Vescovo prima a Rio e poi dal 1964 a Recife e Olinda, nel nord-est del Brasile, visse con i poveri, i favelados, rifiutando di abitare in un gran palazzo, per essere credibile come loro difensore e portavoce. Dopo il Concilio Vaticano II accolse numerosissimi inviti a parlare in tutto il mondo e proclamare l’appello alla giustizia distributiva, alla solidarietà, allo sviluppo per tutti, alla conversione dei ricchi e alla liberazione degli oppressi senza violenze, alla pace sulla via della giustizia, dei diritti e della nonviolenza, alla fine dello sperpero di risorse nella fabbricazione di armi. Nel periodo della contestazione postconciliare e post68, molte sue parole divennero slogan, ripetuti nelle manifestazioni, come quelle organizzate contro la fame nel mondo dall’associazione Mani Tese: "Non c'è pace senza giustizia", "Non armi ma sviluppo per la pace", "La prima forma di violenza è la miseria", "Essere voce di chi non ha voce", "Fare l’opzione preferenziale per i poveri".
Per le sue prese di posizione socio-politiche, in particolare per la difesa dei diritti dei poveri della sua diocesi e per le critiche al sistema capitalistico e dittatoriale brasiliano, è stato fatto oggetto di minacce e di insulti. Alcuni suoi collaboratori, sacerdoti e laici, vennero torturati e uccisi (come il suo segretario nel ‘69).
Come egli stesso ebbe a dire: fin tanto che descriveva la sofferenza dei poveri e invitava alla solidarietà, veniva accettato da tutti; quando parlava delle cause della miseria e denunciava le ingiustizie, le violazioni di diritti, gli sfruttamenti, le violenze, le chiusure egoistiche e le prepotenze, allora molti lo accusavano di essere comunista.
Anche nella Chiesa cattolica romana ha patito incomprensioni, avversità ed emarginazione, al pari dei promotori della teologia della liberazione, i quali, in nome della scelta preferenziale dei poveri, auspicavano e chiedevano anche cambiamenti della struttura della Chiesa. Come ha detto padre Bartolomeo Sorge, direttore di «Aggiornamenti Sociali» in occasione del centenario della nascita: "dalla metà degli anni '70 in poi, egli subì un crescente ostracismo e una progressiva emarginazione sia da parte dei politici brasiliani sia da parte della Chiesa. Ciò lo fece soffrire molto. Lo ferì il fatto che non fosse stato eletto né chiamato dal Papa al Sinodo del 1971 sulla Giustizia nel mondo, lui che era il vescovo cattolico che maggiormente si era impegnato a livello mondiale su questo tema. Nel 1977, andato a Roma due volte per parlare con il Papa, ne fu impedito dalla stessa Segreteria di Stato."
Tra i suoi sostenitori da sempre c’è Mons. Luigi Bettazzi, Vescovo emerito di Ivrea, che tiene cara la memoria della sua amicizia con Dom Helder, dai tempi del Concilio Ecumenico Vaticano II.
In un colloquio avuto settimana scorsa, mi ha detto così di lui: "Ovunque nel mondo proclamava la giustizia, la pace, la solidarietà, con espressiva mescolanza di lingue ed efficace gestualità. Quando venne a parlare a Ivrea nel 1981 nel teatro gremito di gente, disse che Dio gli aveva donato due mani napoletane". (Personalmente ho un ricordo indimenticabile di quella sera, perché prima di andare tutti insieme alla conferenza, il vescovo Luigi mi fece il dono di accompagnare Dom Helder in oratorio alla festa del mio matrimonio; ricordo che nella conferenza invitò i cristiani a vivere le due dimensioni simbolizzate dalla croce di Cristo: quella verticale verso Dio e quella orizzontale verso i fratelli, nella preghiera e nell'amore).
"Ho cominciato a conoscerlo al Concilio, - dice Mons. Bettazzi - in particolare nel gruppo per la Chiesa dei poveri promosso a Roma da Padre Gautier". "Ci sollecitava come vescovi a un impegno personale di fronte ai temi della povertà e dello sviluppo, per cui si arrivò a un documento, sottoscritto poi da centinaia di Vescovi, in cui ci si impegnava ad un maggior distacco personale dal denaro, ad una vita più sobria, ad un maggior impegno nei confronti dei poveri." "Prima, durante e dopo il Concilio, Dom Helder insisteva e denunciava che la stragrande maggioranza dell’umanità si trova in situazione di povertà e disagio, mentre la minoranza benestante organizza il mondo secondo i propri interessi, e questa minoranza corrisponde in gran parte al mondo cristiano."
Sull’attualità del Bispinho (per la sua esile corporatura, come Gandhi), in particolare per la Chiesa, Mons. Bettazzi prima fa riferimento alla nuova espressione di disuguaglianza e di sofferenza dei paesi poveri, rappresentata dai migranti, respinti dai nostri paesi e lasciati morire in mare, come è accaduto ancora in questi giorni; quindi osserva: "Di quel che auspicava Camara qualcosa è stato fatto e molto resta da fare. La chiesa paga il prezzo di avere una struttura molto grande; come un treno con tante carrozze, per cui fatica a prendere velocità. E’ meglio camminare insieme, ma questo fa rallentare il passo di chi fa da locomotore. Al termine del Concilio Dom Helder chiedeva che, come si era formata una Commissione episcopale per la riforma della Liturgia secondo il Concilio, si facesse una Commissione episcopale per l’attuazione del Concilio, per non lasciare questo compito alla Curia romana, che si era dimostrata tiepida verso il Concilio. Anche nella vita civile i governi non amano i parlamenti, dove la discussione è aperta. Nella chiesa il Concilio è il parlamento e il Vaticano è il governo."
L’anno scorso Mons. Bettazzi ha scritto la prefazione al libro "Roma, due del mattino. Lettere dal Concilio Vaticano II" (Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2008), nel quale sono raccolte 297 inedite lettere scritte da Dom Helder di notte, nei periodi dal 63 al 65 trascorsi a Roma durante il Concilio; lettere indirizzate agli amici in Brasile, per renderli partecipi dei lavori conciliari, degli incontri fatti e delle sue riflessioni.
In una di quelle lettere è scritto: «Ieri mi hanno chiesto quale sarebbe la prima cosa che farei se fossi Papa ... Direi ... ai Paesi che hanno accreditato ambasciatori presso la Santa Sede che, malgrado il Papa ci tenga a mantenere sempre ottime relazioni personali con tutti i popoli, ormai non hanno ragion d'essere né gli ambasciatori in Vaticano, né i nunzi presso i Governi [...]. E ancora, comunicherei la decisione di trasformare il Vaticano in semplici Museo e Biblioteca, affidati a un'istituzione internazionale che si impegnasse a mantenere questi organi al servizio della cultura (il prezzo dell'affitto sarebbe impiegato per i poveri). Manie di Povertà!... Affinché la Chiesa sia serva come Cristo, affinché non offra al mondo lo scandalo di una Chiesa forte e potente che si fa servire, mi sembra fondamentale questo inizio [...]. Da lì alla riforma della Curia romana sarebbe un passo. [...]. Le spese scenderebbero moltissimo: senza nunziature né nunzi; senza il Vaticano da mantenere (le piccole Guardie resterebbero a vigilare il Museo, la Biblioteca, la Basilica, mantenute dall'istituzione affittuaria); con il decentramento effettivo del governo della Chiesa, il Papa potrebbe togliersi dall'imbarazzo dei beni che scandalizzano tanto. Forse il prestigio del Papa crollerebbe. Ma è essenziale che abbia prestigio? Essenziale è che l'umanità non veda nella Chiesa un Regno in più, un Impero in più .» (pp. 381).
Pierangelo Monti
Ivrea 26-8-09
Fonte: ecumenici newsletter