Sono riuscito finalmente a procurarmi la ristampa, fresca fresca per i tipi di Eleuthera, de "L'ecologia della libertà", il libro di Murray Bookchin (1921-2006) che lessi e studiai in carcere nel 1982 (ai tempi della "battaglia di Comiso") e che mi fulminò per la profondità della visione culturale, storica e strategica.
L'"anarchico" Bookchin era riuscito a porre con logica stringente la necessità del legame indissolubile tra impegno per la giustizia sociale e attivismo ecologico.
Non era scontato, allora, che qualcuno affermasse che il problema ecologico è in realtà un problema sociale; ed - a pensarci bene - anche adesso questa idea può, purtroppo, essere considerata abbastanza originale ed eterodossa, in un ambiente politico dove riesce difficile persino conciliare "ambientalismo" e "pacifismo" (come è dimostrato, ad esempio, dal fatto che l'opposizione al nucleare civile è gestita come "altra cosa" rispetto a quella sul nucleare militare).
Per Bookchin esiste una comune e coerente matrice di dominio e di violenza nella società caratterizzata dalle "gerarchie privilegiate", che opprimono i loro simili allo stesso modo in cui brutalizzano la natura per monopolizzarne le risorse. Ne deriva che tutti coloro che desiderano una società in senso libertario ed ecologico devono combattere la stratificazione sociale gerarchica per abbattere, a monte, il principio stesso della dominazione.
Il punto che più mi ha affascinato del libro - la narrazione mi avvinse sul serio - è il tentativo di ricostruzione storico-strutturale dell'origine lontana della gerarchia sociale istituzionalizzata; una parabola storica che - per quanto convincente - è inevitabile che non possa fugare tutti gli aspetti oscuri di questo tragico "Vaso di Pandora" dei nostri mali. Per dirla in breve, secondo Bookchin, il punto di partenza è stata la posizione poco chiara e irrilevante degli anziani nelle prime società organiche. Alleandosi con gli sciamani gli anziani riuscirono a fare in modo che i giovani cacciatori usassero la loro forza e le loro armi per soggiogare gli altri giovani e le altre donne. Questo fu l'inizio della marcia trionfale della crescita delle gerarchie: un popolo soggiogava altri popoli, una classe sociale altre classi, gli esseri uomini sottomettevano le altre creature viventi...
Cito, per aiutare il ragionamento, alcuni passi dalla premessa all'edizione italiana di "L'ecologia della libertà", che Bookchin scrisse nell'agosto 1988.
"Non è più possibile, oggi, considerare i problemi ecologici poco importanti, marginali, "borghesi"... La società attuale sta danneggiando il pianeta a livelli tali da superare le sue capacità di autorisanamento... (Di fronte a probabili scenari catastrofici) c'è il rischio che ci si volga a curare i sintomi anziché le cause ... Per quanto sia importante fermare la costruzione di centrali nucleari e di autostrade, di grandi agglomerati urbani o bandire l'uso di sostenze chimiche micidiali in agricoltura e nell'industria alimentare, bisogna rendersi conto che le forze che conducono la società verso la distruzione planetaria hanno le loro radici in un'economia mercantile da "crescere-o-morire", in un modo di produzione che deve espandersi in quanto sistema concorrenziale... La crescita illimitata (nel mondo concorrenziale - ndr) è inevitabile: essa acquisisce l'inesorabilità di una legge fisica che funziona indipendentemente dalle intenzioni individuali, dalle propensioni psicologiche, dalle considerazioni etiche...
Agli enormi problemi sistemici creati da questo ordine sociale si devono aggiungere gli enormi problemi sistemici creati da una mentalità che cominciò a svilupparsi assai prima della nascita del capitalismo e che in esso è stata completamente assorbita... Si devono esplorare le origini della gerarchia e del dominio, se si vuole trovare un rimedio allo sconquasso ecologico...
Il fatto che la gerarchia in tutte le sue forme - dominio dell'anziano sul giovane, dell'uomo sulla donna, dell'uomo sull'uomo in forma di subordinazione di classe, di casta, di etnia o di una qualsiasi delle altre possibili stratificazioni di status sociale - non sia stata identificata come un ambito di dominio assai più ampio del solo dominio di classe appare come una delle carenze cruciali del pensiero radicale. Nessuna liberazione sarà mai completa, nessun tentativo di creare un'armonia tra gli esseri umani e tra l'umanità e la natura potrà mai avere successo, finchè non saranno state sradicate tutte le gerarchie e non solo le classi, tutte le forme di dominio e non solo lo sfruttamento economico...
Queste idee costituiscono il nucleo centrale della mia concezione di ecologia sociale e di questo libro, L'ecologia della libertà...
(La sottolineatura dell'uso del termine sociale introduce) un altro concetto fondamentale: nessuno dei principali problemi ecologici che ci troviamo oggi ad affrontare può essere risolto senza un profondo mutamento sociale. E' questa una idea le cui implicazioni non sono state pienamente assimilate dal movimento ecologico... Il biocidio (può essere solo rallentato dai piccoli cambiamenti), ma proseguirà, a meno che non si convinca la gente che è necessario un mutamento radicale e non ci si organizzi a tale scopo. Si deve accettare il fatto che l'attuale società capitalista debba essere rimpiazzata da quella che io chiamo "società ecologica", cioè da una società che implichi i radicali mutamenti sociali indispensabili per eliminare gli abusi ecologici.
Anche sulla natura di tale società si deve approfonditamente riflettere e dibattere. Alcune conclusioni in merito sono quasi ovvie. Una società ecologica, se deve eliminare il concetto stesso di dominio sulla natura, deve essere non gerarchica e senza classi. A questo proposito occorre riandare ai fondamenti (della critica sociale - ndr), gli ideali umanisti devono essere nel loro complesso recuperati e fatti progredire nella forma di un umanesimo ecologico che incarni una nuova razionalità, una nuova scienza, una nuova tecnologia...
Le trasformazioni sociali di grande portata che propongo non posoono avvenire tramite l'apparato statale; (...) una nuova politica dovrebbe, secondo me, implicare la creazione di una sfera pubblica "di base" estremamente partecipativa, a livello di città, di paese, di villaggio, di quartiere. Il capitalismo certamente ha prodotto tanta distruzione dei legami comunitari quanta devastazione del mondo naturale. In entrambi i casi, ci troviamo di fronte alla semplificazione delle relazioni umane, alla loro riduzione alle più elementari forme interattive e comunitarie. Ma laddove esistono ancora legami comunitari e laddove, anche nelle più grandi città, possono nascere interessi comuni, questi devono essere coltivati e sviluppati...
La prima conseguenza pratica di quella lettura, per quanto riguarda gli atteggiamenti politici, fu per me una maggiore consapevolezza della necessità di rifiutare l'"ambientalismo scientifico", parente di quello "tecnocratico", per come lo vedevo tratteggiato ed interpretato soprattutto da una associazione come Legambiente, che considero la quintessenza del lobbysmo specialistico finalizzato all'affarismo "verde".
A livello terminologico, sulla scia di Bookchin, ho infatti sempre distinto gli "ambientalisti", caratterizzati da un approccio presunto tecnico ai problemi ecologici, dagli "ecologisti", contraddistinti invece da un modo di porsi, appunto, sociale. L'ecologia sociale, inoltre, mi separava anche dagli "ecologisti profondi" alla Turi Vaccaro e di molti altri amici ultra-bucolici con cui collaboravo alla Verde Vigna, il campo pacifista che, mediante una sottoscrizione internazionale (il "metro quadro di pace") avevamo acquistato a ridosso della base missilistica di Comiso.
Nell'introduzione italiana Bookchin mi sembra chiarire benissimo le categorie, sopra accennate, di Ecologia profonda ed Ambientalismo tecnocratico, cui contrappone l'Ecologia Sociale.
"Si va diffondendo in Nord America, ma anche in Europa, una sorta di malattia spirituale, un atteggiamento anti-illuminista che, in nome del "ritorno alla natura", evoca atavici irrazionalismi, misticismi, religiosità dichiaratamente "pagane". Culti delle "divinità femminili", "tradizioni paleolitiche" (o, secondo i gusti "neolitiche"), rituali "ecologici" (insomma tutta una sorta di ecologia vudù, auto-definitasi "ecologia profonda", che quanto a primitivismo fa il pari con l'economia vudù dell'Amministrazione Reagan) vanno prendendo piede di qua e di là dell'Atlantico in nome di una "nuova spiritualità"...
Dall'altro lato è in via di costruzione un mito tecnocratico secondo il quale la scienza e l'ingegneria risolverebbero tutti i mali ecologici. Come nelle utopie di H.G. Wells, ci si chiede di credere che c'è bisogno di una nuova élite per pianificare la soluzione della crisi ecologica. Fantasie del genere sono implicite nella concezione della Terra come di un'astronave, che può essere manipolata dall'ingegneria genetica, dall'ingegneria nucleare, dall'ingegneria elettronica, dall'ingegneria politica (tanto per dare un nome altisonante alla burocrazia). Ci si parla dell'esigenza di una maggiore centralizzazione dello Stato, che sfocerebbe nella creazione di megaStati, in raggelante parallelo con le imprese multinazionali...
L'ecologia sociale, così come la presento in questo libro, lancia un messaggio che non è primitivista nè tecnocratico. Essa cerca di definire il posto dell'umanità nella natura... come parte di essa, anche se differisce profondamente dalla vita non umana per la capacità che ha di pensare concettualmente e di comunicare simbolicamente... Gli esseri umani non sono soltanto una delle tante forme di vita, una forma meramente specializzata per occupare una delle tante nicchie ecologiche del mondo naturale. Sono esseri che, per lo meno potenzialmente, potrebbero rendere l'evoluzione biotica auto-cosciente e consapevolmente autodirezionata...
La concezione di Bookchin, che rigetta esplicitamente l'antropocentrismo - il paradigma che vorrebbe l'uomo al centro della natura, padrone e dominatore di tutto - e comunque consapevole dei limiti progettuali e pratici della nostra capacità di determinare l'ambiente che ci circonda, potremmo definirla, con neologismo che testè invento, "antropo-avanguardista". Bookchin, insomma, non vuole dire che l'umanità può e deve prendere da subito il "timone" dell'evoluzione naturale per dirigerla a capriccio: tutto il libro anzi suggerisce la massima prudenza negli interventi perchè, oltretutto, "dobbiamo ricordarci che ancora oggi siamo meno che umani".
"La nostra è tuttora una specie divisa, divisa antagonisticamente per età, genere, classe, reddito, etnia, eccetera, e non una specie unita... Un'umanità "illuminata", giunta a rendersi conto delle sue piene potenzialità è solo una speranza e non certo una realtà esistente, un "dover esssere" e non un "essere". Il problema di attingere la nostra piena umanità è un problema sociale che dipende da fondamentali mutamenti istituzionali e culturali"...
Le trasformazioni di grande portata necessarie in tal senso per Bookchin non possono avvenire attraverso l'apparato statale centralizzato ed in particolare attraverso la lotta politica parlamentare.
"La mia esperienza con il movimento verde tedesco mi ha chiarito che il parlamentarismo è moralmente dannoso nel migliore dei casi e del tutto corrotto nel peggiore. La rappresentanza dei Verdi al Bundestag ha confermato i miei peggiori timori: la sua maggioranza "realista" si è dichiarata favorevole alla partecipazione della Germania Occidentale alla NATO e ha elaborato una forma di "ecocapitalismo" (contraddizione in termini) incompatibile con qualunque approccio ecologico radicale".
La proposta di Bookchin, nel proseguio della sua opera,si è ulteriormente completata, sviluppata e definita, a livello dell'organizzazione politica, come "Municipalismo libertario" (Eleuthera, 1993): l'autogestione di comunità comunali che si confederano dal basso in modo sempre più generale prende come lontano modello le poleis greche, naturalmente espungendone le incrostazioni classiste dell'epoca che limitavano la partecipazione al processo decisionale. E' notevole che il Nostro, mentre - a quanto mi risulta, non vorrei che la memoria mi ingannasse - non esclude la partecipazione alle elezioni comunali mediante lo strumento di liste civiche, ritiene che questo coinvolgimento vada assolutamente evitato a livelli territoriali più ampi (abbiamo visto il suo disprezzo per la lotta parlamentare).
"Il municipalismo libertario prende la sua vitalità e la sua integrità proprio dalla tensione dialettica che esso promuove tra la nazione-stato e la confederazione municipale. La sua "legge di vita" [...] consiste precisamente nella lotta contro lo Stato centrale. La tensione tra le confederazioni municipali e lo Stato deve essere chiara e senza compromessi. Dato che queste confederazioni esisteranno prima di tutto in opposizione all'entità statale, esse non potranno compromettersi con lo Stato, o con elezioni provinciali o nazionali, e ancor meno potranno essere organizzate mediante questi mezzi. Il municipalismo libertario viene plasmato dalla sua lotta con lo Stato, viene rafforzato dalla sua lotta e in ultimo definito da questa lotta".
Sul blog "L'anarchico" (alla URL: http://anarchico.noblogs.org/post/2010/02/21/comunalismo-municipalismo) trovo interessanti notazioni sul "Municipalismo libertario", ivi considerato come erede storico del classico "comunalismo anarchico" collegato al al pensiero di Proudhon e di Bakunin:
“Mentre le prime teorie attribuivano ai comuni sostanzialmente le funzioni amministrative e di erogazione di "servizi pubblici" affidando il potere decisionale alle società operaie (la cui federazione doveva essere parallela a quella dei comuni federati), il municipalismo libertario concepisce il comune come uno strumento di democrazia diretta che ha il controllo sull'economia. [...] Il municipalismo libertario prevede una fase di transizione rivoluzionaria durante la quale la federazione dei comuni si afferma come potere alternativo contro lo Stato-nazione” - da "La politica dell'ecologia sociale: Intervista a Janet Biehl" (compagna e collaboratrice di Bookchin) di Chuck Morse, 1998 in http://flag.blackened.net/ias/3biehlitalian.htm
Il Municipalismo libertario prevede comunità autogestite a livello comunale o di quartiere nel caso di grandi città attraverso istituzioni di democrazia diretta: assemblee cittadine, assemblee popolari o riunioni urbane. Utilizzando le istituzioni autogestite i cittadini potrebbero autogovernarsi arrivando alle decisioni politiche attraverso processi di democrazia diretta. “Per affrontare i problemi che travalicano i confini del singolo comune, i comuni di una data regione formerebbero una confederazione e invierebbero i propri delegati a un consiglio confederale. La confederazione non sarebbe uno Stato, perché dipenderebbe integralmente dalle assemblee cittadine. I delegati inviati da queste assemblee avrebbero solo la facoltà di presentare le delibere delle rispettive assemblee; agirebbero esclusivamente su mandato e sarebbero facilmente revocabili” - da "La politica dell'ecologia sociale: Intervista a Janet Biehl"
Viene ipotizzato da Bookchin - lo si è già accennato - che attraverso lo sviluppo del movimento municipalista libertario e del sistema dell’autogoverno si possa estendere la portata delle istituzioni autogestite in senso municipalista configurando un possibile conflitto con le istituzioni statali che, a fronte dell’autogoverno popolare risulterebbero di fatto svuotati di senso. Una volta acquisita nei fatti la forza sufficiente i liberi comuni potrebbero strappare “il controllo della vita economica alle grandi imprese private, espropriando gli espropriatori. A quel punto sarebbe possibile dare vita a una società razionale, libertaria, ecologica, in cui il potere strutturale sarebbe in mano alle assemblee di democrazia diretta, animate da una cittadinanza attiva e vivace” - da "La politica dell'ecologia sociale: Intervista a Janet Biehl"
La sintesi municipalista di Bookchin ha esercitato un notevole influsso sulla nuova sinistra che si oppone alla globalizzazione capitalista di stampo neoliberale. Alcuni movimenti politici sono arrivati a utilizzare il municipalismo libertario per giustificare ideologicamente la partecipazione alle elezioni locali di liste civiche che avrebbero dovuto favorire la “transizione” verso il municipalismo che, originariamente, comunque non prevede l'elettoralismo (ma neanche lo esclude a livello comunale - ndr).
Un punto cruciale del discorso di Bookchin che mi sembra assolutamente condivisibile è l'individuazione del soggetto rivoluzionario nel "cittadino", non nel "lavoratore", come da - rigettata - vulgata marxista.
L'individuo sociale pone i bisogni collettivi della comunità al di sopra degli interessi particolaristici che emergono facilmente se si parte dal posto di lavoro. Il posto di lavoro perpetua invece l'esistenza dei soggetti in quanto meri produttori, con interessi specifici conflittuali rispetto a quelli generali, magari in nome della "democrazia operaia", del "controllo operaio" e, spesso, di una forma di "capitalismo collettivo" orientato al mercato.
Scrive Bookchin nel già citato "Democrazia diretta - idee per un municipalismo libertario":
"La democrazia si realizza nella comunità, non sul posto di lavoro, che costituisce un segmento limitato della vita, spesso più prossimo alla sfera della necessità (pur se resa più piacevole, creativa ed attraente) che non alla sfera della libertà".
Questo perchè "Obiettivo del municipalismo libertario è quello di contribuire a formare cittadini (più genericamente esseri umani), non proletari, professionisti, esperti e così via. Uno degli scopi è quello di rendere universale la condizione umana, non di particolarizzarla e provincializzarla".
La presa di distanza di Bookchin è netta nei confronti delle illusioni identitarie da comunità chiuse oggi coltivate da certi movimenti basisti che, a mio avviso, finiranno, alla lunga, per "tirare la volata ai leghisti". Il cittadino di cui si discute è - pensa Bookchin e, modestamente, lo penso anche io - "cittadino del mondo", è l'essere umano che custodisce il territorio in nome e per conto dell'umanità intera, non l'indigeno che rivendica la proprietà esclusiva del suo pezzo di terra nell'ansia di demarcarne il confine invalicabile.
"La politica dell'identità che fiorisce oggi sotto il capitalismo tende facilmente ad una qualche forma di xenofobia, di razzismo, di sessismo e alimenta un "amore del localismo" con venature mistiche che sfiora il provincialismo più gretto. Una cultura politica è una cultura condivisa; è una cultura più ricca delle altre giacché integra culture diverse rette da un'etica della complementarietà, della mutualità, del rispetto e riconoscimento reciproco".
Netta è anche la critica di Bookchin alle illusioni di "democrazia elettronica"
Riassumendo, nella mia auto-formazione di giovane attivista non semplicemente antimilitarista ma "olistico", di cultura ormai libertaria anche se non ideologicamente anarchica, era importante per me superare in avanti il retaggio marxista 68ino e 77ino approdando alla concezione della ecologia sociale, che ricomprendeva la lotta di classe in una più ampia lotta contro il dominio gerarchico e che potevo integrare con la visione nonviolenta della lotta politica.
Gli anni sono passati ed il mio ripudio dell'originario marxismo (a 16 anni "Il Capitale" me lo ero letto e studiato già tre volte!) si è oggi approfondito attraverso la critica del suo meccanismo teorico fondamentale: la teoria dello sviluppo delle forze produttive come motore e senso della storia. L'idea che scienza-tecnica-tecnologia sociale storicamente dispiegatesi possano essere in realtà sviluppo di forze distruttive è un risultato recentemente acquisito, nella "Invenzione dell'economia", dalla ricerca di Serge Latouche, il propugnatore della "decrescita", recentemente ribattezzata "acrescita", ma a ben vedere era già contenuta in un altra mia autrice di culto, anch'essa da me molto frequentata nei primi anni '80: Simone Weil.
Questa critica, a ben vedere, la si ritrovava già nelle "Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale", scritto dalla allora 25enne filosofa francese (una riduttivissima definizione!) nel 1934. La Weil metteva in discussione la "neutralità" e l'"oggettività" delle forze produttive e l'idea che fossero destinate ad accrescersi illimitatamente, rivoluzionando necessariamente i rapporti di produzione. La critica non si limitava superficialmente a bersagliare l'illusione che la soppressione della proprietà privata avrebbe da sola determinato la fine dello sfruttamento e dell'oppressione. Si appuntava più radicalmente sul sogno della automazione universale, frutto dei progressi scientifici e tecnologici, di una energia illimitata e senza costi (oggi, ad esempio, si sogna la fusione nucleare!), che avrebbe abolito la fatica (simbolo della condizione del limite e del dolore: il paradiso in Terra). Per Simone Weil il limite insormontabile per questa ipotesi assurda (il robot che, animato da un fuoco inestinguibile, lavora sostituendo in tutto e per tutto il lavoro umano) sta nell'imprevedibilità che inesorabilmente accompagna l'esperienza esistenziale umana (di fronte a ciò, non vi sarà mai un adattamento macchinico realmente efficace). In ogni caso, non solo l'evoluzione dell'automazione all'infinito è un'utopia, ma si dovrebbe comprendere che a livelli tecnici via via più alti corrispondono, ad un certo punto, inconvenienti crescenti rispetto ai vantaggi. Simone Weil paragona il mito, sia "capitalista" che "comunista", del progresso infinito nel rendimento del lavoro e nella produzione dei beni materiali alla (vana) ricerca della “macchina del moto perpetuo”, quella in grado di produrre lavoro indefinitamente senza consumarne mai (contrastando con il secondo principio della termodinamica). Eppure, orientandosi su un tale immaginario di onnipotenza sconsiderata hanno sacrificato la vita i rivoluzionari comunisti dando vita al fallimentare esperimento del "socialismo reale"...
Ma, mi dispiace per Bookchin e seguaci, dipendesse da me relegherei anche l'anarchismo, come del resto tutti gli "ismi" dal Settecento al Novecento, negli sgabuzzini della Storia (non escludendo nemmeno il "nonviolentismo" ideologico).
Non credo infatti antropologicamente possibile, per l'animale umano così "gregario" come si configura oggi - tra 1.000 anni, se siamo fortunati, magari se ne potrà riparlare - una dismissione assoluta della pratica della delega ed una abolizione di ogni gerarchia, distinguendo le differenze prodotte dall'autorità coercitiva rispetto a quelle determinate dall'autorevolezza competente. Ne deriva che reputo realistico - nell'attesa attiva della donna e dell'uomo nuovi di là da venire (e che verranno) - puntare, in un orizzonte storico credibile, su una società ecologica regolata da uno "Stato minimo", che non può nascere solo dalla libera confederazione di entità comunali. Vedo perciò la compresenza di tre forme democratiche, quella diretta, quella partecipativa, quella rappresentativa. Compresenza che può funzionare se si sviluppa al massimo il controllo popolare (garantendo separazione dei poteri e diffusione della leadership a rotazione) e, innanzitutto, si disarticolano ed estinguono i macro-apparati delle burocrazie separate, a partire dai sistemi della difesa armata (ma anche la grande finanza e le imprese multinazionali).
Vi sono poi, al di là del problema antrologico della propensione alla delega, due ostacoli politicamente e socialmente insormontabili, oggi, contro l'ipotesi di una democrazia diretta assoluta:
1- la nostra economia è troppo "globalizzata" per dipanare la complessità della produzione, del commercio, della circolazione monetaria;
2- i nostri moderni centri abitativi sono troppo grandi e concentrati per permettere, al 100%, processi decisionali diretti a livello di base: già una piccola città come Milano è fuori taglia, figuriamoci con le megalopoli di 20 milioni di abitanti che si stanno moltiplicando!
Quanto alla tecnologia (Internet) come veicolo di "democrazia elettronica", foriera di Popoli Viola, Gialli, Lillà (se "Repubblica" acconsente), è lo stesso Bookchin a gettare - secondo me giustamente - acqua fredda sugli entusiasmi: la partecipazione democratica vera è fatta da soggetti che vivono una vita collettiva, si frequentano e conoscono bene l'un l'altro, confrontano le opinioni, dialogano e le modificano nel mentre affrontano e risolvono insieme problemi pratici.
"Il referendum, espresso nel privato della propria cabina elettorale oppure, come vorrebbero i sostenitori entusiasti dell'informatica, nella solitudine elettronica della propria casa, privatizza la democrazia e quindi la sconvolge. Il voto, al pari del sondaggio sulle proprie preferenze in fatto di saponi o detersivi, è la completa quantificazione della cittadinanza, della politica, dell'individualità... L'individuo isolato, privo di contesto comunitario, di rapporti solidali e di relazioni organiche, viene distolto dal processo di formazione del sè (paideia), mentre una vera cittadinanza ed una vera politica implicano la formazione permanente della personalità, un senso crescente di responsabilità e di impegno pubblico in senso comunitario. I caratteri personali e politici vitali non si costruiscono certo nel privato della cabina elettorale (o dietro un PC smanettando a tempo perso - ndr). Per realizzarsi, richiedono l'esistenza di una presenza pubblica incarnata da individui che pensano e si esprimono, di una sfera pubblica responsabile e discorsiva... In mancanza di una municipalità a scasa umana, comprensibile e praticabile dal punto di vista istituzionale, è semplicemente impossibile conseguire questa fondamentale funzione politica". (da "Democrazia diretta - idee per un municipalismo libertario").
Ovviamente dobbiamo combattere queste tendenze per approdare ad una sempre maggiore autosufficienza dei territori con insediamenti abitativi a dimensione umana: ma si tratta, appunto, di un obiettivo di medio-lungo periodo che occorre raggiungere, non di una "datità" sulla quale possiamo appoggiarci per stabilire oggi un qualsiasi equilibrio.
La mia posizione, insomma è la seguente: bisogna essere utopisti al punto giusto per potere immaginare e perseguire un nuovo possibile, uscendo dalla gabbia di T-I-N-A (There is no alternative).
Ma cercare la T-I-T-I-N-A (There is total insecurity - we need alternatives), come cantava Charlot, non signfica additare l'Isola che palesemente non c'é: perchè la gente, che è stupida ma solo fino ad un certo punto, allo stesso modo di come lo sono io, che scrivo, e lo sei tu, che mi leggi, giustamente manda a quel paese coloro che gli propongono un presente ed un futuro di dissipazione di tempo ed energie; ma sarebbe ancora più preoccupante se fosse abbagliato dallo stesso delirio e li seguisse. L'esperienza storica insegna che in questo caso i conducator donchisciotteschi - spesso rimpiazzati ad un certo punto da imbroglioni che agiscono pro domo loro (i maiali più eguali degli altri) - rinominerebbero "oasi paradisiaca" uno scoglio desertico e lì vi farebbero perire di fame, di sete e di stenti la ciurma credulona, non escludendo il carcere o peggio per i disgraziati che cominciassero a nutrire dubbi e a dissentire...
Citazioni di Murray Bookchin da http://it.wikiquote.org/wiki/Murray_Bookchin
- Per recuperare l'urbanesimo come il terreno adatto all'associazionismo, alla cultura, alla comunità, la megalopoli deve essere distrutta senza pietà, e sostituita da nuove comunità decentrate, ognuna inserita con cura nell'ecosistema di cui fa parte. Si può a ragione sostenere che queste ecocomunità avranno le caratteristiche migliori della polis e del comune medioevale, sostenute da ecotecnologie complete in grado di portare gli elementi più avanzati della tecnologia contemporanea comprese fonti di energia come il vento e il sole su scala locale. Vi sarà un nuovo equilibrio tra città e campagna non sobborghi sparsi che mistifichino un pezzetto di prato o qualche albero disposto strategicamente come natura, ma un'ecocomunità funzionalmente interagente, che unisca il lavoro mentale e quello fisico, l'agricoltura e l'industria, l'individuo e la collettività. (da I limiti della città (The Limits of the City, 1974), traduzione di Mila Leva e Alberto Friedemann, Feltrinelli, Milano, p. 150; citato in Varengo 2007, p. 113)
- Quello che è più importante è che il punto di vista ecologico conduce ad interpretare ogni relazione sociale, psicologica, naturale, in termini non gerarchici. Per l'ecologia non si può comprendere la natura se ci si pone da un punto di vista gerarchico. Inoltre, essa afferma che la diversità e lo sviluppo spontaneo, costituiscono dei fini in sé, che devono essere rispettati per se stessi. (da Spontaneità e organizzazione (On Spontaneity and Organization, Anarchos, n. 4, 1972), Torino, Edizioni del Centro Documentazione Anarchica, 1977, p. 28; citato in Varengo 2007, p. 61)
- Sto parlando di ecologia, non di ambientalismo. Quello che interessa l'ambientalismo è mettere al servizio dell'uomo il suo habitat, quello che è conosciuto come un insieme passivo di "risorse naturali" e "risorse urbane" che la gente utilizza. [...] L'ecologia è invece, nel suo aspetto migliore, una scienza artistica o un'arte scientifica è una forma di poesia che riunisce scienza ed arte in un'unica sintesi. (ivi, pp. 27-28; citato in Varengo 2007, p. 63)
- L'idea di avventurarsi in una descrizione utopica di come si presenterebbe e di come funzionerebbe una società ecologica è allettante, ma ho promesso di lasciare questo compito a quel dialogo utopico di cui oggi abbiamo assolutamente bisogno. (da Utopismo e futurismo (Utopianism and Futurism, 1979), traduzione di Michele Buzzi, Volontà, n. 3, 1981, p. 76)
- Nei suoi aspetti migliori, il marxismo tradisce se stesso, poiché assimila inavvertitamente i caratteri più dubbi del pensiero illuminista ed è sorprendentemente vulnerabile dalle sue implicazioni borghesi. Nei suoi aspetti peggiori, invece, la teoria marxista rappresenta l'apologia di un'epoca storica nuova, testimone della fusione tra 'libero mercato' e pianificazione economica, tra proprietà privata e proprietà nazionalizzata, tra competitività e manipolazione oligopolistica della produzione e dei consumi, tra economia e stato in breve, l'epoca moderna del capitalismo di stato. (da Il marxismo come ideologia borghese, A Rivista Anarchica, n. 81, marzo 1980, p. 34 (tit. orig. Marxism as Bourgeois Sociology, "Comment", vol. 1, n. 2, febbraio 1979))
- Chiedere la "decentralizzazione" senza l'autogestione, cioè senza libertà di partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli e senza proprietà, produzione e ripartizione comune dei mezzi materiali a seconda delle necessità individuali, sarebbe puro oscurantismo. (da Il futuro del movimento anti-nucleare, Volontà, n. 3, luglio/settembre 1980, p. 72; citato in Varengo 2007, p. 116)
- Per quasi due secoli, tutte le teorie di classe sul progresso sociale sono state fondate sull'idea che il 'dominio dell'uomo da parte dell'uomo' fosse imposto dalla necessità della "dominazione della natura" come presupposto per l'emancipazione dell'umanità nel suo complesso. Questa concezione della storia, già evidente negli scritti politici di Aristotele, divenne 'scienza socialista' nelle mani di Marx e costituisce ancora oggi una pericolosa giustificazione della gerarchia e del dominazione in nome dei principi di uguaglianza e di liberazione. In ultima analisi, nelle 'sacre scritture' del socialismo, il vero nemico non è il capitalismo, bensì la natura. (da L'armonia perduta, A Rivista Anarchica, n. 121, agosto/settembre 1984, p. 12; citato in Varengo 2007, p. 135)
- Di fatto, una società ecologica sarebbe veramente una trascendenza di entrambe le nature nella nuova sfera di natura libera [...]. Lungi dal ridurne l'integrità, l'umanità aggiungerebbe alla prima natura la dimensione della libertà, della ragione e dell'etica, ed eleverebbe l'evoluzione a quel grado di auto-riflessività che è sempre stato latente nella stessa emergenza del mondo della natura. (da Pensare in modo ecologico (Thinking Ecologically, 1986), traduzione di Michele Buzzi, in L'idea dell'ecologia sociale. Saggi sul naturalismo dialettico, Ila Palma, Palermo, 1996, p. 88; citato in Varengo 2007, p. 79)
- L'esperienza mi ha insegnato che quando gruppi più ampi cercano di raggiungere una decisione attraverso il consenso, questo dà adito a un subdolo autoritarismo e a pesanti manipolazioni, anche se fatte in nome dell'autonomia o della libertà. Inoltre il consenso obbliga di solito questi gruppi allargati a raggiungere il minimo comun denominatore intellettuale quando si opera una scelta: l'assemblea di grandi dimensioni adotta la decisione meno contestabile e perfino la più mediocre, proprio perché chiunque può essere d'accordo o altrimenti rinunciare al voto su quella questione. (da La via del comunitarismo (What Is Communalism?, 1994), traduzione di Guido Lagomarsino, Volontà, n. 4, 1994, pp. 40-41; citato in Varengo 2007, p. 105)
Per una società ecologica
- Gli ambientalisti progressisti e misantropi ci ammanniscono una dieta costante di rimbrotti circa il modo in cui "noi", in quanto specie, siamo responsabili del degrado ambientale. [...] Il messaggio della rappresentazione era uno solo, fondamentalmente antiumano: sono gli individui come tali, non la società rapace e coloro che ne beneficiano, ad essere responsabili degli squilibri ecologici. (pp. 18-19; citato in Varengo 2007, p. 82)
- Parlare di "limiti di crescita" in seno ad un'economia di mercato capitalistica non ha alcun senso, così come non ne ha parlare di limiti della guerra in una società guerriera. Gli scrupoli morali cui oggi danno voce tanti ambientalisti sapientoni sono tanto ingenui quanto quelli delle multinazionali sono fasulli. li capitalismo non può essere "persuaso" a porre un freno al suo sviluppo, così come non si può "persuadere" un essere umano a smettere di respirare. I tentativi di realizzare un capitalismo "verde", o "ecologico", sono condannati all'insuccesso a causa della natura stessa del sistema, che è un sistema di crescita continua. (p. 99; citato in Varengo 2007, p. 34)
- Per generazioni i pensatori di sinistra hanno detto la loro circa i "limiti intrinseci" del sistema capitalistico, i "meccanismi interni" che l'avrebbero portato inevitabilmente all'autodistruzione. Marx si è guadagnato il plauso di schiere infinite di autori per aver previsto che il capitalismo sarebbe crollato e sarebbe stato sostituito dal socialismo, in seguito ad una crisi cronica che avrebbe portato perdita di profitto, stagnazione economica e lotta di classe da parte di un proletariato sempre più impoverito. Osservando oggi gli immensi squilibri biogeochimici che hanno aperto buchi nello strato di ozono dell'atmosfera e innalzato la temperatura del nostro pianeta in seguito all'effetto serra", tali limiti appaiono chiaramente di natura ecologica. Quale che possa essere il destino del capitalismo come sistema con i suoi specifici "limiti interni" sul piano economico, possiamo comunque affermare che esso ha dei limiti esterni sul piano ecologico". (pp. 99-100; citato in Varengo 2007, p. 48)
- A meno di non coltivare (futilmente, credo) miti di insurrezioni proletarie, in un impari scontro con le armi nucleari degli Stati nazionali moderni, non possiamo far altro che cercare contro-istituzioni che possano contrapporsi al potere nazionale. (p. 199; citato in Varengo 2007, p. 123)
Post-Scarcity Anarchism
- Dobbiamo spezzare non soltanto i rapporti sociali imposti dalla società borghese, ma anche la dominazione, retaggio di una società gerarchica più che millenaria. Quello che dobbiamo creare per poter disciogliere i legami della società borghese non è soltanto una società priva di classi, come viene prospettata dal socialismo, ma l'utopia della non repressione, prospettata dall'anarchismo. (introduzione, p. 10; citato in Varengo 2007, p. 73)
- La società gerarchica non ha futuro e la nostra alternativa all'estinzione sociale è solamente l'utopia. (introduzione, p. 15; citato in Varengo 2007, p. 82)
- Che la libertà debba essere concepita in termini umani, non animali in termini di vita, non di sopravvivenza è abbastanza chiaro. L'uomo non si libera dalle catene della schiavitù e non acquista una dimensione veramente umana semplicemente scrollandosi di dosso la dominazione sociale e conquistando una libertà astratta. Deve conquistare una libertà concreta: libertà dai bisogni materiali, dalla schiavitù del lavoro, dalla necessità di dedicare la maggior parte del proprio tempo cioè, della propria vita alla lotta per la sopravvivenza. Il grande contributo di Karl Marx alla teoria rivoluzionaria moderna consiste nell'aver compreso che queste sono le premesse fondamentali per la libertà dell'uomo, e nell'aver indicato che la libertà presuppone la possibilità di godere del tempo libero, e quindi un benessere materiale tale da togliere al tempo libero il carattere di privilegio sociale. Alla stessa stregua, non bisogna confondere le premesse necessarie alla libertà con le condizioni della libertà. Se la libertà è possibile, ciò non significa che essa sia, di fatto, realizzata. (L'anarchismo nell'età dell'abbondanza, p. 24; citato in Varengo 2007, p. 90)
- La famiglia patriarcale seminò nel campo dei primi, elementari rapporti sociali il germe della dominazione; la classica antinomia, caratteristica del mondo antico, tra spirito e realtà tra lavoro e intelletto contribuì a fecondarlo; infine, esso crebbe e si sviluppò alla luce della concezione antinaturalistica del cristianesimo. Ma fu solo quando i rapporti organici all'interno delle forme comunitarie si mutarono in rapporti di mercato, che l'intero pianeta divenne fertile terreno per lo sfruttamento. Così, questa tendenza secolare trova il suo punto di massimo sviluppo nel capitalismo moderno. (Ecologia e pensiero rivoluzionario (Ecology and Revolutionary Thought, 1964), p. 42; citato in Varengo 2007, p. 51)
- Il fatto è che l'uomo sta disfacendo l'opera di secoli di evoluzione organica [...] l'uomo sta distruggendo la piramide biologica che per millenni ha assicurato la sopravvivenza della razza umana. Nel corso di questa sostituzione di rapporti ecologici complessi, dai quali dipende la sopravvivenza di tutte le forme avanzate di vita, con rapporti più elementari, l'uomo sta gradualmente riportando la biosfera a un livello che le consentirà di assicurare la sopravvivenza solo a forme di vita estremamente semplici. Se questo capovolgimento del processo evolutivo continuerà, non è illegittimo pensare che le condizioni necessarie all'esistenza delle forme di vita più elevate saranno irrimediabilmente compromesse e che la terra non potrà più garantire la sopravvivenza del genere umano. (Ecologia e pensiero rivoluzionario, p. 45; citato in Varengo 2007, p. 45)
- Riportare il sole, il vento, la terra, il mondo della vita nella tecnologia, tra i mezzi necessari all'uomo per la sua sopravvivenza, significa restaurare, in senso rivoluzionario, il legame tra l'uomo e la natura. Restituirgli un senso di dipendenza che contribuisca a valorizzare il carattere unico e distintivo di ogni comunità regionale di dipendenza, cioè, non generalizzata, ma legata a una regione specifica con caratteristiche peculiari significa compiere un passo decisivo in direzione di un mutamento radicale di tipo ecologico. Si instaurerebbe così un vero sistema ecologico, basato su un complesso di risorse naturali in un rapporto delicato e perfetto di interdipendenza reciproca, oggetto continuo di analisi, di sperimentazione e di oculate trasformazioni. (Verso una tecnologia liberatoria (Towards a Liberatory Technology, 1965), p. 87; citato in Varengo 2007, p. 101)
- Il lavoratore diviene un rivoluzionario non accentuando le proprie caratteristiche di operaio, ma proprio liberandosene [...]. Il lavoratore diviene un rivoluzionario quando si libera del proprio 'operaismo', quando giunge a detestare il proprio ruolo di classe senza mezzi termini, qui e ora, e quando comincia a scrollarsi di dosso quei caratteri che i marxisti più gli ammirano l'etica del lavoro, la struttura caratteriale derivante dalla disciplina industriale, il rispetto per la gerarchia, l'obbedienza ai capi, il consumismo, le scorie del puritanesimo. In questo senso, il lavoratore diviene un rivoluzionario nella misura in cui si libera del proprio ruolo di classe e acquista una coscienza di non-classe. (Ascolta, marxista! (Listen, Marxist!, 1969), pp. 124-125; citato in Varengo 2007, p. 137)
- È possibile collocare l'eredità teorica di Marx in una prospettiva che abbia qualche significato separare ciò che del suo contributo ci arricchisce da ciò che invece rivela i propri limiti storici, che ci paralizza e pone dei ceppi anche al nostro tempo. La dialettica marxiana, i molto lumi fecondi del materialismo storico, la superba critica dei rapporti di produzione, molti elementi delle teorie economiche, la teoria dell'alienazione e, sopra ogni altra cosa, l'idea che la libertà necessiti di condizioni materiali tutti questi furono contributi preziosi e durevoli al pensiero rivoluzionario. (Ascolta, marxista!, p. 137; citato in Varengo 2007, p. 139)
- Per lo meno potenzialmente siamo di fronte al più ampio concetto di libertà sinora conosciuto: la libertà dell'individuo autonomo di modellare la vita materiale in una forma che non sia né ascetica né edonistica, ma una miscela del meglio di entrambe le cose, una forma ecologica, razionale ed artistica [...]. (pp. 326 sg.; citato in Varengo 2007, p. 90)
L'ecologia della libertà
- Sin dai primi anni '60, il mio punto di vista poteva essere schematicamente così formulato: il concetto di dominio dell'uomo sulla natura deriva dal concetto di dominio dell'uomo sull'uomo. (p. 22; citato in Varengo 2007, p. 50)
- La gerarchia, pur includendo la definizione marxiana di classe e dando persino origine, storicamente, alla società classista, va oltre questo significato limitato, ascritto a una forma di stratificazione eminentemente economica. [...] Storicamente ed esistenzialmente la vedo come un complesso sistema di comando/obbedienza nel quale le élite godono di vari gradi di controllo sui propri subordinati, senza necessariamente sfruttarli. Queste élite possono essere assolutamente prive di ogni forma di ricchezza materiale; ne possono essere addirittura spogliate, come l'élite dei "guardiani" di Platone, ad esempio, che era socialmente potente ma materialmente povera. (pp. 26-27; citato in Varengo 2007, p. 73)
- Anni fa, gli studenti francesi del maggio '68 espressero mirabilmente questa netta contrapposizione d'alternative con lo slogan: "Siate realisti, chiedete l'impossibile!". A questa proposta la generazione che va incontro al prossimo secolo può aggiungere l'ingiunzione più solenne: "Se non faremo l'impossibile ci troveremo di fronte l'impensabile!". (p. 78; citato in Varengo 2007, p. 85)
- Questa schiacciante tendenza della tecnica a colonizzare l'intero spazio della esperienza umana fa sì che sia oggi apocalitticamente necessario bloccarne l'avanzata, ridefinirne i fini, riassorbirla nuovamente in forme organiche di vita sociale e di soggettività umana. (p. 357; citato in Varengo 2007, p. 99)
- Qualsiasi forma istituzionale di rapporti potessimo concepire avrebbe scarso significato, perché non conosciamo gli atteggiamenti, le sensibilità, gli ideali ed i valori della gente che dovrebbe stabilirle e conservarle. Come ho già rimarcato, un'istituzione libertaria è un'istituzione "popolata", fatta di gente; perciò la sua struttura prettamente formale non sarà né migliore né peggiore dei valori etici della gente che le darà realtà. Quel che è certo è che noi, saturi come siamo di valori gerarchici ed autoritari non possiamo e non dobbiamo imporrei nostri "dubbi" a gente che si sarà completamente liberata dalle pastoie della gerarchia e del dominio. (p. 504; citato in Varengo 2007, p. 121)
- Se concepiamo un mondo che la vita stessa ha plasmato nell'evoluzione un mondo benigno, se abbiamo un'ampia visione ecologica della natura possiamo formulare un'etica della complementarietà che si nutre di diversità, al posto di un'etica che tutela l'essenza individuale da un'alterità minacciosa e invadente. In realtà, l'essenza della vita può essere vista come un'espressione d'equilibrio piuttosto che come semplice resistenza all'entropia [...]. Infine, il sé può essere visto come risultato dell'integrazione, della comunità, del mutuo appoggio, senza che ne venga in alcun modo sminuita l'identità individuale e la spontaneità personale. (p. 533; citato in Varengo 2007, p. 95)