Mario Gozzini ricorda don Lorenzo Milani
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È il titolo dell'ottimo libro di Giorgio Pecorini (Baldini & Castoldi, 1996, pp. 420, lire 28.000), l'ultimo arrivato, per ora, ad accrescere la già copiosa messe di studi sul priore di Barbiana. L'interrogativo manzoniano è perfettamente appropriato, anche se, com'è ovvio, fra Carneade e don Abbondio, da una parte, e don Lorenzo, dall'altra, non c'è proprio nulla in comune.
Martin Luther King: pellegrinaggio alla nonviolenza
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Proponiamo il seguente scritto, ripreso dall'opuscolo: Martin Luther King, Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1993. Tratto dal n. 1125 del 25/11/2005 del notiziario La nonviolenza è in cammino.
Il disubbidiente obbediente. Ricordo di Lorenzo Milani (Filippo Gentiloni)
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Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 giugno 2007
Quaranta anni fa moriva don Milani. Molti ne hanno parlato in questi giorni: difficile dire se si è trattato soltanto del ricordo di un defunto lontano o di una presenza educativa e culturale ancora viva nella nostra scuola e nella nostra politica. Qualcuno ha anche ricordato che Esperienze pastorali non è stato ufficialmente riabilitato dall'autorità ecclesiastica che lo aveva condannato all'Indice dei libri proibiti.
Don Milani scriveva in una lettera alla mamma (14 luglio 1954): "Io ho la superba convinzione che le cariche di esplosivo che ho ammonticchiato in questi cinque anni non smetteranno di scoppiettare per almeno cinquanta sotto il sedere dei miei vincitori". Oggi diciamo che era troppo ottimista.
Preferiamo ricordarlo con le parole di Giorgio Pecorini, profondo conoscitore della scuola di Barbiana e ben noto ai lettori del "Manifesto": "Fin quando don Milani è stato vivo, gerarchia e integralismo, costretti dalla sua 'disobbedienza obbedientissimà a non scaricarlo, si sono rivalsi emarginandolo ed esiliandolo. Poi, dopo morto, un poco alla volta, hanno preso ad appropriarsene, via via facendosi gloria e vanto della ortodossia e del suo rigore, ma addomesticando l'una e l'altro, scegliendo fra le sue testimonianze quelle che, sapientemente o grossolanamente censurate e manipolate da capo secondo i diversi livelli di onestà e di gusto, parevano le più usabili in senso normalizzatore" ("Fà strada ai poveri senza farti strada").
Qui Pecorini cita, fra l'altro, una lettera di don Milani alla sorella Elena, che aveva temuto di dargli un dispiacere annunciandogli il proprio matrimonio civile: "Cara Elena, sono contentissimo che tu ti sposi e non ho nessun motivo di meravigliarmi o dolermi che tu lo faccia in Comune. Esser religiosi o esser cristiani è una fortuna, non un obbligo. Mi può dispiacere che tu non abbia questa fortuna, non che tu compia un atto in sintonia con quello che pensi". Posizione ancora più significativa oggi, in tempi di Dico.
Da segnalare, su "Adista", una lettera inedita a firma di "Lorenzo Milani, parroco di S. Andrea a Barbiana", diretta al professor Tommaso Fiore, dopo l'uscita di Esperienze pastorali. Don Milani si difende dalle accuse vaticane e scrive: "Dare la scuola ai poveri, tutto il resto sa di chiacchiere". Un bel compendio di una vita.
Quaranta anni fa moriva don Milani. Molti ne hanno parlato in questi giorni: difficile dire se si è trattato soltanto del ricordo di un defunto lontano o di una presenza educativa e culturale ancora viva nella nostra scuola e nella nostra politica. Qualcuno ha anche ricordato che Esperienze pastorali non è stato ufficialmente riabilitato dall'autorità ecclesiastica che lo aveva condannato all'Indice dei libri proibiti.
Don Milani scriveva in una lettera alla mamma (14 luglio 1954): "Io ho la superba convinzione che le cariche di esplosivo che ho ammonticchiato in questi cinque anni non smetteranno di scoppiettare per almeno cinquanta sotto il sedere dei miei vincitori". Oggi diciamo che era troppo ottimista.
Preferiamo ricordarlo con le parole di Giorgio Pecorini, profondo conoscitore della scuola di Barbiana e ben noto ai lettori del "Manifesto": "Fin quando don Milani è stato vivo, gerarchia e integralismo, costretti dalla sua 'disobbedienza obbedientissimà a non scaricarlo, si sono rivalsi emarginandolo ed esiliandolo. Poi, dopo morto, un poco alla volta, hanno preso ad appropriarsene, via via facendosi gloria e vanto della ortodossia e del suo rigore, ma addomesticando l'una e l'altro, scegliendo fra le sue testimonianze quelle che, sapientemente o grossolanamente censurate e manipolate da capo secondo i diversi livelli di onestà e di gusto, parevano le più usabili in senso normalizzatore" ("Fà strada ai poveri senza farti strada").
Qui Pecorini cita, fra l'altro, una lettera di don Milani alla sorella Elena, che aveva temuto di dargli un dispiacere annunciandogli il proprio matrimonio civile: "Cara Elena, sono contentissimo che tu ti sposi e non ho nessun motivo di meravigliarmi o dolermi che tu lo faccia in Comune. Esser religiosi o esser cristiani è una fortuna, non un obbligo. Mi può dispiacere che tu non abbia questa fortuna, non che tu compia un atto in sintonia con quello che pensi". Posizione ancora più significativa oggi, in tempi di Dico.
Da segnalare, su "Adista", una lettera inedita a firma di "Lorenzo Milani, parroco di S. Andrea a Barbiana", diretta al professor Tommaso Fiore, dopo l'uscita di Esperienze pastorali. Don Milani si difende dalle accuse vaticane e scrive: "Dare la scuola ai poveri, tutto il resto sa di chiacchiere". Un bel compendio di una vita.
L'altro lato della montagna. Su Martin Luther King (Darryl Lorenzo Wellington)
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Darryl Lorenzo Wellington presenta "Going down jericho road: the memphis strike. king's last campaign" di Michael k. Honey
[Dalla rivista "Lo straniero", n. 85, luglio 2007 riprendiamo il seguente articolo (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net) dal titolo "L'altro lato della montagna. Su Martin Luther King" originariamente apparso su "Dissent", primavera 2007 (traduzione di Elisabetta Lopalco)]
Pubblicato su Voci e volti della nonviolenza, n. 76 del 6 luglio 2007
Mentre scrivo queste righe il Martin Luther King Day del 2007 si è appena concluso.
Con il passare degli anni - il 2007 è il trentanovesimo anniversario della sua morte - l'appartenenza di King al pantheon dei grandi personaggi americani e l'unicità storica del movimento di protesta nonviolenta da lui capeggiato appaiono sempre più indiscutibili. Un festa nazionale è un onore che gli si deve. Tuttavia, il memoriale che si svolge ogni anno è sia il culmine del lascito di King sia un peso che grava su di esso.
Ho partecipato alle celebrazioni in onore di King a Charleston, Sud Carolina, e certamente rispecchiano quelle avvenute in tutti gli Stati Uniti. Ci sono state le solite parate - licei, college, sostenitori della Naacp (National Association for the Advancement of Colored People) - e i soliti discorsi, sermoni e omelie. Ho anche preso parte a un banchetto di studenti universitari che avevano passato la giornata a onorare il concetto di altruismo impegnandosi in attività umanitarie. Per quel che vale l'attivismo di base, gli studenti si erano comportati da novellini, ma le loro intenzioni erano buone. Quello che mancava era la sensazione di tumulto e di lotta. Con questo intendo dire la possibilità di svolgere dimostrazioni di massa e campagne per la giustizia paragonabili a quelle avute per eliminare il concetto di cittadini di seconda classe e la segregazione. Nell'America di oggi non esiste nessun muro di ingiustizia tanto visibile e indifendibile come lo era la segregazione. Non ci sono nè proteste nè sollevazioni di massa simili a quelle che si ebbero negli anni Sessanta. C'è la guerra in Iraq; ma non c'è nessun obbligo di leva. Ci sono ghetti inumanamente privi di tutto come ai tempi di King e ingiustizie di massa come l'assenza di un'assistenza sanitaria universale; ma c'è poca consapevolezza di come si potrebbe rimediare a questi mali tramite raduni e marce di protesta. Ciò che manca a queste commemorazioni è il senso delle impellenze politiche che bussano alla porta. Così il risultato è un linguaggio privo di forza politica e di forza retorica.
[Dalla rivista "Lo straniero", n. 85, luglio 2007 riprendiamo il seguente articolo (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net) dal titolo "L'altro lato della montagna. Su Martin Luther King" originariamente apparso su "Dissent", primavera 2007 (traduzione di Elisabetta Lopalco)]
Pubblicato su Voci e volti della nonviolenza, n. 76 del 6 luglio 2007
Mentre scrivo queste righe il Martin Luther King Day del 2007 si è appena concluso.
Con il passare degli anni - il 2007 è il trentanovesimo anniversario della sua morte - l'appartenenza di King al pantheon dei grandi personaggi americani e l'unicità storica del movimento di protesta nonviolenta da lui capeggiato appaiono sempre più indiscutibili. Un festa nazionale è un onore che gli si deve. Tuttavia, il memoriale che si svolge ogni anno è sia il culmine del lascito di King sia un peso che grava su di esso.
Ho partecipato alle celebrazioni in onore di King a Charleston, Sud Carolina, e certamente rispecchiano quelle avvenute in tutti gli Stati Uniti. Ci sono state le solite parate - licei, college, sostenitori della Naacp (National Association for the Advancement of Colored People) - e i soliti discorsi, sermoni e omelie. Ho anche preso parte a un banchetto di studenti universitari che avevano passato la giornata a onorare il concetto di altruismo impegnandosi in attività umanitarie. Per quel che vale l'attivismo di base, gli studenti si erano comportati da novellini, ma le loro intenzioni erano buone. Quello che mancava era la sensazione di tumulto e di lotta. Con questo intendo dire la possibilità di svolgere dimostrazioni di massa e campagne per la giustizia paragonabili a quelle avute per eliminare il concetto di cittadini di seconda classe e la segregazione. Nell'America di oggi non esiste nessun muro di ingiustizia tanto visibile e indifendibile come lo era la segregazione. Non ci sono nè proteste nè sollevazioni di massa simili a quelle che si ebbero negli anni Sessanta. C'è la guerra in Iraq; ma non c'è nessun obbligo di leva. Ci sono ghetti inumanamente privi di tutto come ai tempi di King e ingiustizie di massa come l'assenza di un'assistenza sanitaria universale; ma c'è poca consapevolezza di come si potrebbe rimediare a questi mali tramite raduni e marce di protesta. Ciò che manca a queste commemorazioni è il senso delle impellenze politiche che bussano alla porta. Così il risultato è un linguaggio privo di forza politica e di forza retorica.
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