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Senza misericordia non c'è giustizia

"Giustizia e misericordia": sono i due termini su cui si gioca oggi il nostro destino. E c'è un detto comune secondo il quale "non c'è misericordia senza giustizia", che è anche il tema di questo incontro. Ed è anche un cardine del moderno Stato di diritto che non si deve far dipendere dalla carità (o dall'elemosina o da una regalia elettorale) ciò che ai cittadini spetta di diritto. Però se noi ci fermassimo a questo non diremmo niente di nuovo, non diremmo niente di quello che voi già non pensiate e professate. Se voi siete qui questa sera è perché credete nella giustizia e la vorreste vedere realizzata e non pensate certo che se non riusciamo a fare giustizia ce la possiamo cavare con l'elemosina.

Però ribadire formalmente questo primato della giustizia oggi, quando si parla tanto di misericordia, e addirittura quando è in corso un Giubileo della Misericordia e in tutto il mondo si aprono - secondo le indicazioni del Papa - le porte della Misericordia (perfino nelle carceri!), ha anche il sapore di un monito, di una presa di posizione; vuol dire: va bene la misericordia ma non perdiamo la giustizia. La giustizia è al culmine delle aspirazioni umane: i profeti l'hanno promessa e i poveri l'hanno sempre aspettata e fino all'ultimo respiro anche nei barconi dei profughi hanno sperato un giorno di averla. Però dov'è la giustizia?

Da 4000 anni la stiamo cercando: già nel codice di Ur in Mesopotamia, che è del XXI secolo a.C., nel codice di Hammurabi, che è del 1700 a.C., nelle leggi dell'antico Egitto si indicava nel re, cioè nel potere, quello che avrebbe dovuto realizzare la giustizia. Ma non siamo andati molto avanti se quei codici facevano del re "il marito della vedova, il padre dell'orfano", la forza che sosteneva la debolezza del debole, mentre oggi il potere discute se togliere alle vedove anche la pensione di reversibilità.

Per 4000 anni abbiamo cercato la giustizia, abbiamo sognato un Messia che instaurasse la giustizia e il diritto e l'Occidente - anche nel passaggio illuministico dal diritto naturale al diritto positivo - ha fatto della ricerca della giustizia "la gloria del diritto", come diceva il filosofo urbinate Italo Mancini, ma ancora non l'abbiamo trovata.

In Delitto e castigo di Dostoevskij la povera vedova di Marmeladov, che vive in uno squallore al limite dell'immaginazione, esce sulle strade a urlare che finalmente ci sarà giustizia, e dice: "'Come? Il giorno del funerale di mio marito mi cacciano su una strada con gli orfani, e dove vado?' urlava la povera donna singhiozzando e ansimando. 'Oh Signore gridò tutto d'un tratto con gli occhi scintillanti 'possibile che non ci sia giustizia? Chi devi difendere tu, se non noi derelitti? Ma ora vedremo, ci sono al mondo dei tribunali, c'è una giustizia e io la troverò'. Katerina Ivanovna si fece largo fra la folla disordinata e ubriaca degli inquilini che si accalcavano ancora nella stanza e piangendo e urlando corse nella strada con il vago scopo di trovare da qualche parte, subito e a qualunque costo, la giustizia". Però la giustizia non l'abbiamo ancora trovata, se oggi 62 persone nel mondo hanno la ricchezza di due miliardi e mezzo di persone e se allo Stato è proibito di intervenire per evitare i licenziamenti delle aziende in crisi, se la Cassa del Mezzogiorno e la Gepi che nei primi decenni della Repubblica hanno salvato il Mezzogiorno sarebbero oggi proibite dalle leggi europee.

Non abbiamo trovato la giustizia se si fa finta di combattere contro l'estremismo islamico dei talebani e dell'Isis e poi li si arma, li si finanzia, si compra da loro il petrolio, vengono usati per estendere il dominio in Asia e in Medio Oriente come le Brigate Rosse furono usate in Italia.

Non c'è la giustizia se, benché la Costituzione ripudi la guerra, giovedì (25 febbraio) il Consiglio Supremo di Difesa ha deciso che l'Italia vada in Iraq per difendere la diga di Mosul, e che droni pieni di bombe partano da Sigonella per bombardare la Libia su licenza, missione per missione, dello stesso Presidente del Consiglio.

Dunque la giustizia non c'è. E non solo perché il diritto è trasgredito ma anche perché per grandissima parte il diritto ancora non è arrivato nemmeno a concepirla, a tradurla in norme, a prevederla o addirittura la nega e la vieta.

Dov'è la giustizia, dov'è il diritto nelle ruspe che in Francia radono al suolo la città satellite di Calais, la giungla dove vivono migliaia di profughi con le loro baracche, le loro chiese, i loro spacci di kebab?

Dov'è la giustizia nel muro alzato in Palestina, nella barriera alzata dall'Ungheria, nel confine sbarrato dall'Austria, nel filo spinato steso in Macedonia, dov'è la giustizia nel diritto europeo che vieta l'ingresso ai migranti per fame?

Dov'è la giustizia nel confine sigillato dagli Stati Uniti verso il Messico che il Papa è andato a sfidare?

Proprio applicando il loro diritto e la loro giustizia Europa e Stati Uniti sono sprofondati nella iniquità.

E allora io stasera, mi dispiace, ma vi devo dire un'altra cosa che mi pare di rilievo assoluto: certo dobbiamo rivendicare la giustizia, non dobbiamo stancarci mai di farla e rivendicarla; ma la cosa nuova da dire è che il futuro sta nella misericordia. Anzi non c'è futuro senza misericordia e senza misericordia nemmeno la giustizia è possibile. Dunque bisogna rovesciare il detto "senza giustizia non c'è misericordia", e dire: "senza misericordia non c'è giustizia". Perché quella che è fallita nei secoli, anzi nei millenni, è stata proprio la presunzione di una giustizia che non fosse spinta e nello stesso tempo trascesa dalla misericordia. Perciò non possiamo aspettare la giustizia per esercitare la misericordia.

Prendiamo la questione dei profughi. Nel 2015 sono stati 60 milioni gli uomini e le donne in fuga. Né il diritto né la giustizia hanno oggi una soluzione per questo problema. In verità il diritto aveva dato una risposta già 500 anni fa all'epoca della conquista dell'America, quando con Francisco de Vitoria si erano proclamati come diritti umani universali lo jus migrandi e lo jus societatis et communicationis, cioè il diritto di migrare, di stabilire il domicilio nelle terre altrui, di sfruttare le risorse comuni perché tutti partecipi di una societas, di una socialità garantita dallo ius gentium; esso comportava lo ius migrationis e lo ius societatis et communicationis: due diritti umani universali dunque proclamati 500 anni fa quando la Spagna conquistò l'America.

Naturalmente però questi diritti furono esercitati dagli Spagnoli e non certo dagli Indios: erano cioè diritti asimmetrici, diritti affermati ma proclamati a favore dei potenti e dei grandi e tanto meno oggi questi diritti sono riconosciuti ai profughi e ai migranti; ed ecco che dove non arrivano la giustizia e il diritto, è la misericordia che oggi ancora tiene in vita l'umano.

Prendete la testimonianza di Gino Strada, il fondatore di Emergency. Che cos'è che gli ha cambiato la vita, ciò per cui invece di starsene in camera operatoria a Rho o a Milano ha fondato Emergency e in ventuno anni di attività ha curato 6 milioni e mezzo di persone ferite e mutilate dalla guerra? Che cos'è che l'ha spinto? L'ha spinto la misericordia e la misericordia è scattata quando a Quetta, la città pakistana vicino al confine afghano, ha incontrato per la prima volta le vittime delle mine anti-uomo. E ha raccontato: "Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette 'mine-giocattolo', piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po' fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi, bambini senza braccia e ciechi... Armi progettate non per uccidere ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti ponendo a carico delle famiglie e della socieà' un terribile peso. Ancora oggi per me quei bambini sono il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili".

E magari sono guerre umanitarie, sono guerre rivendicate come giuste, guerre per il diritto e per la democrazia, per esportare la democrazia.

E poi c'è la testimonianza dell'isola di Lampedusa che al di là dei suoi obblighi, stabiliti dal diritto, per anni e anni ha usato misericordia verso centinaia di migliaia di profughi e naufraghi, come narrato nel film di Gianfranco Rosi "Fuocoammare": c'è stato anche un momento in cui 5.500 abitanti di Lampedusa hanno accolto e assistito 7.500 naufraghi, 2000 in più di quanti erano loro, spiegando con semplicità che essendo i lampedusani in prevalenza pescatori, i pescatori accolgono tutto quello che viene dal mare.

C'è stata sere fa in televisione anche la testimonianza del medico di Lampedusa, Pietro Bartolo, che dal 1991 ha personalmente curato e assistito 270.000 profughi, ha gestito migliaia di cadaveri, molti di bambini, e ha praticato l'ecografia a tutte le donne in gravidanza naufragate nell'isola: l'ecografia veniva praticata non solo per accertare lo stato di salute dei nascituri ma anche per dare alle donne reduci delle tragiche esperienze dell'esodo almeno quei dieci minuti di percezione di essere accolte, amate e assistite mentre i loro bambini venivano intrattenuti nella ludoteca. È chiaro qui che non è questione di giustizia o di atti dovuti, è questione di misericordia.

Dunque, la misericordia ha una sua consistenza, ha una sua autonomia rispetto alla giustizia, con cui certo è sempre legata. Per questo io credo che bisogna prendere molto sul serio la scelta di Papa Francesco di fare della misericordia il cuore del suo pontificato, nonché della missione e dell'identità stessa della Chiesa.

Non è solo la proposta di una certa accentuazione pastorale. La proposta della misericordia nel senso di Papa Francesco, non è una semplice variante dell'esercizio del ministero petrino e della pastorale della Chiesa, non è una opzione tra due variabili egualmente praticabili della Chiesa, la misericordia o la severità, come ancora poteva sembrare nel discorso di apertura del Concilio, quando Papa Giovanni disse che in quel momento storico la Chiesa preferiva ricorrere al rimedio della misericordia piuttosto che brandire le armi della severità;  Papa Giovanni voleva che la Chiesa facesse quella scelta.

Per Papa Francesco non si tratta di una scelta facoltativa. Egli va oltre e dice che la misericordia e non il giudizio e la condanna è l'unica scelta che la Chiesa può fare, e dice che nella misericordia sta il modo nuovo dell'annuncio del Vangelo, quella novità dell'annuncio del Vangelo che il Concilio aveva dato come imperativo per tutta la Chiesa e che il Papa ha ripreso come il vero lascito del Concilio: la vera cosa che ha fatto il Concilio non è stata la collegialità, la riforma liturgica, la riforma dell'episcopato; la vera novità del Concilio, il suo vero impegno, il vero lascito è stato che questo Vangelo andava raccontato agli uomini in modo nuovo e in modo credibile secondo la sensibilità del nostro tempo: questa è stata la sua rivoluzione.

In un'intervista mi hanno chiesto qual è stata la pedagogia del Concilio, e questa è stata una grande domanda. Quello su cui ci si deve interrogare sul Concilio non è la sua teologia ma la sua pedagogia, cioè che cosa quel Concilio ha voluto insegnare agli uomini, alle donne e ai cristiani perché oggi si possa ancora avere la fede; e allora bisogna capire perché il Papa fa questa scelta così dirompente della misericordia e del perché non ne fa una semplice esortazione, ma ne fa una strategia, anzi la presenta come una scelta nuova per la Chiesa e per il mondo, perché?

In fondo anche lui avrebbe potuto privilegiare la giustizia: il pastore Paolo Ricca che certo non è avaro di simpatie ecumeniche, ha detto "Ma perché il Papa non ha indetto l'Anno della Giustizia invece che indire l'Anno della Misericordia?". Certamente il Papa avrebbe potuto indire un giubileo della giustizia e tutto sembrava portarlo in questa direzione.

La denuncia che egli fa ogni giorno della ingiustizia e della "inequità" che regna sulla terra era una ragione sufficiente per fare un anno della giustizia, la denuncia che lui fa dell'economia che uccide, della società che esclude, della globalizzazione dell'indifferenza, della brutalità dello scarto, sembrava spingerlo in questa direzione. Inoltre la giustizia era la specifica opzione della teologia della liberazione la cui eredità è stata raccolta dal Papa.

E sulla giustizia si era messa in gioco la stessa Compagnia di Gesù di Padre Arrupe nella XXXIII congregazione generale del 1974, suscitando anche una certa rimostranza di Paolo VI. La Compagnia di Gesù aveva fatto propria la scelta della giustizia insieme all'opzione per i poveri, dunque sarebbe stato abbastanza naturale che Papa Bergoglio avesse indetto un anno della giustizia; ma perché non lo ha fatto? Perché invece ha fatto la scelta della misericordia?

Una risposta a questa domanda io la cercherei su due versanti: il primo è il versante di Dio e il secondo è il versante della storia dell'uomo.

Intanto per quel che riguarda Dio: il senso, il fine di tutto il pontificato di Papa Francesco, come mi sono azzardato a dire nel libro dal titolo "Chi sono io Francesco?", è quello di riaprire la questione di Dio dinanzi a un mondo che l'aveva ormai archiviata. Perciò questo Papa è venuto dalla fine del mondo, per riaprire la questione di Dio. Ebbene la misericordia nel modo in cui la presenta Francesco, è una nuova rivelazione di Dio. Non che Dio non fosse misericordioso anche prima, lo abbiamo sempre pregato come Dio Misericordioso, ma il Dio annunciato da Papa Francesco non solo è misericordioso ma è solo misericordia; non giustizia nel senso di vaglio di bene e di male, di torto e di ragione, ma misericordia. Anzi ha detto il Papa, nella bolla di indizione del Giubileo, "Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio", sarebbe il Dio delle leggi, sarebbe il Dio di "a ciascuno il suo", sarebbe il Dio della parità del dare e dell'avere, come è intesa la giustizia umana.

Ma noi questo non lo avevamo capito, non lo aveva capito tutta la nostra teologia, anche la più incardinata nella tradizione della Chiesa, se perfino nella incarnazione del Figlio siamo riusciti ad occultare la misericordia di Dio dicendo che Egli lo avrebbe fatto non per amore ma per ottenere soddisfazione e giustizia nel sangue del Figlio: è la spiegazione dell'incarnazione, del "perché Dio si è fatto uomo" di Sant'Anselmo. Dio si è fatto uomo perché aveva bisogno di qualcuno che riparasse l'offesa che aveva ricevuto. Ma quale misericordia? Questa è la giustizia nel senso del diritto dei regni romano barbarici: Dio che incarna il Figlio, che manda il suo Figlio nel mondo perché ha bisogno che quello salga sulla croce e con il sangue ripari o soddisfi il bisogno di riparazione che la maestà divina richiede.

Si può ricordare che è Gesù stesso a fare questa nuova rivelazione di Dio: nella sinagoga di Nazaret, così come lo racconta Luca, Gesù legge il capitolo 61 di Isaia, capitolo che annuncia la venuta del Messia; Gesù legge questo capitolo di Isaia e annuncia l'anno di grazia, di benedizione e di misericordia del Signore; ma a quel punto chiude il rotolo e lo riconsegna all'inserviente e censura, cioè esclude, quello che viene detto dopo, cioè l'annuncio dell'"anno di vendetta del nostro Dio" e tace tutto il resto del discorso dove si stabilisce il ruolo di Dio per il riscatto anche politico di Israele contro i suoi nemici; quindi Gesù legge la Scrittura ma la legge con discernimento, con il discernimento del Figlio.

Sull'esempio di Gesù anche Papa Francesco ci dà un'immagine nuova di Dio e la novità sta nel fatto che il Dio annunciato non è il Dio della vendetta e del giudizio ma il Dio della misericordia. Non è il Dio che guida alla vittoria le sue schiere ma il Dio non violento che anticipa tutti nell'amore, che "primerea" nell'amore, come dice col suo neologismo spagnolo Francesco. Dio arriva primo nell'amore.

La vera sorpresa di questo pontificato è che appunto al mondo parla di Dio in modo nuovo e annuncia non solo ai credenti ma ad ogni persona "che abita in questo pianeta" - quali sono i destinatari dell'enciclica Laudato sì - un Dio non ristretto nei limiti della tradizione dell'Occidente e neanche della sua teologia, una tradizione per la quale finora Dio è stato il Dio della condanna e del giudizio, della maestà e del potere.

Nella visione del Papa c'è una progressione dalla giustizia alla misericordia. Come c'è una gerarchia nelle verità della fede, si potrebbe dire che c'è una gerarchia nelle espressioni della identità di Dio. "Proprio perché sono Dio e non uomo", dice il Signore in Osea, citato dal Papa, c'è "un superamento della giustizia nella direzione della misericordia". Ed è grazie a questa incondizionata e irreversibile identificazione di un Dio misericordioso e non violento che si può definitivamente togliere ogni legittimazione religiosa alla guerra e destituire di ogni fondamento qualsiasi violenza, uccisione o olocausti fatti in nome di Dio. Questo è un cambiamento epocale per la religione, lo dice un documento prezioso della Commissione Teologica Internazionale; è un cambiamento per ogni religione e per la stessa cultura del mondo quello di prendere definitivo commiato dall'immagine di un Dio violento, del Dio vendicatore e del Dio della guerra.

Questo è un cambiamento non solo per la religione ma anche per il diritto e per la politica. E qui dobbiamo passare alla seconda ragione della misericordia: dobbiamo cercare questa ragione sul versante dell'uomo perché la scelta della misericordia trova la sua ragione ed esercita tutto il suo impatto proprio nella storia del mondo e nella storia dell'uomo.

Qual è il punto? L'idea è che oggi sulla misericordia si gioca il destino dell'uomo, la misericordia è la vera alternativa storica per il tempo presente, perché la giustizia non basta a salvarci. È vero che fin dall'inizio abbiamo cercato la giustizia, abbiamo instaurato il nomos, la legge, e l'abbiamo considerato il re della società, il "nomos basileus"; abbiamo avuto il codice di Hammurabi e la legge di Mosè, il codice di Giustiniano e il decreto di Graziano, la Dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del Cittadino e il Patto delle Nazioni, e tuttavia la storia è stata una storia di genocidi, dallo sterminio di Gerico del libro di Giosuè al genocidio degli Armeni, degli Ebrei, dei Cambogiani del Novecento, fino alle attuali carneficine dell'Isis e all'abbandono alla morte dei migranti clandestini del Mediterraneo.

Con la giustizia regolata dal diritto si sono fatte le guerre giuste, le guerre umanitarie, con la giustizia si legittima la pena di morte, si è fatta l'Inquisizione, la schiavitù, si fanno le carceri di massima sicurezza come Guantanamo, si invocano gli ergastoli, si praticano le torture; con il diritto si è codificata l'inferiorità della donna, perfino nei tribunali, si è sancita la mercificazione del lavoro, la proprietà come uso ed abuso, l'usura, la disoccupazione a tutele crescenti, si costruisce la società del libero gioco, dell'esclusione e degli scarti, e della giustizia del diritto si fa beffe oggi l'economia che uccide, come la definisce il Papa.

Ma quando è arrivato il punto di rottura di questo processo?

Il punto di rottura è arrivato nella prima metà del '900, quando tutto precipitò nella tragedia dei totalitarismi, della guerra, dei genocidi e del razzismo. E fu allora che di fronte a tanta rovina, alla fine della seconda guerra mondiale l'umanità ebbe un sussulto e decise di cambiare pagina, di dare avvio a una nuova fase della storia umana. Quella fu la grande scelta del '900, la svolta decisa a San Francisco quando si costituì l'Onu con l'obiettivo di non ritornare alla vecchia giustizia di prima del nazismo o del fascismo, ma di instaurare un'altra qualità di giustizia, una società in cui vivesse la nostalgia, il sogno "di una vera e consumata giustizia" come diceva Horkheimer, una giustizia che già alludeva alla misericordia.

Perciò nel Preambolo della Carta dell'Onu si pose a fondamento di un nuovo ordine internazionale la decisione di "salvare le future generazioni dal flagello della guerra": e nell'articolo 2 della Carta si metteva fuori legge non solo l'uso della forza ma perfino la minaccia dell'uso della forza nel rapporto tra i popoli e si proclamava l'eguaglianza di tutti gli esseri umani e "delle nazioni grandi e piccole".

Non si trattava di riformismo, era una rivoluzione: si decise di cambiare mente - una metanoia - e di cambiare anche ordinamenti. Il passaggio era da una cultura fondata sulla guerra, dove la guerra era un attributo irrinunciabile della sovranità, a una cultura e a un diritto che la mettevano al bando e addirittura proibivano la stessa minaccia dell'uso della forza. Questa, se fosse stata attuata, era una rivoluzione.

E questo rovesciamento avveniva non solo nel campo del diritto internazionale ma anche nel costituzionalismo di nuovo conio che ispirava le grandi Carte del dopoguerra.

Così fu per quella stupenda costruzione che fu la Costituzione italiana, che all'art. 3 dava alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli anche economici e sociali che di fatto, e quindi anche senza violazioni di legge, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, ovvero, per dirla con la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, interdicono "la ricerca della felicità": perché il diritto e la politica devono tutelare il diritto alla ricerca della felicità;  ed è per questo che furono prescelte o in ogni caso esaltate come le più umane, le politiche di welfare, di piena occupazione, di salute per tutti, di diritto allo studio, di contrasto alla povertà. È per quella stessa scelta di fondo fatta allora che furono riformate in Italia molte leggi: furono chiusi i manicomi, umanizzate le carceri, fu depenalizzato l'aborto (contro l'idea delle donne omicide), fu abrogato nel diritto di famiglia lo stato di inferiorità della donna. Così si stabiliva l'identità di uno Stato che non è neutrale, che non è arrogante, che non è l'officiante del libero mercato, che non è duro di cuore.

Purtroppo però questa scelta è stata poi ripudiata e soprattutto dopo il 1989, venuti meno il ricatto del terrore nucleare e la divisione del mondo in blocchi, è stata ripristinata la guerra, è stato ristabilito il primato della forza, esautorato lo Stato, sottratto il potere economico alla norma del diritto, è stato reso sovrano il denaro, è stata pianificata l'universale società del privilegio e dell'esclusione.

Vince la globalizzazione nella forma dell'unico grande Impero universale del denaro, della lotta per la ricchezza, e del profitto. In più, in Italia si dichiara obsoleta la Costituzione del 1948 e ormai inservibile come il vecchio telefono a gettoni. E ora si sta cercando di sostituirla con un'altra perché la modifica della seconda parte della Costituzione, giunta ormai all'approvazione finale in Parlamento, si porta via anche la prima parte, la parte cioè dei principi e dei valori, sacrificando tutto sull'altare della governabilità e di un governo insofferente del controllo delle Camere.

È giusto perciò continuare a cercare e a rivendicare la giustizia, è giusto gridare che senza giustizia non c'è neanche misericordia, però è chiaro, come la storia dimostra, che la giustizia non basta a salvarci. Ci vuole la giustizia, che è la linea di galleggiamento sotto la quale si affoga. Ma ci vuole un'altra cosa, quella vecchia cosa, di cui a parole riconoscevamo il valore ma che abbiamo messo nel contenitore delle medicine scadute, nella soffitta delle belle cose antiche che non abbiamo veramente mai usato. Ed ecco che il Papa mette in campo la misericordia, la tira fuori dal ripostiglio, dal mucchio delle verità religiose che sono state usate nei secoli per giustificare tutto e il contrario di tutto, la povertà e la ricchezza, la libertà e l'Inquisizione, la guerra e la pace, e ne fa la pietra angolare da mettere alla base dell'edificio della Chiesa e della società, in ragione della quale la casa sta o cade.

Non è una invenzione sua, anche se da molti anni il Signore lo aveva preparato a questo compito, che sta scritto pure nel suo stemma episcopale e papale: miserando et eligendo. Non è solo lui che ha capito questo, l'aveva capito il mondo quando nel 1945 si era impietosito delle future generazioni decidendo di liberarle, con l'Onu, dal flagello della guerra che già aveva portato indicibili afflizioni all'umanità; l'aveva capito il Concilio che aveva persino lasciato cadere la dottrina punitiva del peccato originale. E lo dobbiamo capire anche noi: solo la misericordia ci può salvare e ormai senza misericordia nemmeno la giustizia è possibile. La legge è troppo debole e limitata per occupare i terreni sconfinati abbandonati dalla giustizia. Ma questa, dice il Papa, è l'ultima carta. Perciò ha fatto la scelta strategica della misericordia e ha indetto l'anno della misericordia. Ma solo un anno?

Noi in realtà non abbiamo il problema di un anno, che sia un anno di pietà e poi che tutto ritorni come prima. Noi abbiamo il problema dei prossimi 4.000 anni, nei quali la vita degli uomini e delle donne dovrebbe fiorire, la pace in terra stabilirsi, come voleva la Pacem in Terris, la creazione in gestazione dovrebbe giungere al parto, i popoli unirsi e tutti giungere alla comunione con Dio. Questa non è solo la promessa della fede, è anche un programma politico.

Questo non vuol dire un elenco di cose da fare, ma vuol dire cambiare paradigma, cambiare il criterio del politico. Assumere la misericordia come criterio del politico, vuol dire, contro Carl Schmitt, che il criterio del politico non può essere lo scontro tra Amico e Nemico, e che lo straniero non può essere il Nemico (mentre è proprio questa la dottrina politica della contemporaneità, che la politica è lo scontro con il nemico e che lo straniero è il nemico).

Allo stesso modo, assumere la misericordia come criterio dell'economico vuol dire - contro l'ideologia capitalista del liberismo selvaggio - che la sorte degli esseri umani e del mondo non può essere affidata all'insindacabilità della mano invisibile del mercato.

Assumere la misericordia come criterio del diritto vuol dire, contro il criterio della crescita illimitata della predittività del diritto, contro cioè l'invasività della legge nella vita quotidiana, riconoscere la povertà e i limiti del diritto. Infatti il diritto non può arrivare dappertutto e deve essere riconosciuto il suo statuto di servizio della realtà di cui esso è riflesso; e questa realtà è la socialità umana nella sua imprevedibile creatività e nella sua libertà originaria che non può essere messa tutta dentro le cinghie predittive del diritto.

Cambiare paradigma si può. Però sappiamo che la nostra casa comune è in pericolo, che la terza guerra mondiale è già cominciata e che la specie umana potrebbe essere privata dello stesso suo diritto all'esistenza.

Dunque se la giustizia ha fatto cilecca non smettiamo di cercarla ma intanto proviamo con la misericordia: questa è la ragione per cui la Chiesa cerca la misericordia, questa è la grande scommessa in cui è in gioco la vita nostra e quella delle generazioni future, questa è l'alternativa proposta dal Papa, il solo in tutto il panorama delle leadership mondiali che oggi proponga un'alternativa di sistema a un mondo che altrimenti rischia la fine.