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Un'altra riforma costituzionale è possibile (Ceccanti Stefano)

Ceccanti Stefano, autore dell'articolo, già presidente della Federazione universitari cattolici (Fuci), è docente di diritto costituzionale all’Università di Bologna.

Poco prima delle elezioni regionali, il centrodestra ha approvato in prima lettura la riforma che stravolge una buona parte della Costituzione. Gravissimi gli effetti.
La contrarietà alla riforma costituzionale deve essere ferma, senza mai scivolare nella propaganda: la materia è così importante che esige serietà. Per questo è doveroso dire che non sappiamo con certezza se e quanto l’approvazione da parte del Senato in campagna elettorale della riforma costituzionale sotto il diktat della Lega abbia davvero influenzato il voto regionale. È lecito nutrire qualche dubbio su questa analisi: se avesse inciso il timore per la devolution avremmo avuto cambiamenti marcati solo a Sud, ma qui invece è in tutto il paese che si è verificato un ingente spostamento, compresi la Lombardia e il Veneto, dove pure non è stato sufficiente per la vittoria elettorale del centrosinistra. Credo però che non si possa escludere che abbia giocato non tanto una preoccupazione per qualche specifico contenuto (la devolution, il premierato), quanto piuttosto la sensazione di una maggioranza arrogante, non disposta ad ascoltare su un tema che richiede consensi larghi. Il paese domanda competizione chiara su programmi alternativi, ma richiede forse anche limitate forme di consenso, almeno sulle regole della competizione stessa. Per questo è importante sottolineare una diversità di metodo ancor prima di quella di contenuto: quella riforma va bocciata in primo luogo perché riscrive per intero un impianto complessivo in modo unilaterale. La Tesi 1 dell’Ulivo del 1996 parlava giustamente di un patto da riscrivere insieme: un messaggio che è giusto riproporre. Vi è stato senza dubbio l’errore procedurale del centrosinistra nel 2001 di approvare da solo la riforma del Titolo V, ma l’analogia è solo parziale, giacché lì la modifica era limitata. Il problema investe poi anche i contenuti. Il centrodestra presenta la riforma costituzionale in corso di approvazione come il completamento del disegno riformatore iniziato coi referendum elettorali e con la revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, operata dal centrosinistra alla fine della scorsa legislatura. Se così fosse ci sarebbe da confrontarsi seriamente, perché di una riforma di tal genere la nostra Repubblica ha bisogno. La costruzione organica di un sistema che bilanci la sovranità del cittadino arbitro, che si esprime nella scelta di Governi per la legislatura, con un moderno sistema di garanzie, nonché con un compiuto federalismo solidale, sono esigenze reali, potenzialmente nel solco dei principi della Prima parte della Costituzione. È in nome di questa linea alternativa ed equilibrata di riforme concordate, non di una negazione di quelle esigenze, che la riforma del centrodestra, se esso continuerà a perseguirla, va bocciata nel referendum con un «no» chiaro e netto.

Non è il rafforzamento del premierato in sé che deve spaventare. Un rafforzamento che, peraltro, nel testo è realizzato in modo confuso e incoerente, se le minoranze estreme che oggi condizionano le coalizioni, potendo minacciare la crisi di Governo, vedono potenziato il proprio ruolo: col nuovo testo potrebbero addirittura minacciare la caduta della legislatura. A inquietare è poi, soprattutto, la paralisi del Parlamento, in cui il ruolo di un Senato irresponsabile può condurre a bloccare quasi del tutto la fabbrica delle leggi, con gravi conseguenze a catena sulla vita del paese. È quindi la riscrittura a tratti confusa del Titolo V, già non perfetto, dove per un verso vengono definiti «esclusivi» poteri regionali che per loro natura non possono esserlo, tranne poi tentare di rimediare con amplissime possibilità di strangolamento centralista (poteri sostitutivi pressoché illimitati, ripristino dell’interesse nazionale).

Questa impostazione alternativa al testo prescinde dalle legittime scelte di parte dei singoli e dei gruppi. L’appello che dobbiamo rivolgere oggi al centrodestra a fermarsi o, in caso negativo, domani a tutti i cittadini a bocciare una riforma sbagliata va di pari passo con la richiesta di riaprire una vera fase costituente per un patto condiviso.

Un’altra riforma è possibile, sfuggendo alla falsa alternativa tra un testo unilaterale e pasticciato e una negazione statica e sterile delle esigenze di riforma.

Stefano Ceccanti