“Quando si osserva il nostro pianeta dallo spazio, alcune cose diventano innegabilmente chiare. Continuiamo ad affrontare tematiche come il riscaldamento globale, la deforestazione, la perdita di biodiversità come questioni isolate, quando in realtà non sono altro che sintomi di un unico problema radicale di fondo. Questo problema è la nostra incapacità o assenza di volontà di riconoscerci come parte di un complesso planetario. Quando me ne stavo ad osservare il mondo da una finestra della Stazione Spaziale Internazionale potevo ammirare le rapide successioni dei lampi delle tempeste, come fossero i flash di tanti paparazzi, e anche gli arazzi di luce delle aurore polari come fossero quasi a portata di mano.
Vidi anche la sottigliezza estrema dell’atmosfera terrestre. In quel momento fui colto da una comprensione immediata che mi ha fatto riflettere, cioè che quello stesso strato dallo spessore paragonabile in senso relativo a quello di un foglio di carta permette la sopravvivenza di tutto ciò che vive sulla Terra. Mi è stata concessa la possibilità di osservare una biosfera iridescente pullulante di vita. Non ho visto niente di ciò che chiamiamo “economia”. Tuttavia, dato che i sistemi artificiali creati dall’uomo trattano ogni cosa – compresi gli stessi sistemi naturali che sostengono la vita – come fossero degli assets secondari di proprietà dell’economia globale, tutto questo appare incontrovertibilmente come una grande bugia, dalla prospettiva dello spazio. Il nostro sistema concettuale globale deve evolversi dal concepire una gerarchia di priorità decrescenti nei termini di “economia – società – ecosistema globale” a quella inversa di “ecosistema globale – società – economia”. Solo con tale presupposto potremmo proseguire nel nostro cammino evolutivo.
Sono Ron Garan, ex astronauta in servizio alla NASA, già pilota di caccia. Ho scritto un libro dal titolo. “Alla deriva nell’oscurità. Un viaggio evolutivo – Floating in Darkness. A Journey of Evolution”.
Tutti noi, considerati come specie, siamo in un certo senso alla deriva nell’oscurità. In questo contesto faccio spesso riferimento all’allegoria della “Caverna di Platone”. Essa mi è utile per far comprendere come in molti casi ci illudiamo di riuscire a cogliere il quadro globale di un dato problema o fenomeno, quando in realtà non ne cogliamo che una rappresentazione davvero molto piccola e limitata, esattamente come nella caverna platonica gli uomini che la abitavano non vedevano altro che ombre di cose ed oggetti che si muovevano alle loro spalle, scambiandole per la realtà originale. Così, oggi noi non cogliamo spesso il quadro generale che ci permetterebbe di risolvere molti dei problemi in cui continuiamo ad imbatterci. Il prezzo che stiamo oggi pagando come civiltà, in conseguenza di questa nostra pecca, è davvero alto. Stiamo vivendo un presente dai tratti molto scuri, e una delle ragioni per la quale non sitiamo risolvendo i problemi che affliggono tutti noi è che non stiamo assumendo la giusta prospettiva. Non ci stiamo occupando delle varie criticità partendo dal dato di fatto della loro vera natura autentica. Penso che sia questo uno dei motivi per i quali “dobbiamo uscire dalla caverna”, lasciare l’oscurità in cui ci troviamo. Molti degli astronauti che sono stati in missione nello spazio, al loro ritorno, sono stati colti da una sorta di trasformazione radicale della loro coscienza; per definire questo fenomeno è stato coniato negli anni ’80 il termine di “Overview Effect” o “Effetto della Visione d’Insieme”, o “Effetto della Visione Omnicomprensiva”. Si tratta di una sorta di “passaggio di stato della coscienza” che caratterizza l’esperienza di molti astronauti al loro osservare la Terra sospesa nell’immensità oscura dello spazio interstellare. Per dirla con una metafora, è come se nella coscienza di questi astronauti si fosse accesa la “lampadina” di un’intuizione, di una presa di consapevolezza immediata: quella dell’innegabile livello di interconnessione e interdipendenza che ci riguarda tutti, del nostro essere parte inalienabile, come singoli individui, di un qualcosa di molto molto più grande di noi.
Circa 50 anni fa l’intera umanità fu interessata da una sorta di vissuto di coscienza che potrei chiamare “Esperienza Fuori dal Corpo” collettiva (“Out of Body Experience – OBE”). Nella vigilia di Natale del 1968 l’equipaggio dell’Apollo 8 riemerse da un “eclissi di Terra” dopo il suo quarto passaggio dietro la Luna attorno alla quale orbitava. Gli astronauti scattarono una fotografia a colori destinata a divenire famosa. Tale foto fu poi chiamata “L’alba della Terra”. Si tratta della prima fotografia a colori che illustrasse il Pianeta Terra sospeso nella vastità oscura dello spazio. Questa immagine contribuì a rivoluzionare il modo in cui l’umanità in generale riesce a concepire se stessa. Non esiste alcuna realtà di un qualsiasi “loro” distinto da un qualsiasi “noi”, all’interno della specie umana. Esiste solo un grande “Noi” integrale.
Esattamente un anno prima che l’Apollo 8 si trovasse in viaggio trasportato dalle trazioni gravitazionali nel suo viaggio verso la Luna, il Dott. Martin Luther King formulò il proprio famoso sermone pubblico sulla Pace; ritengo che quel discorso sia davvero stato in grado di fornire le parole giuste per descrivere ciò che l’immagine dell’alba della Terra fu in grado di evocare. Il Dott. Luther King disse infatti: <<In qualità di nazioni ed individui, siamo tutti interdipendenti.>> Non riusciremmo mai a garantire una vera pace duratura sulla Terra se non riconosciamo il dato di fatto di base che tutta la realtà si fonda su di una struttura inter-relazionale. Questo concetto non è un cliché astratto, non è speculazione filosofica; è la realtà del mondo in cui viviamo; è un dato di fatto: quello per il quale tutto ciò che accade direttamente ad un individuo impatta indirettamente anche tutti gli altri esseri umani. Siamo tutti inestricabilmente correlati gli uni con gli altri nel grande tessuto della vita che chiamiamo Terra. Se allora questo “Overview Effect” è la lampadina dell’intuizione che si accende alla consapevolezza della nostra natura di esseri inter-correlati e interdipendenti, la “prospettiva orbitale”, che è anche il titolo del mio primo libro, è ciò che si sceglie di fare della consapevolezza così ottenuta. La “prospettiva orbitale” è in sostanza una chiamata all’azione; è il senso di ingiustizia che ci coglie quando osserviamo una contraddizione che ci spinge ad una riflessione profonda: quella esistente tra la bellezza indescrivibile del nostro pianeta e le tante realtà sventurate che caratterizza la vita che lo abita. Disgrazie che riguardano un numero davvero considerevole di suoi abitanti.
Una delle cose che ho compreso durante il periodo che ho trascorso nello spazio è che noi stessi non proveniamo “dalla” Terra, ma siamo piuttosto qualcosa “della” Terra; e il passo successivo è la comprensione che non apparteniamo all’Universo, ma siamo di fatto l’Universo stesso. Siamo l’Universo lungo la via verso la consapevolezza di se stesso, Molte delle cose di cui parliamo abitualmente non richiedono di raggiungere lo spazio per essere comprese. In altre parole, non devi raggiungere un’orbita spaziale per assumere quella “prospettiva orbitale” di cui accennavo. Una delle cose di cui possiamo servirci è un termine che ho preso a prestito dalla cinematografia, e si tratta del “Dolly zoom”. Si tratta dell’effetto visivo generato dalla telecamera che riprende la scena spostandosi in direzione tale da allontanarsene progressivamente, mentre allo stesso tempo lo zoom ingrandisce il soggetto al centro dell’obiettivo. Si è usata questa tecnica di ripresa in film come “Lo squalo” (“Jaws”) e “Vertigo”. Il motivo per cui i produttori cinematografici usano questa tecnica è quello di rendere la percezione dell’altezza o della profondità nella scena osservata; questo grazie a ad un soggetto in primo piano che rimane invariato e viene ingrandito mentre lo sfondo si allontana e si allarga. Possiamo anche trasporre questo termine al contesto delle sfide che ci troviamo ad affrontare. Se facciamo un “Dolly zoom” su di una data situazione, allarghiamo l’angolo della nostra visuale fino a comprendere il più ampio scenario geografico possibile. Idealmente questo angolo potrebbe arrivare ad includere l’intero pianeta; arrivando a cogliere tutto questo grande quadro, comunque, non perdiamo la capacità di focalizzarci su ogni piccolo dettaglio della superficie terrestre. Il nostro “zoom” che si allontana non ci fa perdere la percezione di ogni singolo essere umano, come avviene quando le persone non divengono altro che numeri su di un foglio di calcolo, o quando non costituiscono altro che forza lavoro o il corpo di un elettorato, o un bacino di consumatori. Preservano tutti la loro dignità in qualità di costituenti dal valore unico della società umana. C’è anche la dimensione temporale ad essere implicata in questo effetto “Dolly zoom”, e consiste nella necessità di allargare la nostra prospettiva per comprendere l’arco temporale più lungo possibile; un’estensione di tempo che sia idealmente multi-generazionale. Così facendo, non dobbiamo comunque perdere necessariamente di vista il breve termine. L’ultima caratteristica specifica dell’effetto “Dolly zoom” è la sua capacità di offrire molteplici prospettive differenti. Grazie ad esse possiamo comprendere la profondità della condizione problematica che ci riguarda, in modo da produrre soluzioni che siano molto più durature nel tempo ed efficaci. Ognuno di voi occupa una posizione di grande potere nei confronti del cambiamento del mondo. Ciò che adesso provo a fare con regolarità è passare una vita in cui mantengo la visuale dell’effetto “Dolly zoom”. Ogni mattina, così come sento di svegliarmi nel mio letto, sento anche di svegliarmi in un intero pianeta. Considerando il lungo termine, mi sento decisamente ottimista, in quanto riesco a riconoscere concretamente come stia fiorendo un senso di unità diffuso su tutto il pianeta, come stia emergendo e maturando la consapevolezza della nostra natura di interdipendenza.
Questa consapevolezza si diffonderà fino a raggiunge una “massa critica” di soggetti senzienti, e sarà allora che potremmo risolvere i problemi che stanno interessando il nostro pianeta. Questa prospettiva dovrebbe infonderci coraggio nei tempi bui che stiamo vivendo, così da poter continuare ad agire nel modo che sappiamo essere giusto. Non c’è motivo di abbandonare la speranza, perché ci sarà concesso di rivedere l’alba. Quando riusciremo ad evolvere dalla prospettiva del “loro” a quella del “tutti noi”, abbracciando tutta l’autentica realtà multidimensionale dell’Universo in cui viviamo, sarà allora che non ci limiteremo a rimanere passivamente “immersi nell’oscurità”; saremo in grado di “uscire dalla caverna”; sicuramente questo è il futuro cui tutti noi vogliamo essere una parte; è la nostra vera chiamata, la nostra vocazione comune.”
Potete seguire il discorso originale al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=pJGCAWTgbn0