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Resoconto della Missione al Campo di Ashraf in Iraq (Marco Peduca)

Dal 19 al 23 novembre una delegazione di cittadini italiani composta dal  Senatore Marco Perduca, Radicali-PD, co-Vicepresidente del senato del  Partito Radicale Nonviolento; Giancarlo Boselli, vice Sindaco di Cuneo;  Antonio Stango, Partito Radicale Nonviolento e Yulia Vassilieva, Nessuno  Tocchi Caino si è recata in visita al campo di Ashraf nella provincia  irachena nord orientale di Diyala.

Motivo della visita dare seguito alla dichiarazione sottoscritta nel mese di  settembre da oltre 460 parlamentari italiani di tutti i gruppi che, oltre a  chiedere la cancellazione dell'orgnaizzazione dei mujaidin del popolo  iraniano dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell'Unione europea,  esprimeva preoccupazione circa la sicurezza dei residenti del campo di  Ashraf. Il dottor Boselli ha anche consegnato l'atto con cui il Comune di  Cuneo ha dichiarato Ashraf sorella nella resistenza.

 La visita, non ufficiale, era stata sconsigliata dalla Farnesina per motivi  di sicurezza. Infatti, nelle settimane in cui il Governo iracheno di Al  Maliki era intento a portare a termine i negoziati con l'Amministrazione  Bush circa il ritiro progressivo delle truppe USA dal paese, la questione di  Ashraf era più volte entrata nel diagolo tra le parti come nota dolente del  rapido ritiro delle truppe statunitensi anche da zone non urbane.
 Ashraf, nominata in onore di Ashraf Rajavi, una delle prime vittime del  regime iraniano negli anni Ottanta (le vittime sono chiamate martiri dai  mujaidin) è un ex campo profughi sviluppatosi in città dove dal 1984 sono  ospitati iraniani membri della resistenza persiana i quali, dopo aver  partecipato alla rivoluzione contro lo Scià, per contrasti circa la  direzione del regime Komeinista, sono stati al centro di persecuzioni,  arresti sommari, torture ed esecuzioni extragiudiziali perché ritenuti  colpevoli di attività contro-rivoluzionarie. Per una ventina di anni i  mujaidin hanno partecipato ad incursioni militari prima a fianco  dell'esercito iracheno durante la sanguinosa guerra che ha contrapposto Iran  e Iraq per tutti gli anni Ottanta, e successivamente contro i pasdaran su  suolo iraniano. Tanto nelle prima, 1991, quanto nella seconda guerra del  golfo, 2003, il campo di Ashraf è stato bombardato dagli americani (50 le  vittime di cinque anni fa).
 A seguito del primo conflitto in Iraq, i mujaidin hanno deciso di  riorganizzarsi al proprio interno facendo evaquare i bambini e di fatto  proibendo qualsiasi tipo di vita famigliare all'interno del campo perché  possibile impedimento a emergenze dovute all'irrompere di un conflitto  armato. Da allora infatti, i 36 kilometri quadrati di Ashraf son divisi in  varie unità dove volontari uomini e donne vivono separatamente su un  modello socio-economico molto simile ai kibbutz israeliani degli anni  Sessanta dove non esiste proprietà privata e danaro, e dove la vita è  organizzata intorno al lavoro nelle officine, nei campi, nelle scuole e  nell'addestramento alle varie necessità della resistenza. Nei giorni di  presenza ad Ashraf, dopo una cerimonia pubblica di benvenuto, sono state  organizzate visite alle unità manifatturiere, agrarie, scolastiche nonché  al museo della resistenza. Inoltre è stato possibile approfondire vari  aspetti del lavoro dei mujaidin  ascoltare decinie di storie di torture e persecuzione nonché affrontare la  situazione politica più generale tanto in Iraq che in Iran con la loro  leadership.
 A seguito della consegna, avvenuta nell'estate del 2003, di tutti gli  armamenti alle truppe della coalizione internazionale, ad Ashraf non ci sono  più armi. Da quel giorno gli americani considerano i mujaidin come  rifugiati il cui status è regolato dalla quarta convenzione di Ginevra  poiché impossibilitati a rientrare nel loro paese, l'Iran, dove non  sarebbero al sicuro.
 Con un imponente mobilitazione infatti, all'inizio dell'estate di  quell'anno, i mujaidin hanno consegnato quasi tremila equipaggiamenti  armati, tra carri armati, contraeree a armi di vario tipo nonché quintali  di munizioni. In cambio gli americani si sono impegnati a garantire la  sicurezza dei residenti di Ashraf stabilendo un battaglione di 500 fanti nel  lato settentrionale della città, Camp Grizzly, oggi sotto il controllo del  generale Ray Odierno. Inoltre gli americani hanno imposto una zona di  protezione dove per un raggio di cinque kilometri non è consentita la  presenza, ma solo il transito, a truppe irachene. Vista la vicinanza col  confine iraniano, circa un'ottantina di kilometri, il comando statunitense  ha anche costruito una base aerea. Un accordo tra i mujaidin e il comando  USA non consente, salvo richiesta formale di ingresso o invito da parte del  segretario generale dei mujaidin, una presenza di militari americani nel  campo (che i  residenti chiamano città). Chiunque desideri visitare Ashraf, salvo coloro  che sono invitati direttamente dai mujaidin, deve passare attraverso un  doppio meticoloso controllo tanto dei mujaidin che degli americani, che  gestiscono un posto all'ingresso del campo.
 Ashraf è pressoché autosufficiente per quanto riguarda la costruzione di  infrastrutture e il lato agro-alimentare, ma dipende dall'esterno per quanto  riguarda l'acqua e la benzina in particolare. Dal 2003 molta della  strumentazione meccanica a scopo bellico sono stati convertiti per la  costruzione di una serie di strumenti che oggi servono per fabbricare  caravan o pannelli per l'assmblaggio, che avviene sempre in loco, di  immobili prefabbricati a varia destinazione d'uso. Poiché i residenti non  hanno il permesso di lasciare il campo, i rapporti cogli iracheni vengono  tenuti da intermediari arabi che, in cambio, oltre che ricevere laute  parcelle, possono anche usufruire delle strutture ospedaliere del campo e  della disponibilità di farmaci generici messi a loro disposizione  gratuitamente.
 Come detto, poco prima dell'arrivo della delegazione, il governo iracheno  aveva firmato un memorandum cogli americani in cui si chiariscono le tappe  del ritiro dei militare USA dall'iraq. Se la data finale della partenze di  tutto il contigente delle forze americane in Iraq è previsto per il 2011,  già dal dicembre dell'anno in corso dovrebbe aver inizio il ritiro dalle  città.
 I mujaidin non sono stati coinvolti nel processo negoziale che ha portato a  questa decisione e hanno appreso dalla stampa dell'esistenza del calendario  per il ritiro nel momento in cui è diventata di dominio pubblico la notizia  della firma da parte di Al Maliki del memorandum. In aggiunta alla mancata  partecipazione alla definizione dell'accordo, i mujaidin sono al centro di  una serie di attacchi, tanto fisici quanto mediatici, portati avanti dalle  fazioni sciite che compongono la coalizione che sostiene l'attuale governo.  Non solo, nell'ultimo anno, un paio di mujaidin che hanno lasciato il campo  per approvigionamenti sono stati uccisi e anche molti degli intermediari  arabi sono al centro di minacce e attacchi fisici; in tutto una ventina di  iracheni associabili ad Ashraf sono stati ammazzati negli ultimi tempi.  Secondo le valutazioni dei mujaidin si tratterebbe di attacchi portati  avanti per conto di Teheran da parte di truppe paramilitari che  agiscono in tutto il paese per mantenerlo instabile, azioni che divengono  particolarmente cruenti quando si tratta di vendicarsi contro i mujaidin.
 A completare questo quadro di terra bruciata intorno ad Ashraf, dal giugno  scorso esiste, mai smentita, una dichiarazione pubblica di Al Maliki,  successivamente rielaborata e codificata in un documento ancora pubblicato  sul sito del suo portavoce, in cui si annuncia che presto il governo  iracheno, di concerto con la Croce Rossa internazionale, espellerà i  mujaidin perché li ritiene un'organizzazione terroristica talmente  pericolosa che chiunque venga sorpreso a portar avanti attività assieme a  loro è sottoponibile alla legge anti-terrorismo che, tra le altre cose,  prevede l'arresto immediato. Donde l'allarme della Farnesina.
 Malgrado questa crescente campagna anti-mujaidin, il sentimento delle  popolazioni che vivono nella provincia di Diyala è di segno diametralmente  opposto. Il primo giorno della visita della delegazione italiana. si è  tenuto infatti un lungo e partecipato incontro tra i membri della  delegazione e una ventina tra sceicchi, capi tribù e responsabili di  organizzazioni dei diritti delle donne presso una delle sale conferenze di  Ashraf. Non solo tutti i partecipanti hanno manifestato grandi  preoccupazioni per le sorti dei residenti di Ashraf se e quando gli  americani lasceranno il campo, ma anche per il proprio futuro visto il ruolo  che il campo svolge, dal punto di vista della fornitura di servizi sanitari  e la vicinanza che caratterizza le varie comunità. A sostegno di questa  simpatia, all'inizio dell'anno sono state raccolte oltre cinque milioni di  firme di cittadini iracheni in calce a una dichiarazione di benvenuto nei  confronti dei mujaidin (la  dichiarazione è scolpita in un monumento all'ingresso del campo). La  vicinanza coi mujiaidin è particolarmente sentita tra i sunniti e tutti  coloro che ritengono sempre più pervasiva l'influenza, se non la presenza,  degli iraniani in iraq. Le denunce raccolta in occasione dell'incontro cogli  iracheni indicano gli iraniani intenti a fomentare le divisioni religiose  per provoare instabilità, attribuendo l'origine dei disordini a gruppi di  fondamentalisti da gestire col pugno di ferro e di concerto con Teheran.
 Con questo contesto circostante, appare quindi più che probabile che, una  volta che le truppe americane dovessero smobilitare, la sicurezza dei  residenti di Ashraf, ma anche delle zone circostanti, non potrebbe essere  garantita da un esercito iracheno guidato dagli ordini di Baghadad sempre  più alla mercede del regime di Teheran. I mujaidin, che tramite la loro  diaspora in europa sono principalmente impegnati nella richiesta della  cancellazione del loro gruppo dalla lista delle organizzazioni terroristiche  (un'iscrizione che paradossalmente non prevede nomi di responsabili contro  cui si possano eseguire le sanzioni previste da tale decisione e contro la  quale si sono già pronunciate corti nazionali e internazionali) ritengono  comunque che la cancellazione dalla lista e la sicurezza ad Ashraf debbano  andare di pari passo proprio perché la prima incide strutturalmente sulla  seconda.
 Nelle prossime settimane dovrebbero tenersi degli incontri tra la leadership  dei mujaidin ad Ashraf e alcuni generali USA per approfondire i termini  della questione e meglio comprendere quali siano le vere intenzioni degli  americani relativamente al mantenimento di Camp Grizzly nella proinvincia di  Diyala, allo stesso tempo, sempre tramite gli americani, verrà sondato il  Presidente Al Maliki circa la dichiarazione che in sei punti stabilisce  l'espulsione dei mujaidin dall'Iraq e pone una serie ipoteca in termini di  generali di sicurezza, anche per il presente, a tutti coloro che hanno  rapporti con loro.
 Appare quindi urgente che si aumentino su più fronti le pressioni affinché  la questione venga affrontata nel suo nodo politico della cancellazione  dalla lista delle organizzazioni terroristiche e, conseguentemente, si  provveda alla sicurezza dei residenti di Ashraf come previsto dalla quarta  convenzione di Ginevra. In questo contesto sarebbe di grande importanza, e  non solo simbolica, l'adozione di documenti parlamentari che formalmente  facciano proprie le summenzionate preoccupazioni e indirizzino i governi  verso un sostegno deciso nei confronti delle richieste umanitarie e di  affermazione della legalità internazionale.