo indotti a pensare al mercato e al denaro; e per di più in termini deprimenti.

I giovani vanno incoraggiati allo studio. I ricchi ci pensano da soli; quelli che ricchi non sono e sembrano destinati alla continua ricerca di un posto di lavoro, vanno aiutati. Di qualsiasi provenienza e religione, sono il nostro prossimo. Idee banalissime, ma soltanto per invitare chi può, chi ha tempo e sente di averne la capacità, a cercare le associazioni di volontari che si occupano dei giovani e a dar loro il meglio di sé. Non un’elemosina, ma un impegno. A Barbiana la scuola si faceva tutti i giorni, anche d’estate, e tutto diventava materia di studio e di dibattito.

Milani era durissimo come maestro Voleva che i ragazzi imparassero soprattutto a leggere, a capire, a esprimersi. Imparare a pensare. Oggi la società è come ieri: vuole servi. Lui voleva che un contadino non si sentisse “diverso” da un cittadino istruito. Insultava coloro che perdevano tempo a leggere i giornali sportivi, accusandoli di fare il gioco di chi li sfruttava. Adesso si va direttamente agli scontri negli stadi. Diceva: per leggere di sport basta conoscere trecento parole; i “padroni” come il dottore, il manager, il farmacista, l’avvocato, il magistrato, il politicante e così via ne conoscono tremila. Così hanno sempre la meglio: «Ogni parola che non conosci è una fregatura in più, è una pedata in più che  avrai nella vita».

Una voce in cortile: E a che serve la scuola?
Seconda voce: Per sfuggire alla schiavitù dei nuovi letamai.

Mario Pancera