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SASSARI. Nel suo ripetersi la storia rimescola ruoli e ragioni, paesaggi umani e derive dei sentimenti, paure profonde e torrenti di violenza. E il tempo lava le ferite e sa così far dimenticare il morso doloroso di ricordi nei quali invece si trovano preziose tracce per capire come si declinano la civiltà, il rispetto, la tolleranza e il reciproco riconoscersi. I fatti di Rosarno, con il loro carico di ferocia razzista, sembrano oggi una ferita nuova, una rottura improvvisa e stordente rispetto alla diffusa - e falsa - convinzione che negli "italiani brava gente" sia connaturata la cultura dell'accoglienza e della comprensione "cristiana" della disperazione degli altri. E invece no, non è così.

Esplode una tragedia annunciata a Rosarno, uno dei ghetti del profondo Sud d’Italia, una delle zone grigie senza diritti del Paese. Migliaia di migranti sfruttati nei campi, ridotti in schiavitù e infine perseguitati e deportati. È una tragedia annunciata perché si ripete, dopo la rivolta di Castelvolturno, una rivolta provocata dall’odio razzista. Abbiamo assistito agli spari sugli africani che provano ad affermare i propri diritti più elementari. A Rosarno negli ultimi dieci anni la situazione è peggiorata, nell’assenza quasi totale delle istituzioni locali e nazionali, mentre le denunce delle associazioni, dei movimenti, dei rosarnesi e calabresi sensibili sono state ignorate.

"Delle nostre parole dovremo rendere conto davanti alla Storia, ma dei nostri silenzi dovremo rendere conto davanti a Dio." (don Tonino Bello)    

Sentiamo il rischio delle parole. Delle parole già dette, ripetute, scontate, di circostanza. Parole come vuoti a perdere di retorica.  E tuttavia sentiamo il dovere della parola. La parola che chiama "persona" ogni essere umano. Chiama persona - e non "negro"- anche l'immigrato.
Di questa parola chiara, inequivocabile, sentiamo il bisogno, l'urgenza, la verità, per non cadere nei tranelli dei falsari, nella trappola dei demagoghi, nella rete dei complici.

Non è un caso che  molti abbiano fatto riferimento a Primo Levi per esprimere il senso di quanto abbiamo visto a Rosarno in questi giorni.  Questo riferimento è un monito contro ogni tentativo di stemperare, distorcere, oscurare il significato di quanto è avvenuto. Migliaia di  esseri umani  sono stati trasformati in bestie, deprivati della loro dignità, e non da ora, ma da anni, nel silenzio complice delle istituzioni e nell’indifferenza della società civile. Eppure molte testimonianze, denunce, ricerche coraggiose hanno tentato di rompere questo muro di invisibilità, senza riuscirci.

Come è stato possibile?