Una lettera (Lidia Menapace)
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Fonte: "la nonviolenza è in cammino", n. 1317 del 5 giugno 2006
Carissima Nella,
sono venuta volentieri alla manifestazione del 2 giugno a Roma e mi pare che sia anche abbastanza riuscita. Però mi preoccupo del carattere sempre più "interno" delle espressioni del movimento e anche mi spiace un pò di essere "convocata" come parlamentare su una piattaforma che non ho minimamente cooperato a costruire.
La mia intenzione era ed è di proporre altre modalità per la festa della repubblica, ragionando sulla sua "ragione sociale", che è quella di "repubblica democratica fondata sul lavoro". Il lavoro viene celebrato il primo maggio e propongo che - se i sindacati sono d'accordo - il 1 maggio sia solenne come il 2 giugno, ma per l'appunto celebrato senza niente di militare, per ricordare la storia nonviolenta del movimento operaio.
Il 2 giugno non può essere "usurpato" dalle Forze armate che hanno già la loro festa il 4 novembre (che peraltro dovrebbe essere piuttosto giorno di lutto: ricordando l'"inutile strage" della prima guerra mondiale); ricevere l'invito alla sfilata militare dal ministro della Difesa, che il 2 giugno è dunque il più potente personaggio dello stato che "convoca" presidente della Repubblica, del Senato, della Camera e del Governo, cioè la prima seconda terza e quarta autorità dello stato, è uno sbrego dell'etichetta e del simbolico che rasenta la rappresentazione di un colpo di stato, e ha un aspetto tanto poco egualitario da essere insopportabile, il trionfo della gerarchia! una cosa da monarchia, non da repubblica...
Carissima Nella,
sono venuta volentieri alla manifestazione del 2 giugno a Roma e mi pare che sia anche abbastanza riuscita. Però mi preoccupo del carattere sempre più "interno" delle espressioni del movimento e anche mi spiace un pò di essere "convocata" come parlamentare su una piattaforma che non ho minimamente cooperato a costruire.
La mia intenzione era ed è di proporre altre modalità per la festa della repubblica, ragionando sulla sua "ragione sociale", che è quella di "repubblica democratica fondata sul lavoro". Il lavoro viene celebrato il primo maggio e propongo che - se i sindacati sono d'accordo - il 1 maggio sia solenne come il 2 giugno, ma per l'appunto celebrato senza niente di militare, per ricordare la storia nonviolenta del movimento operaio.
Il 2 giugno non può essere "usurpato" dalle Forze armate che hanno già la loro festa il 4 novembre (che peraltro dovrebbe essere piuttosto giorno di lutto: ricordando l'"inutile strage" della prima guerra mondiale); ricevere l'invito alla sfilata militare dal ministro della Difesa, che il 2 giugno è dunque il più potente personaggio dello stato che "convoca" presidente della Repubblica, del Senato, della Camera e del Governo, cioè la prima seconda terza e quarta autorità dello stato, è uno sbrego dell'etichetta e del simbolico che rasenta la rappresentazione di un colpo di stato, e ha un aspetto tanto poco egualitario da essere insopportabile, il trionfo della gerarchia! una cosa da monarchia, non da repubblica...
La politica della nonviolenza (Daniele Lugli)
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(Fonte: "la nonviolenza è in cammino", n. 1317 del 5 giugno 2006)
Ci sono due desideri collettivi che caratterizzano questi anni: la voglia di impero e la voglia di comunità.
Della prima ci parla l'inizio veramente folgorante del libro di Fabio Mini (La guerra dopo la guerra). La voglia di impero, o si potrebbe dire la smania di impero, è il fenomeno che caratterizza quest'avvio del terzo millennio. Sembra quasi che l'esperimento della democrazia popolare dopo meno di un secolo stia scivolando all'indietro verso un nuovo sistema imperiale.
Almeno parallela cresce un'altra voglia, quasi una smania, di comunità, la nostalgia di una comunità che non abbiamo in verità mai conosciuto. Scrive Zigmunt Bauman (Voglia di Comunità,): La comunità ci manca perché ci manca la sicurezza, elemento fondamentale per una vita felice che il mondo di oggi è sempre meno in grado di offrirci e sempre più riluttante a promettere.
Ma la comunità resta pervicacemente assente, ci sfugge costantemente di mano o continua a disintegrarsi, perché la direzione in cui questo mondo ci sospinge nel tentativo di realizzare il nostro sogno di una vita sicura non ci avvicina affatto a tale meta...
La voglia di sentirsi in quella comunione profonda diventa ricerca di un legame collettivo, potremmo quasi dire un legame "purché sia", anche inventato. Il che sarebbe in sé abbastanza ridicolo se non avesse elementi preoccupanti, che emergono in luoghi non poi così lontani da noi, con esiti cruenti. È la ricerca di un'appartenenza che ci sorregga nella distinzione da chi è diverso da noi perché sta oltre un certo confine, definito per stile di vita, gruppo etnico o religioso, o semplicemente una distinzione funzionale a rivendicare il nostro privilegio.
La smania di impero e di comunità sono entrambi modi di rifiutare la politica, la democrazia, la ricerca faticosa della costruzione di una convivenza, che non è regalata.
Ci sono due desideri collettivi che caratterizzano questi anni: la voglia di impero e la voglia di comunità.
Della prima ci parla l'inizio veramente folgorante del libro di Fabio Mini (La guerra dopo la guerra). La voglia di impero, o si potrebbe dire la smania di impero, è il fenomeno che caratterizza quest'avvio del terzo millennio. Sembra quasi che l'esperimento della democrazia popolare dopo meno di un secolo stia scivolando all'indietro verso un nuovo sistema imperiale.
Almeno parallela cresce un'altra voglia, quasi una smania, di comunità, la nostalgia di una comunità che non abbiamo in verità mai conosciuto. Scrive Zigmunt Bauman (Voglia di Comunità,): La comunità ci manca perché ci manca la sicurezza, elemento fondamentale per una vita felice che il mondo di oggi è sempre meno in grado di offrirci e sempre più riluttante a promettere.
Ma la comunità resta pervicacemente assente, ci sfugge costantemente di mano o continua a disintegrarsi, perché la direzione in cui questo mondo ci sospinge nel tentativo di realizzare il nostro sogno di una vita sicura non ci avvicina affatto a tale meta...
La voglia di sentirsi in quella comunione profonda diventa ricerca di un legame collettivo, potremmo quasi dire un legame "purché sia", anche inventato. Il che sarebbe in sé abbastanza ridicolo se non avesse elementi preoccupanti, che emergono in luoghi non poi così lontani da noi, con esiti cruenti. È la ricerca di un'appartenenza che ci sorregga nella distinzione da chi è diverso da noi perché sta oltre un certo confine, definito per stile di vita, gruppo etnico o religioso, o semplicemente una distinzione funzionale a rivendicare il nostro privilegio.
La smania di impero e di comunità sono entrambi modi di rifiutare la politica, la democrazia, la ricerca faticosa della costruzione di una convivenza, che non è regalata.
Lettera dal Senato, su Afghanistan e politica estera (Lidia Menapace)
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Cari pacifisti, vi spiego perché ho approvato quellaccordo Lidia Menapace
Oggi, cari amici pacifisti, devo narrarvi cose gravi e difficili e non per scarico di coscienza o per trovare giustificazioni o condivisioni da parte vostra, dato che so che la responsabilità di quello che decido è mia e intera la tengo.
Cominciano le prime decisioni del governo e la situazione non è allegra, almeno in Senato, dove -come è noto- la maggioranza è risicatissima e le imboscate possono sempre succedere.
Oggi, cari amici pacifisti, devo narrarvi cose gravi e difficili e non per scarico di coscienza o per trovare giustificazioni o condivisioni da parte vostra, dato che so che la responsabilità di quello che decido è mia e intera la tengo.
Cominciano le prime decisioni del governo e la situazione non è allegra, almeno in Senato, dove -come è noto- la maggioranza è risicatissima e le imboscate possono sempre succedere.
Afghanistan: La guerra è la guerra è la guerra è la guerra (Nella Ginatempo)
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Tratto da "La nonviolenza è in cammino", n. 1351 del 8 luglio 2006
[Nella Ginatempo (per contatti:Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ) è una prestigiosa intellettuale impegnata nei movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti; è docente di sociologia urbana e rurale all'università di Messina; ha tenuto per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche sul tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa in Italia, 1975; La città del Sud, 1976; Marginalità e riproduzione sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello Stretto, 1999; Un mondo di pace è possibile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2004]
[Nella Ginatempo (per contatti:
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