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Un'Europa di pace, neutrale e attiva, disarmata, smilitarizzata e nonviolenta

Alcune riflessioni e proposte di Lidia Menapace, tratte da “nonviolenza femminile Plurale”, n. 76 del 10 agosto 2006


Prima riflessione: per un'Europa di pace, neutrale, disarmata, nonviolenta (pubblicata su “La nonviolenza è in cammino”, n. 671 di settembre 2003

Seconda riflessione: ancora tre note sulla proposta dell'Europa neutrale e attiva, costruttrice di pace con mezzi di pace (pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 683, settembre 2003)

Terza riflessione: ancora per l'Europa neutrale e attiva, disarmata, smilitarizzata e nonviolenta (pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 684, settembre 2003)

Quarta riflessione: proposte per un’Europa di Pace (pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 696, ottobre 2003)

Prima riflessione: per un'Europa di pace, neutrale, disarmata, nonviolenta
(pubblicata su “La nonviolenza è in cammino”, n. 671 di settembre 2003)


Ho sempre avuto grande preoccupazione a proposito del futuro militare europeo e sulla cancellazione di fatto dell'art.11 della nostra Costituzione, dato che la Convenzione presieduta da Giscard d'Estaing non si poteva affatto considerare un soggetto neppure lontanamente affidabile sul diritto alla pace.
Del resto neppure Prodi, pur da ascoltare quando critica le forme non federali e le procedure oligarchiche del trattato costituzionale europeo, quando si passa alla politica estera e militare sostiene che l'Europa deve avere un esercito e che promuovere la pace si fa anche con le armi: non si sa dove stiano questi potenti signori, del tutto alienati dal loro potere: ma se provassero ad aprire gli occhi e guardassero il Medio Oriente vedrebbero subito che le armi generano solo risposte violente e senza fine vanno alla distruzione.
D'altra parte non posso credere che se la futura costituzione europea dice una cosa, uno degli stati federati può deciderne un'altra, non per l'appunto sulle questioni ex-nazionali delegate: lo si vede già per le materie economiche. A questo punto si aggiunge un'altra preoccupazione e cioè che la delegazione italiana non tiene in nessun conto gli accordi unanimi sulla difesa e intangibilità dei primi 11 articoli della nostra Costituzione: non hanno nemmeno provato a difendere il primato del lavoro rispetto al mercato nè a far accettare un qualche rifiuto della guerra.
Come si sa la pace viene indicata come un obiettivo da promuovere, cioè una buona intenzione, il ripudio della guerra è scomparso e non risulta che nessuno del nostro paese abbia mosso un dito in proposito.

Se le cose stanno pressappoco così, che cosa si può fare? Certamente continuare a volere la pace e ad agire per conservarla preservarla promuoverla ecc.: ma il movimento che si è risvegliato in questi ultimi anni è molto legato anche ai risultati e non disposto solo ai no, che pure si debbono dire.
Mi sono chiesta perciò se nella storia europea vi fossero radici antimilitariste e le ho trovate nella tradizione del movimento delle donne fin dal suffragismo, e del movimento operaio fin da prima della prima guerra mondiale.
La prima guerra mondiale fu un terribile esame e prova di forza, che fu vinta dai militaristi e spaccò in due il movimento operaio, il femminismo fu sfiorato solo in piccola parte, e anche il papa Benedetto XV rimase quasi solo, mentre le Chiese in generale furono sostenitrici dei vari eserciti.
Il movimento operaio subì allora il suo più cocente e non rimediato insuccesso, quando - come disse Rosa Luxemburg - si dovettero vedere i due più organizzati proletariati d'Europa, quello tedesco e quello francese, "travestiti da militari spararsi addosso agli ordini delle rispettive borghesie nazionali": fu persa l'anima internazionalista e le classi operaie furono "arruolate" al nazionalismo: basta ricordare che Mussolini fu interventista e Matteotti no.
La tradizione antimilitarista neutralista e pacifista del movimento operaio si attenuò e ottenebrò nel fascismo e nel nazionalsocialismo e anche - benché meno - nel "socialismo in un paese solo"; e la tragica protesta di papa Benedetto XV che definì la guerra "una inutile strage" restò senza seguito fino alla "Pacem in terris" di papa Giovanni.

Ma bisogna comunque ricordare che il movimento operaio e quello delle donne non chiesero mai, mai provocarono o dichiararono guerre.
Furono per lo più neutralisti.
E per ragioni profonde: prima di tutto dunque non è giusto esprimere opinioni superficiali dicendo che essere neutrali significa fregarsene di tutto e tutti: essere neutrali significa invece prendere posizione e agire nelle varie situazioni in tutti i modi tranne che con le armi.
La Svezia, che è un paese neutrale (in Europa sono quattro: Svizzera, Svezia, Finlandia e Austria, e bisognerà pur avere un'opinione su di loro, e qualche proposta), ad esempio, ospitò circa diecimila disertori e renitenti Usa durante la guerra nel Vietnam; e uno degli ispettori delle Nazioni Unite che non trovarono le armi di distruzione di massa in Iraq è svedese.
I paesi neutrali fanno spesso parte di operazioni diplomatiche e alle Nazioni Unite gioverebbe molto averne a disposizione molti e autorevoli.

Ma dunque, oltre ad essere una componente importante della tradizione operaia e femminista, che cosa è la neutralità da un punto di vista giuridico? È la posizione di un soggetto politico (uno stato) che dichiara di rinunciare per sè all'uso della guerra, e di vincolarsi nei confronti della comunità internazionale a non fare politiche aggressive che possono sfociare nel conflitto armato, e di consentire alla comunità intrernazionale di intervenire nei propri confronti in caso di violazione degli impegni presi con censure, rottura di relazioni diplomatiche o commerciali, embargo ecc.
A sua volta il territorio neutrale non ospita basi militari di nessuno, non consente passaggio di truppe a terra nè di aerei. All'inizio della guerra in Iraq infatti la piccola Austria non ebbe bisogno di far niente per non dare il passaggio alle truppe, treni e aerei Nato e Usa diretti magari verso Camp Derby: le bastò far presente che è uno stato neutrale, e al Brennero non arrivò nemmeno un fucilino di latta.

Si dirà: ma i paesi neutrali hanno pure un esercito: certamente. E sono subito con chi presenta progetti in forma di legge costituzionale per il disarmo totale unilaterale e l'abolizione degli eserciti.
Ma se non ci si impegna a questo livello (e non mi consta che vi siano proposte di questo tipo) con lotte tenaci e ben organizzate, con la formazione di una cultura politica radicalmente nonviolenta fino al diritto di recessione da qualsiasi spesa militare, insomma se non si chiede direttamente l'abolizione degli eserciti, la proposta della neutralità è la più equilibrata, realistica, moderata, gestibile sul piano del diritto internazionale e compatibile con una riconversione dell'economia di guerra in economia di pace.
Nella proposta di neutralità attiva che la "Convenzione permanente di donne contro le guerre" avanza per l'Europa diciamo anche che le risorse sottratte agli eserciti possono e debbono essere usate per programmi continentali di protezione civile, quantomai necessari dati i mutamenti del clima, di servizio civile dati i problemi di inserimento sociale ed economico delle giovani generazioni, e di addestramento generale alla difesa popolare nonviolenta.
Si possono anche prendere in considerazione le politiche militari dei paesi neutrali e collocarsi al piano più basso a scendere, fino all'estinzione processuale degli eserciti.

Persino la Svizzera che è armata fino ai denti e ha una popolazione che può essere richiamata per difendere il territorio invaso in ogni momento e che si addestra alla difesa di ponti strade ecc per tutta la vita e ha a domicilio armi munizioni e vettovaglie per i casi di invasione (peraltro mai verificatisi in un numero ormai rilevantissimo di secoli) esclude qualsiasi ordigno nucleare, poiché sostiene giustamente che non si può gabellare per "difensiva" l'atomica.
È un buon precedente per rifiutare in Italia il bombardiere atomico europeo Eurofighter, che viene fatto passare per "difensivo", e per ospitare il quale si sono fatte a Grosseto piste allungate, abbattendo una scuola materna (un fatto altamente simbolico della gerarchia delle priorità).
Insomma se invece di fare risatine e scuotimenti di capo, si interloquisse sulla proposta ne verrebbero conseguenze importanti e il discorso pacifista uscirebbe da molte genericità.
Una Europa neutrale - ho appena bisogno di dirlo - sarebbe proprio ciò che serve alle Nazioni Unite per tornare ad essere una difesa del diritto e non succube della violenza militarista.



Seconda riflessione: ancora tre note sulla proposta dell'Europa neutrale e attiva, costruttrice di pace con mezzi di pace
(pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 683, settembre 2003)

Vorrei in primo luogo che nella riflessione non si dimenticasse sempre di citare l'esperienza del movimento delle donne, che in verità non ha mai nè teorizzato nè praticato forme di violenza, mai invocato o sostenuto guerre, si è sempre lacerato in momenti di conflitto armato dei quali le donne sono vittime più di chiunque, ultimi i casi delle donne di Belgrado e della Bosnia, per tacere del Ruanda ecc.ecc.
Le Donne in nero hanno inventato e praticato "Visitare i luoghi difficili" e messo in atto molte iniziative di interposizione in Palestina.
Gandhi riconosceva il debito che aveva verso le suffragiste inglesi.
Dover sempre chiedere di essere chiamate col proprio nome è doloroso: la cancellazione è una forma molto forte di violenza, un genocidio simbolico e finisce per diventare i forse dieci milioni di bambine cinesi prive di qualsiasi diritto perché non vengono iscritte all'anagrafe.
Il movimento delle donne non si confonde con nessun partito, non ha mai ceduto la rappresentanza.

E quando dico movimento operaio intendo movimento operaio, magari nelle sue forme sindacali o associative o mutualistiche, o ricreative come le case del popolo ecc.
I partiti che ne hanno spesso usurpato la rappresentanza non mi interessano e non mi riferisco a loro.
È vero che la sinistra ha fatto un mucchio di errori, molti dei quali dipendenti dal non aver proseguito l'iniziale cammino internazionalista e neutralista ed essersi adeguata alla "funzione nazionale della classe operaia" ecc.

Ciò che chiedo è un confronto su come si possa efficacemente intervenire nel dibattito e poi nelle decisioni a proposito del "Trattato costituzionale europeo" che forse avrà una prima approvazione entro l'anno, per non ripetere gli errori di omissione che ci hanno portato in casa Maastricht Nizza Schengen ecc.
Nel testo che chiamerò per brevità giscardiano la sinistra italiana non c'è perché è stato fatto dai governi, non dai parlamenti: per l'Italia il rappresentante era Fini, che non solo non ha tenuto conto dell 'art. 11 della Costituzione italiana, ma ha lasciato che al posto del lavoro sia messo il mercato ecc. ecc.: insomma i primi 11 articoli della Costituzione che un patto parlamentare solenne ha definito intangibili sono stati bypassati dal trattato costituzionale e di fatto cancellati. Nella bozza del Trattato la pace è "da promuovere", non non è un diritto e per promuoverla si usano anche le armi.

La proposta di neutralità attiva ha il pregio di avere una base di diritto internazionale (e io sono per praticare per quanto possibile la ricomposizione del diritto internazionale e il sostegno alle Nazioni Unite) e quattro precedenti sul territorio europeo, cioè Svizzera, Svezia, Finlandia e Austria, mentre il transarmo non è un diritto, ma una proposta politica che quindi dipende dalle maggioranze.
Sono da sempre favorevole a tutti i disarmi, unilaterali ecc., ma bisogna vedere se il testo della Costituzione europea consentirà di praticarli. In più il transarmo deve essere concordata coi militari e io preferirei accordarmi coi movimenti non militaristi, neutralisti, nonviolenti e pacifisti prima che coi militari e il loro potere fortissimo (il famoso "complesso militare-industriale-scientifico" e adesso anche culturale e mediatico).
Marx diceva che è bene per quanto possibile ancorare nel diritto le conquiste politiche ottenute ben sapendo che esse pure dipendono dai rapporti di forza: tuttavia un ostacolo giuridico è più difficile da scavalcare che una proposta politica, come si vede anche dal tema delle pensioni: se i sindacati non potessero appellarsi a diritti sanciti, nel gestire il conflitto sociale staremmo tutti e tutte ben peggio.


Terza riflessione: ancora per l'Europa neutrale e attiva, disarmata, smilitarizzata e nonviolenta
(pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 684, settembre 2003)

Cominciamo ad elencare le proposte sulle quali siamo d'accordo: ciò è bene dal punto di vista del metodo, sgombra la mente da parole contrapposte, mette via una serie di faccende già viste oppure ne riparla per andare avanti, non solo per dirle.
Dunque siamo d'accordo sulla Difesa popolare nonviolenta: anche la Convenzione di Donne contro la guerra propone un diffuso addestramento di difesa popolare nonviolenta a livello europeo, anche come strumento utile per la riconversione di spese militari in spese civili ecc. Lo stesso scopo ha la proposta di un progetto di protezione civile europea che pure serve date le vicende climatiche e pure sottrae molti mezzi alle spese militari (noi proponiamo che la riconversione delle spese militari sia appunto destinata a finanziare difesa popolare nonviolenta, protezione civile e servizio civile in modo da non lasciare senza risposta i lavoratori e le lavoratrici delle fabbriche di armi ecc.). Fino a qui va bene? basta solo che chi cita difesa popolare nonviolenta, protezione civile, servizio civile, non dimentichi di citare tra i soggetti favorevoli la Convenzione di donne contro le guerre. Noi naturalmente ci ricordiamo sempre di citare le proposte del Centro Sereno Regis ecc.
Le proposte sul fisco vorrei conoscerle meglio.
Noi siamo in genere favorevoli (e questa mi pare una differenza tra alcune e alcuni di noi) a fissare per legge alcune cose, dato che abbiamo sperimentato che chi è forte non ha bisogno della legge, ma chi è debole sì: abbiamo sperimentato ad esempio che l'aborto sarebbe comunque rimasto un reato (tranne che come aborto "terapeutico" deciso da altri e non dalla madre) se non avessimo ottenuto una legge; che la violenza sessuale sarebbe ancora una oscura vergogna delle donne invece di essere un reato.
A Pechino (1995) abbiamo ottenuto l'assenso dei governi del mondo, contro le mutilazioni genitali, sulla nostra definizione: "l'integrità fisica è bene non disponibile" e non ne può disporre nessuno, nè il padre o il marito o l'iman o lo stato o la religione.
Le donne senegalesi hanno cominciato, prendendo spunto da qui, delle pratiche per liberare le loro sorelle dal tremendo uso delle mutilazioni genitali, quelle keniote ottenuto che lo stato dichiari reato tali pratiche, perciò possono inventare riti gioiosi di passaggio dalla fanciullezza alla pubertà.
Lo stupro etnico o di guerra, pratica comune che alcuni codici militari consentivano e alcune culture patriarcali ancora scusano sono diventati crimine contro l'umanità dopo l'arrivo alle Nazioni Unite di dieci milioni di firme raccolte da associazioni di donne in tutto il mondo. Ci siamo mosse perché donne bosniache stuprate ci hanno fatto sapere che si sarebbero suicidate perché dopo lo stupro le loro famiglie padri mariti e fratelli le ripudiavano come impure e adultere e la chiesa le incitava a mettere al mondo gli eventuali concepiti da adottare successivamente.
Donne condannate ad essere lapidate per adulterio sono state salvate da raccolte di firme, ma non si ha notizia di iniziative di uomini democratici (dopo Gesù Cristo) che dicono ai loro simili che non si può fare ciò: passa tutto sotto il segno spesso ambiguo e in questi casi del tutto ipocrita che "è la loro cultura" (sic!).
Possiamo comunque discutere anche della utilità relativa di un ancoraggio di legge.
L'argomento mi pare urgente dato che è in arrivo una proposta di trattato costituzionale europeo, e ammaestrata da Maastricht e Schengen e Nizza vorrei che mi si dicesse come si fa a sottrarsi a un testo che dichiara che il mercato è il regolatore supremo: dunque l'Italia non sarà più una repubblica democratica fondata sul lavoro, ma sul mercato, poiché tutte le politiche debbono rispondere al mercato; dove non vi saranno più servizi pubblici (scuola, sanità, trasporti) perché tutto potrà essere privatizzato, pure l'acqua.
So che un gruppo di parlamentari europei di Rifondazione ha presentato un emendamento per introdurre nel trattato costituzionale europeo che "L'Europa rifiuta la guerra come strumento ecc.", una specie di art. 11: è una iniziativa da appoggiare? a noi pare di sì.
Inoltre - che io sappia - l'unico stato europeo che già ha un ordinamento positivo di difesa popolare nonviolenta è l'Austria, non per caso paese neutrale.
Ma in generale si ritiene che la neutralità dei paesi già neutrali debba essere difesa nel progetto europeo, o no? perché se sì, la prospettiva della neutralità resta aperta, altrimenti esce di scena definitivamente, e l'Europa si unifica cancellando il movimento operaio sottoposto al mercato, lo stato sociale sostituito da una "assistenza moderna" e da servizi a pagamento, senza citare la cittadinanza sessuata, nessun diritto universale per chi vi immigra, e anche senza la possibilità di essere neutrali.
Solo quattro stati europei al mondo, che io sappia, scelsero la neutralità per evitare di fare guerre. Insomma dell'Europa resta in piedi il passato imperiale. Non per nulla il confronto è tra Bush e Chirac: due imperatori; e non vorrei dover scegliere Chirac solo perché è più laico e palesemente meno fuori di testa di Bush che adesso si considera anche campione del "Bene". Avendo tempo potrei anche dedicarmi a convertire i militari o gli uomini in generale ad essere dolci, gentili, e a praticare una sessualità nonviolenta, ma - sorry - davvero: prima vengono le mie sorelle.


Quarta riflessione: proposte per un’Europa di Pace

(pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 696, ottobre 2003)

Che simboli, immagini, concetti evoca in me la parola "Europa"? Geograficamente, è una specie di riassunto del mondo. Con climi diversi, pianure, fiumi. Niente è eccessivamente grande. Le montagne più alte restano quelle dell'Himalaya. I fiumi più lunghi sono altrove. Da punto di vista culturale, questo frastagliamento si traduce in complessità, differenziazione, razionalità. Eppure, l'Europa non evoca il concetto di "pace".
È una storia di differenziazione. Non si potrebbe pensare, ad esempio, di votare in Parlamento la lingua ufficiale, come si è fatto negli Stati Uniti. Erano incerti fra tedesco e inglese. È passato l'inglese per pochi voti. Si è potuto fare tutto ciò perché l'America è un continente più raccogliticcio e con delle presenze già molto determinate dal punto di vista del potere. In Europa sarebbe impensabile votare "una" lingua ufficiale, perché la differenziazione è molto radicata. Ci sono almeno cinque o sei delle grandi lingue del mondo. Anche la razionalità - cioè una certa idea di leggere il mondo secondo criteri universabilizzabili - sembra nata in Europa.
L'Europa, però, non è stato un continente di pace. Al contrario, è stato il continente più aggressivo di tutto il pianeta. Non solo al suo interno, ma nell'imperialismo, l'Europa ha battuto tutti gli altri.
Persino le religioni - trasferite dalla loro culla nel sistema politico europeo con il grande patto tra impero romano e cristianesimo che ha dato il via alla cristianità (cioè alla rappresentazione politica del messaggio religioso) - hanno sviluppato caratteristiche aggressive nella predicazione.
Il fatto che tutte le ex colonie francesi siano prevalentemente cattoliche e quelle inglesi prevalentemente evangeliche, dice chiaramente il rapporto di subordinazione e di reciproco aiuto, sostegno. Questa "poco santa alleanza" si è realizzata anche nell'espansione missionaria.

La guerra moderna "made in Europe" Di sicuro, l'unificazione dell'Europa è di per sè elemento che modifica gli equilibri politici mondiali. Allora diventa importante esaminare l'Europa sotto il profilo della sua relazione con la guerra, e dei semi di pace che ha dentro di sè. Questo è il terreno sul quale mi muoverò.
Se esamina la propria storia, l'Europa ha prima di tutto da fare un'enorme autocritica. Perché la caratteristica della guerra moderna - cioè dell'attributo dell'esercizio della violenza legittimato allo Stato - è un'idea europea. La guerra preesisteva. C'era una guerra arcaica, che consisteva in un patto per conquistare un territorio dove poter vivere. Ma la guerra moderna è un attributo dello Stato, della sua sovranità. È considerata la legittimazione della violenza, che attribuita allo Stato viene chiamata "forza"; serve per difendere i propri cittadini dai nemici.
C'è questo passaggio che è significativo della sottigliezza giuridica della cultura europea: le armi sono violenza, l'Esercito è un'istituzione violenta, tuttavia quando è assunta dallo Stato in funzione di tutela della comunità di cittadini/e, si chiama "forza" e diventa legittima.
Questa legittimazione avviene persino all'interno perché gli strumenti violenti che difendono il singolo cittadino dalla criminalità, si chiamano "forze dell'ordine". La parola "forza" è una legittimazione, non solo un'ipocrisia giuridica, perché in effetti quando la violenza diventa forza, ha dei limiti; allo stesso modo, la forza che viene attribuita allo Stato, ha pure dei confini: è stata elaborata una teoria, sia in ambito cristiano che in ambito politico, sulla "guerra giusta". Anche questa è una caratteristica delle riflessioni europee.
Quale guerra può essere dichiarata "giusta"? Nella tradizione giuridica prevalentemente europea (diventata poi generale), si dice che quando uno Stato ha subito un danno - ad esempio, gli è stato portato via un pezzo del suo territorio - e in nessun altro modo riesce a recuperarlo, può legittimamente far ricorso alle armi. Questo uso è legittimo se, nel riparare il danno, c'è un certo equilibrio. Il risarcimento deve essere paragonabile al danno ricevuto.
Messe sotto questo giudizio, già la prima ma anche la seconda guerra mondiale è dubbio che fossero giuste. Vediamo perché. Il fatto che l'Italia volesse o rivolesse nel suo disegno di riunificazione di una comunità culturalmente abbastanza omogenea, almeno per tradizione linguistica, il Trentino e il Friuli Venezia Giulia, era legittimo.
Diplomaticamente, era stata già quasi ottenuta. Non per niente Benedetto XV definì poi la guerra un'inutile strage. Per altre ragioni, l'Italia entrò però lo stesso in guerra: seicentomila morti, grande indebolimento della popolazione, altri seicentomila morti per la spagnola. E, già che c'eravamo, abbiamo preso anche il Sud Tirolo. Può essere considerato un risarcimento equo? La conquista di Bolzano non era nei disegni nemmeno del più sfrenato dannunziano. Quindi sotto questo profilo, davvero un'inutile strage anche solo per l'Italia.

Una violenza non legittimabile La seconda guerra mondiale si conclude con lo sganciamento delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Questo è un danno che non consente risarcimento. Che risarcimento chiedi per duecentomila persone morte e danni genetici che si ripropongono per generazioni, non si sa fino a quando? Da quando c'è l'atomica, la guerra è uscita dall'orizzonte giuridico della sua legittimazione possibile. Non ci sono più guerre giuste dopo l'atomica.
Perché potenzialmente si può infliggere un danno ad una popolazione, che non è misurabile. Che implica le generazioni successive.
Se vogliamo usare la razionalità europea, c'è dunque un impegno storico di definire i conflitti tra gli Stati - per qualsiasi ragione: territoriale, culturale, religiosa, economica - senza una guerra, perché c'è sempre il rischio dell'atomica. Ci troviamo di fronte ad un evento del tutto nuovo nella storia del pensiero giuridico. È venuta meno la possibilità di dare anche con sofisticati ragionamenti, con calcoli, ecc. una legittimazione al passaggio dalla violenza alla forza. La guerra oggi è dunque solo violenza non legittimabile.
Questa è una cosa con la quale l'Europa deve fare i conti. Un'Europa che ha inventato la guerra moderna, come attributo legittimo degli Stati nella loro sovranità. Su questo terreno, deve dunque fare un'autocritica. Bisogna restituire il maltolto, che in parte con la decolonizzazione è già avvenuto. Un maltolto più profondo, che è quello dell'uso delle risorse dei paesi impoveriti dalla nostra rapina, sarebbe un'altra parte di risarcimento dovuto. Non è solo un atto di bontà, ma qualcosa di impegnativo: comporta anche un cambiamento delle relazioni economiche con le altre aree del mondo.

I semi di pace Dopodiché non c'è niente da salvare in Europa dal punto di vista della pace? C'è una curiosa ambiguità del messaggio cristiano e due movimenti molto significativi. Il messaggio cristiano è di per sè un messaggio di pace.
Tuttavia, sposandosi con il potere politico, spesso non ha portato alla pace. Il patto tra trono e altare ha in parte cancellato questo volto di pace del cristianesimo. Appunto solo in parte perché testimonianze hanno continuato ad agire, non però con il volto ufficiale della chiesa o delle chiese.
Il messaggio cristiano ha dunque bisogno di fare un grande lavoro di scrostamento e di recupero di una delle sue più straordinarie caratteristiche dal punto di vista della storia: la laicità delle istituzioni pubbliche, politiche, dell'autorganizzazione della società. Un elemento che è invece del tutto assente nelle altre due religioni monoteiste (ebraismo e islam). È un tema fondamentale: una delle cose che l'Europa cristiana potrebbe rivendicare.
Ci sono altri due movimenti che potrebbero essere messi a fondamento di un'Europa che abbia fatto su di sè una sana autocritica: il movimento operaio e il movimento delle donne. Entrambi non hanno mai voluto guerre.
Non ne hanno nemmeno mai provocate, a parte qualche caso isolato (ad esempio, in tempi moderni, la Thatcher). Ma se facciamo un calcolo proporzionale, siamo sul 3% contro un 97% degli uomini.
Il movimento operaio ha sempre temuto la guerra. Si spaccò in due all'inizio della prima guerra mondiale. Rosa Luxemburg sentì la prima guerra mondiale come una tragedia. Disse: "È impensabile che i due più organizzati proletariati d'Europa - quello francese e quello germanico - travestiti da militari si sparino addosso agli ordini delle rispettive borghesie nazionali".
Abbiamo dunque una lunga tradizione di non interventismo nel movimento operaio, che ha utilizzato tutte le forme dell'azione nonviolenta: assemblee, manifestazioni, petizioni, scioperi, picchetti, sabotaggio e boicottaggio. La stessa Rosa Luxemburg pensava che la rivoluzione avrebbe dovuto essere fatta attraverso uno sciopero generale ad oltranza, nel corso del quale l'insediamento delle nuove classi avrebbe modificato le relazioni nella società.
Anche il movimento delle donne ha questa stessa caratteristica. Esso cominciò in Inghilterra con il suffragismo. E Gandhi ha studiato dalle suffragiste inglesi le forme della lotta nonviolenta. Anche le suffragiste facevano manifestazioni, sit-in, si legavano alle colonne dei palazzi del potere. E intervenivano facendo della disobbedienza civile molto attiva. Una delle prime cose che fecero, fu di occupare le tribune di Whitehall, il Parlamento inglese, in un giorno in cui si discuteva la legge elegantemente intitolata "Legge sui bastardi". Allora, buttarono dei volantini sui quali c'era scritto: "Forse ci sono dei genitori bastardi, ma i figli...".
Suscitarono uno scandalo enorme. Poiché erano signore della buona società e, come tali, non dovevano nemmeno sapere che nell'Europa vittoriana c'erano i bastardi.
Le suffragiste americane si sono segnalate invece per aver fatto una catena di disobbedienza: avevano ospitato gli schiavi neri che scappavano dagli Stati del Sud. Generalmente, questi schiavi avevano il nome e l'indirizzo di una donna bianca, che li accoglieva. E dava l'indirizzo di un'altra donna bianca, fino a quando non arrivavano negli Stati del Nord. È curioso che questo movimento delle donne cominci con dei temi relativi alla riproduzione e con una sorta di alleanza con altri oppressi. Donne e neri, soprattutto negli Stati Uniti, sono tradizionalmente collegati.
Penso che sia soprattutto questo, ciò che l'Europa debba rivendicare della propria storia. Deve dire: "Da questi movimenti vengono suggerimenti di relazioni fra le persone, i generi, le classi, le etnie, le religioni, molto conflittuali, ma assolutamente contrari alla violenza e alla guerra".
Dunque, sono dei luoghi di studio importanti.
Con la "Convenzione permanente di donne contro le guerre", proponiamo che l'Europa si costituisca come continente neutrale.
Proprio la sua scienza giuridica, le consente di dire: "Non c'è più guerra legittima. Io Europa, come continente, ne ho fatte di tutti i colori, e di questo chiedo perdono; ma, nella mia storia, ho anche due grandi movimenti che poi si sono diffusi in tutto il mondo, e che hanno radicalmente cambiato le relazioni: sono molto conflittuali - considerano il conflitto una delle forze della storia - e hanno usato tutte le forme della lotta nonviolenta".

Europa: un continente neutrale La neutralità, dal punto di vista del diritto internazionale, è una decisione soggettiva di un ente giuridico. "Io, Stato, dichiaro che non farò guerra; prendo questo impegno davanti alla comunità internazionale. E questa fa lo stesso nei miei confronti. Dunque, non ospiterò sul mio territorio basi militari o passaggi di truppe. E, di conseguenza, la comunità internazionale non potrà passare. A mia volta, mi impegno a non fare politiche aggressive che debbano sfociare nella guerra; se ciò dovesse avvenire, la comunità internazionale mi metterebbe delle sanzioni. È un sistema di contrappesi giuridici abbastanza significativo. Applicato in Europa, obbligherebbe la Nato ad andarsene.
Quando c'è stata l'ultima guerra in Iraq, l'Austria ha dichiarato: "Sono neutrale". E non è passato neanche un fucile. Nemmeno il sorvolo dei suoi territori era consentito.
Nel territorio europeo (non nell'Unione Europea), ci sono già quattro Stati neutrali: la Svizzera, l'Austria, la Svezia e la Finlandia. Che cosa ne facciamo? Non possono entrare in Europa perché sono neutrali? Non possiamo garantire che la loro neutralità verrà rispettata anche nell'Europa unita? C'è già stato un ministro degli Esteri italiano, Gianni De Michelis, che aveva dichiarato che l'Austria, se voleva entrare in Europa, doveva rinunciare alla neutralità.
Mi piacerebbe che anche un'Europa non neutrale riconoscesse la neutralità degli Stati europei che già l'hanno dichiarata. E che poi essa si sviluppasse in modo da non ostacolare un futuro di neutralità, quando fosse maturo. So che al momento è impensabile presentare al Parlamento europeo una proposta del genere: esso è infatti larghissimamente orientato verso l'Esercito europeo di difesa.
Quindi, per il momento, questa proposta non è attuabile. Ma teniamo sullo sfondo la nostra decisione: vogliamo un'Europa neutrale. Intanto facciamo un'Europa che non ostacoli un futuro accesso alla neutralità. Ad esempio, facciamo una Costituzione europea dove, all'articolo 1, ci sia il diritto alla pace.

La rivoluzione in ambito Onu Questo porterebbe ad una significativa correzione nell'ambito delle Nazioni Unite.
Penso che, quando l'Europa sarà costituita, chiederà di entrare all'Onu.
Si stanno costituendo queste mostruose forme non-giuridiche di intervento.
Ad esempio, su Israele ora interviene l'Europa, gli Stati Uniti, forse le Nazioni Unite... Ma che cosa vuol dire? Il futuro dell'Iraq sarà gestito da Stati Uniti, la sua coalizione e Onu: che significa? Le Nazioni Unite vengono degradate ad un ruolo assistenziale, non più di direzione politica.
Bisogna uscire da questa logica.
Sono abbastanza vecchia da ricordarmi che, quando la Società delle Nazioni fu sottoposta da parte di Hitler e Mussolini ad attacchi furibondi, e finì in pezzi, questo fu uno dei grandi segni della seconda guerra mondiale.
Perché comunque una sede di comparazione giuridica qualche cosa vale.
Pensate a questa vicenda: con un calciomercato assolutamente sfrenato, gli Stati Uniti non sono riusciti a comprare voti sufficienti per passare al Consiglio di Sicurezza: gli ha detto di no il Camerun. Vuol dire che i soldi non comprano tutto. Vuol dire che il diritto ha una sua forza.
La richiesta dell'Europa di entrare con una nuova identità collettiva nelle Nazioni Unite sarebbe l'occasione straordinaria per una riforma dello stesso Onu. Bisognerà allora ridiscutere la formazione del Consiglio di Sicurezza.
La nostra proposta è un'Europa unificata, che abbia nella sua Costituzione il diritto alla pace, con la prospettiva di diventare un continente neutrale (e perciò un polo di riferimento al mondo di tutti i popoli e i paesi che vogliono evitare la guerra).
Potrebbe ad esempio ospitare sul suo territorio, visto che ha una grande tradizione giuridica, tutti i tribunali penali internazionali. Potrebbe essere il luogo di formazione di una magistratura e di una polizia internazionale, che intervenga contro i crimini di guerra. In questo senso, l'avvio del Tribunale penale internazionale - malgrado l'opposizione degli Stati Uniti - è significativo. È un grande segno della forza del diritto.
Cosa proponiamo per le Nazioni Unite? Che la forza dell'Europa rimetta in discussione le strutture. Chiediamo che il Consiglio di Sicurezza sia tutto a rotazione. Che l'Assemblea venga dotata di maggiori poteri decisionali.
Che il diritto di veto venga tolto, o venga reinterpretato per quello che era in epoca romana: non lo detenevano i consoli, ma i tribuni della plebe; chi aveva già il potere, non occorreva che avesse anche il diritto di veto.
Questo potrebbe essere dato ai popoli impoveriti. L'Argentina potrebbe mettere il veto al Wto, ad esempio.
Alcuni propongono che il Consiglio di Sicurezza diventi il governo del mondo. Questo mi parrebbe, ora come ora, una fuga in avanti. Si potrebbe invece cominciare col dire che tutte le agenzie Onu diventino i luoghi in cui si preparano i futuri governi del mondo. Sulla cultura, sull'infanzia, sui rifugiati, ecc. si puù allevare un personale di governo, anche diplomatico, significativo. Ce n'è da fare - come vedete - per i prossimi 150 anni...
Non dobbiamo mettere limiti alla nostra fantasia politica.
In questo momento, si soffre soprattutto di una grande asfissia politica: meschinità nella politica di tutti i giorni; e grandi gesti di prepotenza nella politica in cui si decidono le sorti del mondo. Non è sano. Perché induce ad essere o leghisti o imperialisti. Questi sono due eccessi che ripudio. È importante stabilire dei territori di possibili conflitti che vengono tutti analizzati, riconosciuti. E poi ci si impegni per trovare forme nonviolente per la loro gestione. La pace - che non ha finora alcuna definizione giuridica positiva (è solo cessazione della guerra) - potrebbe diventare "gestione o governo nonviolento dei conflitti".