Alcune note sulla situazione del Mediterraneo del prof. Alessandro Volpi dell’Università di Pisa.
1) Forte peso delle bilance commerciale e delle bilance dei pagamenti. Da Barcellona nel 1995 fino all’Unione mediterranea di Sarkzy, passando per il Nepad e per gli Accordi regionali, il modello di sviluppo dei paesi della sponda sud del Mediterraneo si è basato sulla necessità di costruire le condizioni perché potessero disporre di una bilancia commerciale attiva. Tali condizioni sono state individuate in primo luogo in una forte specializzazione produttiva, nella rinuncia a qualsiasi ipotesi di autosufficienza, nella possibilità di disporre di un credito internazionale a basso costo e nella stabilità politica, non importa se democratica. Questo modello non ha sostanzialmente funzionato per varie ragioni. In primo luogo perché gli Stati della sponda sud non hanno potuto disporre di una reale apertura dei mercati dei paesi della sponda Nord, e dunque avendo rinunciato a costruire un mercato interno attraverso politiche di stimolo dei consumi, si sono ritrovati con bilance commerciali passive. Una situazione aggravata dal fatto di non disporre spesso di una reale sovranità monetaria: hanno fatto transazioni con monete forti che costavano loro moltissimo e l’accesso al credito bancario è stato per molti di tali paesi quasi proibitivo nonostante i tassi internazionali bassi per la mancanza di strutture di intermediazione bancaria. Spesso l’unica fonte di finanziamento per questi paesi sono state le rimesse dei migranti, che hanno risentito troppo delle oscillazioni del dollaro. In questo quadro ha agito poi la finanziarizzazione dei prezzi agricoli e dell’energia che ha provocato vere e proprie impennate vertiginose dell’inflazione in relazione a tali beni, con una conseguente distinzione netta fra paesi esportatori di energia e materie prime, dove si registra una forte crescita del PIl, e paesi importatori di derrate alimentari e di energia colpiti da dure recessioni.
2) Importanza del modello politico e sociale; in molti dei paesi della sponda Sud è prevalso il “culto” della stabilità, sostenuto dall’Unione Europea e dalle grandi istituzioni finanziarie internazionali, disposte a fornire garanzie collaterali tanto maggiori quanto maggiore era la stabilità. Questo schema si reggeva sull’idea che non potesse esistere un islam democratico in termini politici; o meglio si raffiguravano i paesi con una immagine religiosa totalizzante ritenuta in grado di cancellare la sfera politica se questa non veniva forzatamente laicizzata con forme non democratiche. I paesi di fede islamica quindi erano in toto religiosi e non conciliabili con assetti democratici; ciò legittimava il rapporto con governi personalistici e dittatoriali. Del resto questi stessi Stati avevano rinunciato da tempo ad una vera dimensione istituzionale e hanno conservato il carattere degli stati patrimoniali, clanici, con l’ingresso nella nuova stagione successiva alla globalizzazione attraverso lo strumento dei Fondi sovrani, formidabili erogatori di liquidità a breve, non intrusivi né ingombranti nei consigli di amministrazione in cui sono entrati. Questi quasi-Stati non hanno manifestato inoltre alcuna attenzione alle forme della distribuzione del reddito (le rivolte sono scoppiate in paesi in cui il Pil è cresciuto in media del 4% annuo dal 2002 al 2009, a dimostrazione peraltro anche dell’inadeguatezza del Pil come strumento di misurazione della ricchezza), a partire da possibili riforme fiscali o da modelli di decentramento amministrativo
3) Le attuali rivolte e le evidenti difficoltà del quaedismo hanno messo in crisi queste chiavi di lettura e impongono una maggiore omoegeneità dei lessici della politica; il processo democratico che passa attraverso il dibattito costituente, le regole sociali della progressività, le forme della rappresentanza e la divisione dei poteri, o meglio l’equilibrio dei poteri possono diventare linguaggio comune per le due sponde del Mediterraneo in una unica stagione, costituente appunto, che ripensi i metodi e i contenuti della partecipazione, a partire da un ripensamento vero del rapporto fra forma partito e movimenti
4) Centralità della riflessione religiosa e del suo rapporto con la politica che non può in alcun modo essere trascurato ma deve essere letto nell’ambito della effettiva “conciliazione”. Non sono possibili laicismi artificiali né costruzioni dove la politica è del tutto subalterna alla centralità teocratica; questione del Libano, la costituzione multireligiosa del Libano è un modello possibile? O è definitivamente superato?
5) Naturalmente perché questo processo prenda corpo occorre avviare un radicale ripensamento della finanziarizzazione (fine della speculazione alimentare), del sistema monetario per concepire strumenti in grado di gestire le dinamiche inflazione-svalutazione-rivalutazione, della centralità della bilancia commerciale, rispetto alla quale serve destinare maggiore riguardo alla costruzione di mercati interni, recuperando o sfruttando anche le strutture dell’informalità. Questi passaggi sono necessari perché possono smontare il pericoloso culto della stabilità fine a se stessa, “a prescindere”.
Alessandro Volpi