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L’aspetto positivo è che la mobilitazione, sollecitata da Rete Italiana Disarmo e dalla campagna “taglia le ali alle armi”, ha costretto il Parlamento ad affrontare pubblicamente la spinosa questione degli F35. I partiti di maggioranza ne avrebbero fatto volentieri a meno, nascondendosi dietro a scelte già fatte nel passato. Ma la mozione presentata dall’intergruppo parlamentare per la pace e il disarmo (primo firmatario il deputato Giulio Marcon) chiedeva una chiara scelta di campo: sì o no all’abolizione dell’intero progetto Joint Strike Fighter. La maggioranza dei parlamentari, lasciati liberi in coscienza, avrebbe votato a favore. Ma le lobbies militari, potenti e trasversali, si sono messe all’opera, e in poche ore hanno fatto pressione sui vertici  di Pd e Pdl e sugli ambienti governativi, ottenendo il classico risultato nella peggiore tradizione politica: decidere di non decidere.

L’aveva detto già durante la campagna elettorale, «in un momento di profonda recessione, in cui si continuano a tagliare le spese per il sociale, le pensioni e i contributi alla scuola, come si può giustificare che il nuovo governo destini 16 miliardi di euro o forse più per armamenti di ultima generazione? Andare avanti per questa strada sarebbe miope, ingiusto e privo di senso della realtà».

Non capisco tutta la buriana sugli F- 35, anche se sono sicuro che questo è il momento migliore per buttare tutto in politica. Ma quest’ultima polemica sulla questione dei fulmini è chiaramente strumentale. Non si può pretendere che un aereo invisibile sia anche invulnerabile o che una macchina volante che trasporta tonnellate di esplosivo non corra il rischio di esplodere in un temporale estivo. Ormai tutti sanno che l’F-35 è inferiore ai suoi concorrenti russi (e forse perfino ai cinesi) nel duello aereo, che non assicura la superiorità nemmeno per i prossimi cinque anni, non fa niente di più di un vecchio aereo nelle operazioni militari in corso, sarà già vecchio per quelle del prevedibile futuro e costa una barca di quattrini.