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Martedì 7 marzo alcuni volontari di Operazione Colomba, il Corpo di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, sono stati aggrediti da parte di coloni israeliani durante un’azione di monitoraggio dei diritti umani nei pressi del villaggio palestinese di Tuba, nell’area di Masafer Yatta, nel sud della Cisgiordania. Nel corso dell'aggressione un'attivista di nazionalità statunitense è stata colpita alla testa con un bastone riportando un trauma cranico con emorragia interna e la perforazione del timpano sinistro. Portata in ospedale è stata dimessa il giorno seguente. Ieri gli attivisti sono andati a sporgere denuncia presso la polizia israeliana.

Sei organizzazioni palestinesi nella lista delle associazioni terroristiche: rifiutiamo la criminalizzazione di chi difende i diritti umani e chiediamo verità e giustizia

La coalizione italiana AssisiPaceGiusta, che rappresenta un ampio arco di associazioni, reti e sindacati della società civile italiana, il cui obiettivo è il riconoscimento dello stato di Palestina, come pre-condizione per la costruzione della pace giusta tra le due comunità ed impegnata per la difesa dei diritti umani, contro ogni forma di violenza, guerra e terrorismo, esprime forte preoccupazione ed allarme per la recente decisione del Ministero della Difesa israeliano Benny Gantz, successivamente ratificata dal Comando militare israeliano in forza in Cisgiordania, di designare come “terroriste”, sei organizzazioni della società civile palestinese:

Le ostilità tra le forze israeliane e i gruppi armati a Gaza sono continuate e stanno provocando un aumento delle vittime. Tra il 10 maggio e le 12:00 del 16 maggio, 174 palestinesi sono stati uccisi a Gaza e 1.221 feriti, secondo il Ministero della Salute (MoH) a Gaza.

Le ostilità hanno anche provocato un significativo ulteriore sfollamento di palestinesi, con oltre 38.000 sfollati interni (IDP) che cercano protezione in 48 scuole dell'UNRWA in tutta Gaza. Oltre 2.500 persone sono rimaste senza casa a causa della distruzione delle loro case.

"Siamo un gruppo di diciottenni israeliani a un bivio. Lo stato israeliano chiede la nostra coscrizione nell’esercito. Si presume una forza di difesa che dovrebbe salvaguardare l’esistenza dello Stato di Israele. In realtà, l’obiettivo dell’esercito israeliano non è difendersi da forze armate ostili, ma esercitare il controllo su una popolazione civile. In altre parole, la nostra coscrizione all’esercito israeliano ha un contesto politico e molte implicazioni. Ha implicazioni, in primo luogo, sulla vita del popolo palestinese che ha vissuto sotto l’occupazione violenta per 72 anni. In effetti, la politica sionista di brutale violenza ed espulsione dei palestinesi dalle loro case e dalle loro terre è iniziata nel 1948 e da allora non si è più fermata. L’occupazione sta anche avvelenando la società israeliana: è violenta, militarista, oppressiva e sciovinista. È nostro dovere opporci a questa realtà distruttiva unendo le nostre lotte e rifiutando di servire questi sistemi violenti, primo fra tutti quello militare. Il nostro rifiuto di arruolarci nell’esercito non significa voltare le spalle alla società israeliana. Al contrario, il nostro rifiuto è un’assunzione di responsabilità delle nostre azioni e delle loro ripercussioni.