L'attacco missilistico americano contro le postazioni militari del regime di Bashar Al Assad, decise ed eseguite nella notte scorsa dal Presidente Trump, rappresentano e confermano la irresponsabilità e l'assenza di una strategia politica internazionale che circonda la crisi siriana.
L'utilizzo di armi chimiche nel conflitto siriano sia da parte del regime di Assad che da parte dell'ISIS, purtroppo non è una novità.
Quanto accaduto, martedì scorso, nella città di Khan Sheikhun, nei pressi di Idlib, dove hanno trovato la morte almeno 72 persone di cui 20 minori ed un centinaio di persone sono rimaste intossicate e ricoverate nei centri sanitari della zona.
E’ l'ennesimo crimine di guerra che segue a quello avvenuto nel dicembre scorso nei pressi di Homs, dove perirono 93 persone ed altre centinaia rimasero ferite dove, secondo esperti ed agenzie umanitarie è stato impiegato sarin o gas nervino; purtroppo in questo caso non fu possibile reperire sul campo le prove dell'uso, come invece fu provato con le analisi batteriologiche, nell'attacco avvenuto nella zona di Ghouta, vicino a Damasco nel 2013; lì perirono circa 1300 persone, tra uomini, donne e bambini.
E’ pure stato provato l'utilizzo di armi chimiche, prodotte in modo artigianale, da parte delle milizie dell'ISIS in Iraq.
Sono sei anni che questo conflitto produce ogni giorno nuove morti e nuove distruzioni, trasformandosi da una rivolta interna contro una dittatura, ad un campo di battaglia internazionale dove si scontrano mercenari ed armamenti provenienti da ogni parte del mondo per rivendicare una egemonia religiosa, territoriale, politica ed economica, sulla pelle della popolazione siriana e distruggendo la convivenza di comunità etnico-religiose millenarie.
Oltre 400mila morti, 5 milioni di profughi, 6 milioni di sfollati interni, per una popolazione complessiva di circa 23 milioni di persone, è la fotografia attuale del disastro che non si è voluto fermare.
L'azione muscolare unilaterale dell'amministrazione americana non trova alcuna giustificazione se non quella di sfida alle altre potenze schierate nel teatro di guerra regionale, che invece di nuove prove di forza militare ha bisogno di una azione di de-militarizzazione e di una strategia politica e negoziata di pacificazione e di ricomposizione delle comunità locali. Un percorso complesso ma indispensabile che ha bisogno della forza del diritto e della giustizia e non delle armi.
La comunità internazionale, le potenze mondiali, tutte le istituzioni democratiche che hanno adottato i principi e le convenzioni internazionali quali basi delle proprie costituzioni e del diritto internazionale come norma e strumento per regolare i conflitti tra stati, hanno la responsabilità di agire in questa direzione, fermare il flusso di armi ed isolare i responsabili dei crimini di guerra per portarli ad un giusto processo.
Alle istituzioni, a partire dal nostro governo, all'Unione Europea, all'Assemblea ed al Consiglio delle Nazioni Unite, rivolgiamo questo accorato appello, che fermino questa nuova escalation di guerra, che si impegnino concretamente, oltre le dichiarazioni, a costruire la pace in Siria, negli interessi e nel diritto del popolo siriano, facendo cadere quei veti e quei tatticismi che alimentano la prepotenza e le guerre.
Roma, 7 Aprile 2017
Rete della Pace