In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Buratti Gino, pubblicata su "Notizie minime della nonviolenza", n. 607 del 13 ottobre 2008.
Il 2 ottobre, giorno in cui Gandhi è nato, giornata internazionale della nonviolenza, ci offre, se vogliamo evitare semplicemente di cadere nel ritualismo, un'ulteriore opportunità di ragionare insieme sulla nonviolenza e le prospettive che abbiamo davanti.
Dinanzi al fallimento di una politica ed una cultura incentrata sul dominio e la violenza, dobbiamo riconoscere le difficoltà che ci troviamo davanti, sulle quali dobbiamo misurare, come movimenti nonviolenti, la nostra azione politica.
Il quadro di riferimento non è così semplice: l'ONU, che pure ha dedicato una giornata alla nonviolenza, è lontano dal riuscire a proporre politiche di intervento nonviolento in caso di crisi internazionali, allineandosi in questo agli stati.
Dinanzi al fallimento di una politica ed una cultura incentrata sul dominio e la violenza, dobbiamo riconoscere le difficoltà che ci troviamo davanti, sulle quali dobbiamo misurare, come movimenti nonviolenti, la nostra azione politica.
Il quadro di riferimento non è così semplice: l'ONU, che pure ha dedicato una giornata alla nonviolenza, è lontano dal riuscire a proporre politiche di intervento nonviolento in caso di crisi internazionali, allineandosi in questo agli stati.
La Politica, d'altra parte, riesce solo a riferirsi, quando va bene, alla nonviolenza in termini astratti e generici, che vanno dai pellegrinaggi ai luoghi e alle parole simbolo della nonviolenza (Marcia della Pace, Barbiana, Marthin Luther King, Gandhi che diventa pretesto per una pubblicità), senza che questa scelta diventi invece fondante dell'agire e delle politiche da proporre.
Quando l'assunzione della nonviolenza si limita alle semplici enunciazioni, come nel caso del mio partito, Rifondazione Comunista, (ma gli altri fanno anche peggio) non trasformando l'agire politico e i programmi, esplodono, davanti a noi, le contraddizioni profonde, come quelle vissute nell'ultimo congresso, nel quale in un istante siamo stati capaci, omologandoci alle altre culture politiche, di negare tutti i capisaldi della nonviolenza: la valorizzazione delle differenze e del costruire una sinistra plurale, la consapevolezza che la mia verità non è sufficiente a cogliere la complessità delle contraddizioni, per cui ho bisogno anche di quella dell'altro...
In questo contesto, se non vogliamo cadere nel ritualismo, credo che siamo chiamati veramente a fare memoria della storia e dell'elaborazione della nonviolenza, nei suoi punti alti, così come nelle lotte quotidiane, assumendoci l'onere tuttavia di individuare nel presente i percorsi, le azioni e le politiche per tradurre la nonviolenza in azione di lotta, e non come negazione dei conflitti e delle contraddizioni, come qualche politico, anche di sinistra, vuole proporci.
Siamo chiamati a esigere dalla politica la coerenza tra i valori enunciati, gli obiettivi e i mezzi messi in campo, comprendendo come l'agire nonviolento richieda veramente di immergersi completamente, fino a perdersi, nelle pratiche di democrazia partecipata e diffusa, nell'assunzione della propria parzialità e della necessità di una moltitudine di angoli di lettura delle contraddizioni, di stare dentro la complessità, senza scegliere le facile scorciatoie che appartengono sempre e più spesso alle pratiche di politiche violente e militari.
L'elaborazione del movimento nonviolento deve "contagiare" l'agire politico, senza prestare il fianco, invece, ad accostamenti puramente strumentali.
La nonviolenza e la pace non possono essere semplicemente ridotte ad aspirazioni etiche o ad un sistema di valori relegato alla sfera dell'utopia… il sogno, come Martin Luther King ha insegnato, rimane alto e vivo quando si traduce in lotte e conquiste quotidiane, che superino le contraddizioni dell'ingiustizia, della violenza di un'economia che per fare stare bene una minoranza deve affamare il resto del mondo, della violenza con cui affermiamo la nostra democrazia, schiacciando l'esistenza altrui, di un sistema sociale che sempre meno si occupa degli ultimi e dei poveri, ma sempre più è costruito a tutela di chi sta bene.
Pensiamo a quale azione nonviolenta dobbiamo mettere in atto dinanzi a questa economia, dinanzi a queste politiche sociali e culturali che sempre più causano emarginati, dinanzi a questo squilibrio di risorse che causa la fame, dinanzi a queste guerre sempre più legate all'economia e allo sfruttamento delle risorse…
La nonviolenza che sogno non può solo essere testimonianza, ma deve sperimentarsi… e nella pratica quotidiana segnare la differenza rispetto al facile messaggio della violenza, che ci viene riproposto dalla politica e dai media.
Credo che sia compito dei movimenti per la pace individuare azioni che pongano richieste esplicite e chiare alla Politica, sapendo che lo scontro è su interessi economici e militari fortissimi (gli USA sono governati dalla lobbies del petrolio e dell'industria militare), per cui dobbiamo dotarci di una linea politica di ampio respiro che permetta di influenzare l'azione dei governi.
Per fare questo credo veramente che dobbiamo, uscendo dal nostro particolare, lavorare in rete, mettendo in comune saperi, ricerche, esperienze… per offrire percorsi altri rispetto alle scorciatoie che ci vengono offerte: dinanzi a questo ossessionante martellare di messaggi sulla sicurezza, che poi si traducono in politiche che colpiscono semplicemente gli ultimi e non le ragioni della violenza, se riuscissimo, condividendo le diverse esperienze, a proporre nelle nostre città politiche praticabili altre, centrate sulla qualità delle relazioni (sociali, ambientali, economiche, lavorative…) sono consapevole che faremmo un gran servizio alla società e alla nonviolenza.
Al tempo stesso è il momento che quelle forze politiche che spesso si richiamano alla tradizione nonviolenta (sia laica che cattolica), traducano in scelte di governo quei loro valori, perché la nonviolenza non può essere relegata solo alle sfera delle massime aspirazioni, ma deve tradursi nella quotidianità, facendo scelte che diano ad essa le gambe per muoversi.
E' possibile misurare la forza dirompente della nonviolenza, dopo i danni nefasti prodotti dalla cultura militare, solo sperimentandolo concretamente… e non solo delegandola alla pura azione di movimento.
Per concludere, ma per dare concretezza a scelte che avvino veramente processi di gestione dei conflitti alternativi alla logica militare, chiedo:
Alla politica e a quelle forze, laiche e cattoliche, che spesso si richiamano alla nonviolenza:
Ai movimenti e alle forze politiche:
Quando l'assunzione della nonviolenza si limita alle semplici enunciazioni, come nel caso del mio partito, Rifondazione Comunista, (ma gli altri fanno anche peggio) non trasformando l'agire politico e i programmi, esplodono, davanti a noi, le contraddizioni profonde, come quelle vissute nell'ultimo congresso, nel quale in un istante siamo stati capaci, omologandoci alle altre culture politiche, di negare tutti i capisaldi della nonviolenza: la valorizzazione delle differenze e del costruire una sinistra plurale, la consapevolezza che la mia verità non è sufficiente a cogliere la complessità delle contraddizioni, per cui ho bisogno anche di quella dell'altro...
In questo contesto, se non vogliamo cadere nel ritualismo, credo che siamo chiamati veramente a fare memoria della storia e dell'elaborazione della nonviolenza, nei suoi punti alti, così come nelle lotte quotidiane, assumendoci l'onere tuttavia di individuare nel presente i percorsi, le azioni e le politiche per tradurre la nonviolenza in azione di lotta, e non come negazione dei conflitti e delle contraddizioni, come qualche politico, anche di sinistra, vuole proporci.
Siamo chiamati a esigere dalla politica la coerenza tra i valori enunciati, gli obiettivi e i mezzi messi in campo, comprendendo come l'agire nonviolento richieda veramente di immergersi completamente, fino a perdersi, nelle pratiche di democrazia partecipata e diffusa, nell'assunzione della propria parzialità e della necessità di una moltitudine di angoli di lettura delle contraddizioni, di stare dentro la complessità, senza scegliere le facile scorciatoie che appartengono sempre e più spesso alle pratiche di politiche violente e militari.
L'elaborazione del movimento nonviolento deve "contagiare" l'agire politico, senza prestare il fianco, invece, ad accostamenti puramente strumentali.
La nonviolenza e la pace non possono essere semplicemente ridotte ad aspirazioni etiche o ad un sistema di valori relegato alla sfera dell'utopia… il sogno, come Martin Luther King ha insegnato, rimane alto e vivo quando si traduce in lotte e conquiste quotidiane, che superino le contraddizioni dell'ingiustizia, della violenza di un'economia che per fare stare bene una minoranza deve affamare il resto del mondo, della violenza con cui affermiamo la nostra democrazia, schiacciando l'esistenza altrui, di un sistema sociale che sempre meno si occupa degli ultimi e dei poveri, ma sempre più è costruito a tutela di chi sta bene.
Pensiamo a quale azione nonviolenta dobbiamo mettere in atto dinanzi a questa economia, dinanzi a queste politiche sociali e culturali che sempre più causano emarginati, dinanzi a questo squilibrio di risorse che causa la fame, dinanzi a queste guerre sempre più legate all'economia e allo sfruttamento delle risorse…
La nonviolenza che sogno non può solo essere testimonianza, ma deve sperimentarsi… e nella pratica quotidiana segnare la differenza rispetto al facile messaggio della violenza, che ci viene riproposto dalla politica e dai media.
Credo che sia compito dei movimenti per la pace individuare azioni che pongano richieste esplicite e chiare alla Politica, sapendo che lo scontro è su interessi economici e militari fortissimi (gli USA sono governati dalla lobbies del petrolio e dell'industria militare), per cui dobbiamo dotarci di una linea politica di ampio respiro che permetta di influenzare l'azione dei governi.
Per fare questo credo veramente che dobbiamo, uscendo dal nostro particolare, lavorare in rete, mettendo in comune saperi, ricerche, esperienze… per offrire percorsi altri rispetto alle scorciatoie che ci vengono offerte: dinanzi a questo ossessionante martellare di messaggi sulla sicurezza, che poi si traducono in politiche che colpiscono semplicemente gli ultimi e non le ragioni della violenza, se riuscissimo, condividendo le diverse esperienze, a proporre nelle nostre città politiche praticabili altre, centrate sulla qualità delle relazioni (sociali, ambientali, economiche, lavorative…) sono consapevole che faremmo un gran servizio alla società e alla nonviolenza.
Al tempo stesso è il momento che quelle forze politiche che spesso si richiamano alla tradizione nonviolenta (sia laica che cattolica), traducano in scelte di governo quei loro valori, perché la nonviolenza non può essere relegata solo alle sfera delle massime aspirazioni, ma deve tradursi nella quotidianità, facendo scelte che diano ad essa le gambe per muoversi.
E' possibile misurare la forza dirompente della nonviolenza, dopo i danni nefasti prodotti dalla cultura militare, solo sperimentandolo concretamente… e non solo delegandola alla pura azione di movimento.
Per concludere, ma per dare concretezza a scelte che avvino veramente processi di gestione dei conflitti alternativi alla logica militare, chiedo:
Alla politica e a quelle forze, laiche e cattoliche, che spesso si richiamano alla nonviolenza:
- Di mettere all'ordine del giorno delle scelte di governo l'opzione nonviolenta, per dare gambe ad una gestione nonviolenta.
- Di sottrarre risorse al settore militare e di investire in ricerca sulla nonviolenza, perché la nonviolenza non è un'aspirazione a volersi bene e ad andare d'accordo, ma è il calarsi nei conflitti, sporcandosi le mani, e scegliendo soluzioni alte rispetto alla morte della guerra.
- Di andare a costruire, almeno a livello europeo, corpi civili di pace (caschi bianchi), che richiedono però ovviamente ricerca, risorse, capacità di investimento.
- Di Smilitarizzare l'idea di "polizia internazionale".
- Di Partire dagli ultimi, nel pensare al modello sociale, perché solo in questo modo costruiremo un modello sociale nel quale anche i forti vivono bene.
Ai movimenti e alle forze politiche:
- di avviare una pratica politica, che diventi anche prospettiva di governo, nella quale non vi sia separazione tra fini e mezzi, e nella quale anche il compromesso tra culture diverse, diventi un percorso "alto" e "trasparente
- di Passare da una idea della nonviolenza legata solo alla convivenza, all'idea di nonviolenza come azione quotidiana di fare politica.
- di avviare una riflessione sulla disobbedienza civile e sugli strumenti di questa disobbedienza.
- di individuare percorsi praticabili e riconoscibili per costruire una cultura ed una pratica politica nonviolenta