In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Carla Biavati, pubblicata su "Voci e volti della nonviolenza", n. 239 del 1 ottobre 2008.
Quando devo parlare dell'impegno sociale dei giovani di tutto il mondo, le prime immagini che mi vengono alla mente sono quelle di gruppi di ragazze e ragazzi infangati e infagottati in eskimo e stivali di gomma che scavano all'interno di antiche stanze di irriconoscibili musei a Firenze, subito dopo l'alluvione.
Ed è emblematico del mio immaginario, che prima di tutte le immagini e le indimenticabili processioni di visi amici incontrate negli anni nelle zone di conflitto in cui siamo intervenuti, prima mi appaiano quelle di Firenze dove io - troppo piccola - non ho potuto essere.
Ma è su quelle fotografie di una alluvione devastante, che si è formato il mio desiderio di partecipare. Vedere giovani di tutto il mondo chini su antichi libri che con gesti accurati e sensibili raccoglievano e catalogavano e ripulivano quelle pagine per loro e per me e per tutti così preziose, mi faceva invidiare il loro compito, il loro impegno.
Da allora, dopo almeno 25 anni di presenza in luoghi di conflitto, mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se non avessi ricevuto un imput così forte da quella visione, ripetuta su tutti i media nazionali, di carovane di giovani arrivate a Firenze per aiutare i cittadini a recuperare dal fango il loro tesoro culturale, memoria dell'intera umanità.
Oggi mi pongo il problema del messaggio che altrettanti giovani ricevono dai media, dalle nuove tecnologie e dalla pubblicità sempre più aggressiva.
Cosa rimane del messaggio di cittadinanza responsabile e di impegno civico che ho ricevuto così forte e chiaro trent'anni or sono? Quali sono oggi i messaggi che vengono forniti ai giovani per stimolarne l'impegno nella società?
Prima di rispondere cercherò di osservare la situazione generale del nostro paese dal punto di vista dell'attivismo civico per poi tentare di fare ipotesi sulle tendenze e gli sviluppi dell'impegno dei giovani.
Quando leggiamo i dati statistici sulla composizione sociale ed economica delle famiglie italiane, scopriamo che nel nostro "Bel Paese" povertà e diseguaglianza sono sempre molto alte e che l'Italia si colloca insieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia, nel gruppo dei paesi con più alta diseguaglianza interna. Questi dati testimoniano come la forbice tra ricchezza e povertà vada via via aumentando anche in Italia come nel nord e nel sud del mondo.
Inoltre i dati indicano che se nel 1990 c'erano nel mondo 1.250 milioni di persone in condizioni di povertà estrema, nel 2005 sono ancora 980 milioni, e sembrerebbe confortante se non vedessimo che allo stesso tempo il consumo dei più poveri è crollato dal 4,6 al 3,9% del totale dei consumi.
La povertà stagnante nel sud del mondo e la crescente povertà nei paesi occidentali palesano una condizione allarmante di urgenza planetaria a cui però i giovani cittadini italiani dimostrano sorprendentemente di saper rispondere con grandi numeri di partecipazione.
Anche se le le condizioni di grave stagnazione economica nel nostro paese fanno ricorrere ampiamente alla delega in favore delle istituzioni e ancor più delle ong che continuano a godere di una grande credibilità e fiducia presso l'opinione pubblica giovanile italiana, i giovani, o meglio le loro associazioni responsabili e impegnate nell'aiuto nazionale e internazionale, rivolgono una pressante richiesta alle istituzioni pubbliche italiane, e principalmente al governo, per un impegno più deciso nella solidarietà verso le povertà nel mondo, attraverso un incremento dei fondi destinati alla cooperazione e allo sviluppo, da veicolarsi tramite le agenzie delle Nazioni Unite ed i progetti promossi dalle ong, ma unitamente chiedono anche una revisione dei parametri di accreditamento e del concetto stesso di cooperazione internazionale (come emerso dai documenti espressi negli Stati generali della cooperazione l'ottobre scorso a Roma che però pur se recepiti dai ministri preposti rimangono ad oggi inattuati).
Inoltre si conferma da parte dei giovani più impegnati nel dialogo con le istituzioni una strategicità a lungo termine, coerente con i fini delle nonviolenza, che chiede una riduzione delle spese per gli armamenti e per le politiche militari, a favore di quelle che vengono percepite come le grandi emergenze attuali: dalla fame nel mondo alle guerre dimenticate, dalla disoccupazione alla violenza urbana, dalla pace alla convivenza per tutti.
Scopriamo così che nonostante il progressivo impoverimento, i giovani italiani rispondono ancora con marcata partecipazione ad agire sostanzialmente per la strutturazione di interventi che aiutino a risolvere i conflitti e ad occuparsi dei civili.
Di più, parlando e contattando svariate organizzazioni in cui il personale è composto in gran numero da giovani, ho trovato una diversa connotazione della "partecipazione". Infatti, per i problemi interni e locali ci si muove in modo ancora massicciamente volontario, per esempio il lavoro di attivissimi comitati regionali, contro sfruttamenti, discriminazioni e criminalità è percepito totalmente come dovere civile e quindi gratuito da parte dei giovani attivisti, mentre per i progetti di aiuto all'estero, si condiziona spesso l'intervento alla ricerca dei finanziamenti necessari. E la partecipazione è tendenzialmente sempre più professionale.
Ovviamente, la percezione del più alto rischio e di insormontabili difficoltà burocratiche nelle pratiche di accesso, in teatri di conflitto internazionali sempre più distanti dal luogo di origine dei volontari, ha bloccato di molto la massiccia partecipazione dei giovani a imprese di interposizione ed aiuto in paesi come l'Afghanistan, la Birmania, il Tibet, il sud del Sudan (Darfur), ecc.; a differenza degli interventi di massa attuati anni prima dai nostri gruppi in Bosnia, in Kossovo ed in Palestina e Israele.
Ma non solo.
Negli anni vi è stata una costante ricerca di interventi sempre più mirati ed approfonditi, ed il tesoro di accadimenti e testimonianze scaturiti dalle nostre prime imprese si è trasformato in una ricerca di approfondimento sulle ragioni dei conflitti e degli scenari mondiali complessi, che ha portato molti di noi a strutturare corsi di laurea, masters, training, summer schools e quant'altro per abilitare i giovani interessati ad intervenire in modo mirato ed esaustivo nello scacchiere dei conflitti sociali di questo secondo millennio.
Ma è su quelle fotografie di una alluvione devastante, che si è formato il mio desiderio di partecipare. Vedere giovani di tutto il mondo chini su antichi libri che con gesti accurati e sensibili raccoglievano e catalogavano e ripulivano quelle pagine per loro e per me e per tutti così preziose, mi faceva invidiare il loro compito, il loro impegno.
Da allora, dopo almeno 25 anni di presenza in luoghi di conflitto, mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se non avessi ricevuto un imput così forte da quella visione, ripetuta su tutti i media nazionali, di carovane di giovani arrivate a Firenze per aiutare i cittadini a recuperare dal fango il loro tesoro culturale, memoria dell'intera umanità.
Oggi mi pongo il problema del messaggio che altrettanti giovani ricevono dai media, dalle nuove tecnologie e dalla pubblicità sempre più aggressiva.
Cosa rimane del messaggio di cittadinanza responsabile e di impegno civico che ho ricevuto così forte e chiaro trent'anni or sono? Quali sono oggi i messaggi che vengono forniti ai giovani per stimolarne l'impegno nella società?
Prima di rispondere cercherò di osservare la situazione generale del nostro paese dal punto di vista dell'attivismo civico per poi tentare di fare ipotesi sulle tendenze e gli sviluppi dell'impegno dei giovani.
Quando leggiamo i dati statistici sulla composizione sociale ed economica delle famiglie italiane, scopriamo che nel nostro "Bel Paese" povertà e diseguaglianza sono sempre molto alte e che l'Italia si colloca insieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia, nel gruppo dei paesi con più alta diseguaglianza interna. Questi dati testimoniano come la forbice tra ricchezza e povertà vada via via aumentando anche in Italia come nel nord e nel sud del mondo.
Inoltre i dati indicano che se nel 1990 c'erano nel mondo 1.250 milioni di persone in condizioni di povertà estrema, nel 2005 sono ancora 980 milioni, e sembrerebbe confortante se non vedessimo che allo stesso tempo il consumo dei più poveri è crollato dal 4,6 al 3,9% del totale dei consumi.
La povertà stagnante nel sud del mondo e la crescente povertà nei paesi occidentali palesano una condizione allarmante di urgenza planetaria a cui però i giovani cittadini italiani dimostrano sorprendentemente di saper rispondere con grandi numeri di partecipazione.
Anche se le le condizioni di grave stagnazione economica nel nostro paese fanno ricorrere ampiamente alla delega in favore delle istituzioni e ancor più delle ong che continuano a godere di una grande credibilità e fiducia presso l'opinione pubblica giovanile italiana, i giovani, o meglio le loro associazioni responsabili e impegnate nell'aiuto nazionale e internazionale, rivolgono una pressante richiesta alle istituzioni pubbliche italiane, e principalmente al governo, per un impegno più deciso nella solidarietà verso le povertà nel mondo, attraverso un incremento dei fondi destinati alla cooperazione e allo sviluppo, da veicolarsi tramite le agenzie delle Nazioni Unite ed i progetti promossi dalle ong, ma unitamente chiedono anche una revisione dei parametri di accreditamento e del concetto stesso di cooperazione internazionale (come emerso dai documenti espressi negli Stati generali della cooperazione l'ottobre scorso a Roma che però pur se recepiti dai ministri preposti rimangono ad oggi inattuati).
Inoltre si conferma da parte dei giovani più impegnati nel dialogo con le istituzioni una strategicità a lungo termine, coerente con i fini delle nonviolenza, che chiede una riduzione delle spese per gli armamenti e per le politiche militari, a favore di quelle che vengono percepite come le grandi emergenze attuali: dalla fame nel mondo alle guerre dimenticate, dalla disoccupazione alla violenza urbana, dalla pace alla convivenza per tutti.
Scopriamo così che nonostante il progressivo impoverimento, i giovani italiani rispondono ancora con marcata partecipazione ad agire sostanzialmente per la strutturazione di interventi che aiutino a risolvere i conflitti e ad occuparsi dei civili.
Di più, parlando e contattando svariate organizzazioni in cui il personale è composto in gran numero da giovani, ho trovato una diversa connotazione della "partecipazione". Infatti, per i problemi interni e locali ci si muove in modo ancora massicciamente volontario, per esempio il lavoro di attivissimi comitati regionali, contro sfruttamenti, discriminazioni e criminalità è percepito totalmente come dovere civile e quindi gratuito da parte dei giovani attivisti, mentre per i progetti di aiuto all'estero, si condiziona spesso l'intervento alla ricerca dei finanziamenti necessari. E la partecipazione è tendenzialmente sempre più professionale.
Ovviamente, la percezione del più alto rischio e di insormontabili difficoltà burocratiche nelle pratiche di accesso, in teatri di conflitto internazionali sempre più distanti dal luogo di origine dei volontari, ha bloccato di molto la massiccia partecipazione dei giovani a imprese di interposizione ed aiuto in paesi come l'Afghanistan, la Birmania, il Tibet, il sud del Sudan (Darfur), ecc.; a differenza degli interventi di massa attuati anni prima dai nostri gruppi in Bosnia, in Kossovo ed in Palestina e Israele.
Ma non solo.
Negli anni vi è stata una costante ricerca di interventi sempre più mirati ed approfonditi, ed il tesoro di accadimenti e testimonianze scaturiti dalle nostre prime imprese si è trasformato in una ricerca di approfondimento sulle ragioni dei conflitti e degli scenari mondiali complessi, che ha portato molti di noi a strutturare corsi di laurea, masters, training, summer schools e quant'altro per abilitare i giovani interessati ad intervenire in modo mirato ed esaustivo nello scacchiere dei conflitti sociali di questo secondo millennio.
A questo punto, però, desidero ritornare all'immagine iniziale dell'intervento internazionale a Firenze per interrogarmi sulla capacità di conservare il valore di quell'evento e sul permanere dello slancio solidaristico e gratuito di quei giorni nelle risposte dei giovani di oggi, che vivono in una civiltà commerciale dove il modello supremo sono i consumi e, soprattutto, il potere che hanno nel determinare la ricchezza e quindi il "valore" di ogni persona.
Come aprire un dialogo sulla responsabilità civile con le nuove generazioni? Esaminando nuovamente i dati, vediamo che per i problemi sociali interni, continua vivo il contributo volontario e che associazioni spontanee come per esempio "No pzzo" a Palermo nascono trasversali alla professione o al lavoro dei partecipanti e si irradiano capillarmente nel tessuto sociale di tutta la città.
Mentre la partecipazione è meno fisica e meno massiccia per i conflitti all'estero che vedono però una grande partecipazione dei giovani nella diffusione di notizie, appelli e report sul web.
Oggi grazie anche alle reti, i giovani privilegiano il dialogo con le associazioni locali e un più approfondito contatto con le realtà civili organizzate che sostengono queste lotte interne per il cambiamento sociale.
Inoltre informandosi ed informando scrupolosamente sulla storia e sugli eventi dei paesi in conflitto o con emergenti macroproblemi sociali, si creano nuove reti indipendenti di comunicazione globale.
Come aprire un dialogo sulla responsabilità civile con le nuove generazioni? Esaminando nuovamente i dati, vediamo che per i problemi sociali interni, continua vivo il contributo volontario e che associazioni spontanee come per esempio "No pzzo" a Palermo nascono trasversali alla professione o al lavoro dei partecipanti e si irradiano capillarmente nel tessuto sociale di tutta la città.
Mentre la partecipazione è meno fisica e meno massiccia per i conflitti all'estero che vedono però una grande partecipazione dei giovani nella diffusione di notizie, appelli e report sul web.
Oggi grazie anche alle reti, i giovani privilegiano il dialogo con le associazioni locali e un più approfondito contatto con le realtà civili organizzate che sostengono queste lotte interne per il cambiamento sociale.
Inoltre informandosi ed informando scrupolosamente sulla storia e sugli eventi dei paesi in conflitto o con emergenti macroproblemi sociali, si creano nuove reti indipendenti di comunicazione globale.
Col richiamo alla riscossa civica, per esprimere il proprio impegno e le proprie convinzioni, che sono ancora vivi e presenti in questa società, ed esaminando le esperienze fatte in alcuni paesi da me visitati (Balcani, Giordania, Palestina-Israele ecc..), dico che esiste una concreta globalizzazione delle strategie di risposta nonviolenta in molti paesi in conflitto e non, e anche se l'espressione della società civile è meno veemente che negli anni '70 e '80 nei paesi cosiddetti occidentali, il registro cambia completamente quando si osserva l'impegno civile nei paesi asiatici, in Africa, nel Caucaso ed in Medioriente.
I giovani attivisti di questi paesi sono (mediamente) molto informati sulle strategie nonviolente e chiamano a raccolta i giovani del resto del mondo su iniziative sempre più mirate e precise.
Un esempio fra tutti e l'impegno in Palestina-Israele di movimenti locali nella "Grassroot nonviolent resistence" dove l'aiuto internazionale è richiesto ed auspicato ma in riferimento ad una propria organizzazione e strategia concordata tramite un forum misto di associazioni israeliane e palestinesi e poi illustrata a quelle internazionali.
Un ulteriore esempio sono le reti informatiche per l'approfondimento e la strutturazione di metodologie ed azioni dirette di nonviolenza attiva come "Lahonf" per il Medioriente, che è attiva e promuove già da anni la settimana per la nonviolenza in Iraq, ed anche training tematici in Giordania, Kurdistan e Libano. E che adesso si allarga alla partecipazione delle associazioni di donne costruendo ponti e dialogo tra reti europee e reti mediorientali, per organizzare e favorire un importante incremento della presenza sociale femminile nelle strategie e nelle azioni per un cambiamento del ruolo delle donne nelle società in cui intervengono.
I giovani attivisti di questi paesi sono (mediamente) molto informati sulle strategie nonviolente e chiamano a raccolta i giovani del resto del mondo su iniziative sempre più mirate e precise.
Un esempio fra tutti e l'impegno in Palestina-Israele di movimenti locali nella "Grassroot nonviolent resistence" dove l'aiuto internazionale è richiesto ed auspicato ma in riferimento ad una propria organizzazione e strategia concordata tramite un forum misto di associazioni israeliane e palestinesi e poi illustrata a quelle internazionali.
Un ulteriore esempio sono le reti informatiche per l'approfondimento e la strutturazione di metodologie ed azioni dirette di nonviolenza attiva come "Lahonf" per il Medioriente, che è attiva e promuove già da anni la settimana per la nonviolenza in Iraq, ed anche training tematici in Giordania, Kurdistan e Libano. E che adesso si allarga alla partecipazione delle associazioni di donne costruendo ponti e dialogo tra reti europee e reti mediorientali, per organizzare e favorire un importante incremento della presenza sociale femminile nelle strategie e nelle azioni per un cambiamento del ruolo delle donne nelle società in cui intervengono.
Per concludere con le attivissime reti di auto-aiuto sociale costruite dalle donne in Africa. (il movimento "Societè civile" da noi incontrato nel nord Kivu in Congo). Dove il ruolo sociale femminile sta rivoluzionando le società interne e paradossalmente aiuta anche noi donne cosiddette emancipate a riscoprire i temi e i valori per cui le nostre nonne e madri hanno combattuto, e che sono stati (secondo me) troppo presto demonizzati o peggio ridicolizzati dalle nostre stesse culture impedendo alle ragazze di oggi di conservarne una corretta memoria storica ed un'esaustiva coscienza critica.
Potrei continuare con un elenco lunghissimo di interventi e associazioni di tutto il mondo, mentre a me preme soltanto portare la testimonianza di queste miriadi di realtà locali che se valutate attentamente nel loro insieme divengono tendenze globali, capaci di cambiare da un piccolo punto di vista molto localizzato il carattere di interi continenti.
Potrei continuare con un elenco lunghissimo di interventi e associazioni di tutto il mondo, mentre a me preme soltanto portare la testimonianza di queste miriadi di realtà locali che se valutate attentamente nel loro insieme divengono tendenze globali, capaci di cambiare da un piccolo punto di vista molto localizzato il carattere di interi continenti.
Infatti è proprio su questa caratteristica di locale-globale che desidero porre le conclusioni di questo mio excursus.
Per terminare con alcuni punti concreti e costruttivi indico:
1) La considerazione che tramite la costruzione di reti informatiche indipendenti, sempre più capaci di fornire dati organizzati e consultabili, insieme ad elenchi tematici e ricerche approfondite per paesi e situazioni sulle realtà del mondo si possa riuscire a collegare il locale con il globale.
2) La necessità di veicolare le esperienze e la professionalità acquisita negli anni dai volontari in ambiti accademici, scolastici e di dibattito pubblico, oltre che sul campo, attraverso un dialogo con le istituzioni, le fondazioni e i finanziamenti privati, per finalizzare i fondi raccolti alla realizzazione concreta di progetti sul campo.
3) La costruzione di un linguaggio e di strategie comuni di intervento che aiutino a creare una coesione reale tra le tantissime microrealtà associative, capaci di mobilitarle tutte e tutte insieme su di una lotta precisa, e cioè di creare grandi spazi di mobilitazione generale sui temi più urgenti in cui è necessario intervenire.
4) La necessità ultima è quella di traslare il dialogo tra persone in movimento e massa critica partendo proprio dai giovani a cui rivolgere in modo onesto e trasparente tutta la nostra capacità ed esperienza, testimoniando il nostro percorso etico più radicato, in azioni traducibili e replicabili.
Per terminare con alcuni punti concreti e costruttivi indico:
1) La considerazione che tramite la costruzione di reti informatiche indipendenti, sempre più capaci di fornire dati organizzati e consultabili, insieme ad elenchi tematici e ricerche approfondite per paesi e situazioni sulle realtà del mondo si possa riuscire a collegare il locale con il globale.
2) La necessità di veicolare le esperienze e la professionalità acquisita negli anni dai volontari in ambiti accademici, scolastici e di dibattito pubblico, oltre che sul campo, attraverso un dialogo con le istituzioni, le fondazioni e i finanziamenti privati, per finalizzare i fondi raccolti alla realizzazione concreta di progetti sul campo.
3) La costruzione di un linguaggio e di strategie comuni di intervento che aiutino a creare una coesione reale tra le tantissime microrealtà associative, capaci di mobilitarle tutte e tutte insieme su di una lotta precisa, e cioè di creare grandi spazi di mobilitazione generale sui temi più urgenti in cui è necessario intervenire.
4) La necessità ultima è quella di traslare il dialogo tra persone in movimento e massa critica partendo proprio dai giovani a cui rivolgere in modo onesto e trasparente tutta la nostra capacità ed esperienza, testimoniando il nostro percorso etico più radicato, in azioni traducibili e replicabili.