In questo scritto1 Escobar compatibilmente con il limitato spazio utilizzato, ricompone mirabilmente questo apparente caos in una .visione articolata acuta e intelligibile. La ventata di pensiero critico portata dall’EZLN, certamente alimentata da una minoranza precedente di pensatori sparsi qua e là nel continente, sta crescendo robustamente preparando i paradigmi per una transizione che sarà lunga e dolorosa ma inevitabile. Un testo, questo di Escobar, che apre squarci su questo mondo in movimento. Stimolo per intraprendere un percorso intellettuale affascinante e, soprattutto, ricco di speranza.
Aldo Zanchetta
Esco a camminar
per la cintura cosmica del sud.
Cammino nella regione
più vegetale del tempo e della luce
Camminando sento
tutta la pelle dell’America nel mio piede
E col mio sangue scorre un torrente
che libera nella mia voce la sua forza.
(Mercedes Sosa, Canción con todos)2
Sono lo sviluppo in carne viva
(Calle 13,Latinoamérica)
In una recente nota apparsa in América Latina en Movimiento, intitolata “La crisi del pensiero latinoamericano”3, il prof. Emir Sader lamenta “la relativa assenza dell’intellettualità critica” latinoamericana, particolarmente nei momenti di rinnovato attacco della destra contro i movimenti progressisti. “Al pensiero progressista non mancano le idee –continua il testo- deve combattere per avere spazi, ma invece manca la partecipazione, mancano realtà che convochino l’intellettualità critica alla partecipazione attiva nella lotta sui problemi teorici e politici sui quali in America Latina sono impegnati i processi progressisti … Oggi è indispensabile ricomporre il legame fra pensiero critico e lotta per il superamento del neoliberismo, fra teoria e pratica, fra intellettualità e impegno politico concreto”.
Si deve prestare molta attenzione al richiamo del prof. Sader. In particolare, tutte e tutti noi dobbiamo pensare seriamente alla ricomposizione epistemica, economica e politica dei processi di dominazione, a livello nazionale, continentale e globale, e dobbiamo essere sempre disposti ad accettare l’invito a rinnovare i nostri interrogativi attraverso la prassi, includendovi l’importanza dell’intellettuale nella vita pubblica delle nostre società. Tuttavia vi sono in gioco varie questioni chiave che ogni analisi del pensiero critico latinoamericano (PCL) è obbligata a prendere in considerazione: in cosa consiste oggi il PCL? Possiamo confinarlo all’interno del progressismo o della sinistra? Cosa è che esattamente sta in crisi? Il pensiero dei governi progressisti? Delle sinistre? Queste due categorie esauriscono il campo, secondo la nostra opinione molto più ampio e forse non limitabile, del pensiero critico delle comunità, dei movimenti e dei popoli? E ancora, qual è il ruolo del pensiero critico nelle trasformazioni sociali?
Come suggerisce il sottotitolo di questo articolo, non siamo più semplicemente di fronte ad un continente unito nella sua storia e nella sua cultura, ‘America Latina’, ma di fronte ad un pluriverso, un mondo fatto di molti mondi. I mondi indigeni e Afrodiscendenti in particolare hanno conquistato un’importanza inusitata nella ridefinizione di una supposta identità e realtà condivise; da qui la nuova definizione di Abya Yala/Afro/Latino-America. Non è una definizione ideale, data la diversità interna a ciascuno di questi tre assi identitari, e occulta altri assi chiave (rurale/urbano; classe, genere, generazione, sessualità e spiritualità), tuttavia è una maniera per iniziare a problematizzare, e almeno farci esitare quando con tanta naturalezza evochiamo l’’America Latina’4.
Due ipotesi sul Pensiero Critico in Abya Yala/Afro/Latino-America5
L’argomento che svilupperò in queste pagine è quello che il PCL non è in crisi; anzi, si potrebbe dire che è più vibrante e dinamico che mai. I contributi teorico-pratici per ripensare la regione si riverberano attraverso l'intero continente negli incontri dei popoli, nelle mingas6 del pensiero, nei dibattiti dei movimenti e dei collettivi, nelle assemblee delle comunità in resistenza, nelle mobilitazioni di giovani, donne, contadini e ambientalisti, e senza alcun dubbio anche in alcuni di quei settori che tradizionalmente sono stati considerati il luogo del pensiero critico per eccellenza, come le università, l’accademia e le arti.7
Un elenco delle tendenze più significative del PCL dovrebbe includere, oltre ad altre cose, le critiche alla modernità e la teoria della decolonizzazione; i femminismi autonomi, decolonizzati e comunitari, delle donne indigene e Afrodiscendenti; la diversa gamma di dibattiti ecologici e delle economie alternative, inclusa l’ecologia politica, l’economia sociale e solidaria (ESS), le economie comunitarie (comunales) e i comunes8; le tendenze autonomiste; altre e nuove spiritualità; le diverse proposte di transizioni civilizzatorie, interculturalità, il post-sviluppo, il Buen Vivir e il post-estrattivismo9. Ma, cosa ancora più importante, ogni genealogia e catalogazione del pensiero latinoamericano deve, oggi a maggior ragione, includere le categorie, i saperi, le conoscenze delle comunità stesse e delle loro organizzazioni come una delle espressioni più forti del pensiero critico. Quest’ultima affermazione costituisce la sfida più grande per il pensiero critico latinoamericano, dato che la struttura epistemica della modernità (sia essa liberale, di destra o di sinistra) è stata costruita sulla effettiva cancellazione di questo substrato cruciale del pensiero, ed è proprio questo livello che oggi riemerge con maggior chiarezza e forza, come vedremo.
Un’analisi della congiuntura regionale e planetaria, e di come questa si rifletta nei dibattiti teorico-politici del continente, ci induce a formulare le seguenti ipotesi:
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Primo: il pensiero critico latinoamericano non è in crisi, anzi è in ebollizione.
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Secondo: le conoscenze dei popoli in movimento, delle comunità in resistenza e di molti movimenti sociali si situano negli avamposti del pensiero per le transizioni10, e rivestono un’importanza inusitata per la ricostituzione di mondi, di fronte alle gravi crisi ecologiche e sociali che abbiamo davanti a noi, più ancora delle conoscenze degli esperti, delle istituzioni e dell’accademia. (Preciso che con questo non voglio dire che queste ultime sono inutili, ma che sono chiaramente insufficienti a elaborare gli interrogativi e i modelli per affrontare le crisi).
Per vedere così le cose, è tuttavia necessario ampliare lo spazio epistemico e sociale di quello che è stato tradizionalmente considerato il pensiero critico latinoamericano, onde inglobare, assieme al pensiero della sinistra, almeno due grandi correnti che negli ultimi due decenni sono venute emergendo quali grandi sorgenti di produzione critica: una che nasce dalle lotte e dai pensieri ‘dal basso’, le altre quelle che sono sintonizzate con le dinamiche della Terra. Chiameremo queste due correnti col nome rispettivamente di ‘pensiero dell’autonomia’ e di ‘pensiero della Terra’.
Diciamo subito che la prima si riferisce al pensiero, sempre più articolato e approfondito, che emerge dai processi di autonomia che si sono concretizzati con lo Zapatismo, che includono però una grande varietà di esperienze e proposte in tutto il continente, dal Sud del Messico alla Colombia sud-occidentale, e da lì al resto del continente. Tutti questi movimenti enfatizzano la ricostituzione del comunal come colonna portante dell’autonomia. Autonomia, comunalidad e territorialità sono i tre concetti chiave di questa corrente.
Col pensiero della Terra ci riferiamo invece non tanto al movimento ambientalista o a quello ecologista, ma a quella dimensione che ogni comunità che abita un territorio sa essere vitale per la propria esistenza: il suo indissolubile legame con la Terra e con tutti gli esseri vivi. Più che in conoscenze teoriche, questa dimensione si trova eloquentemente manifestata nell’arte (tessuti), nei miti, nelle pratiche economiche e culturali dei luoghi e nelle lotte territoriali e per la difesa della Pachamama. Questo non la rende meno, ma forse anzi più importante, per il compito cruciale di ogni forma di pensiero critico nel momento presente, al quale ci riferiamo quando parliamo di “ricostruzione di mondi”.
Non potrò collocare l’argomento all’interno della lunga e nobile storia del PCL. Diciamo soltanto che da alcune prospettive (come il pensiero decolonizzatore) la genealogia di un ‘pensiero altro’ risale alla stessa colonia, riscontrandolo nel lavoro di certi intellettuali indigeni e cimarrones11.Diciamo che anche nel corso del XIX secolo i dibattiti critici nel continente videro capitoli che conservano tuttora una loro rilevanza, da quelli che prospettavano la scelta fra civilizzazione e barbarie, fino ai primi dibattiti, già alla fine del secolo, sulla modernità latinoamericana, creando tensioni fra visioni conservatrici ma antiliberali (Arielismo12) e ‘nostramericane’ anti-imperialiste (Martí), che conservano tuttora la loro importanza. Già agli albori del XX secolo cominciano a giocare un ruolo importante il marxismo e l’anarchia, e alla metà del secolo si registra il famoso dibattito fra il filosofo Zea e Augusto Salazar Bondi sull’interrogativo ‘se esiste o meno una filosofia della nostra America’.
Si deve osservare che tutti questi dibattiti hanno però luogo dentro canoni eurocentrici, senza interrogarsi seriamente sulla loro importanza per le comunità e ‘le masse’ del continente13. Si dovrà attendere fino alla denuncia radicale del maestro Orlando Fals Borda, nel suo libro Ciencia propia y colonialismo intelectual (1970) e l’importante libro di Paulo Freire, Pedagogia dell’oppresso (1970, pubblicato in portoghese nel 1968) per scuotere l’edificio epistemico delle accademie sia critiche che di sinistra e si cominciasse a prendere sul serio quelle che oggi chiameremmo ‘le conoscenze altre’ dei mondi subalterni.
Questa è senza dubbio una esposizione del tutto insufficiente, e forse ‘aggiustata’, della ricca tradizione del PCL, ma la inserisco in zone delle due ipotesi esposte. I movimenti di educazione e di comunicazione popolare ispirati da Fals (con la sua ricerca azione partecipativa, IAP) e Freire ispirarono una infinità di iniziative trasformatrici degli anni Settanta e Ottanta, spesso con l’aiuto delle lotte rivoluzionarie alimentate dal marxismo e dalle diverse sinistre, però sempre enfatizzando la necessità di prendere sul serio i saperi dei popoli. Oggi, nelle correnti autonomiste e del pensiero della Terra, troviamo gli echi di questa importante eredità, ma con una maggior radicalizzazione epistemica rispetto a quella delle proposte di quegli anni.
Per quanto riguarda questo saggio, vorrei definire il pensiero critico latinoamericano (PCL) come un intreccio di tre grandi correnti: il pensiero della sinistra, il pensiero autonomista e il pensiero della Terra. Queste non sono sfere separate e precostituite ma si intersecano, talora alimentandosi reciprocamente e talaltra anche contraddicendosi. La mia tesi è che oggi dobbiamo coltivare le tre correnti, mantenendole in tensione e in dialogo continuo fra di loro, abbandonando tutte le pretese di universalità e di possesso della verità. Detto in modo diverso, alla formula zapatista lottare “dal basso, a sinistra”, si deve aggiungere una terza componente fondamentale, “con la Terra” (implicita, ma fino a un certo punto, nello zapatismo). Nella parte che segue inizierò col fare alcune brevi osservazioni sull’importanza cruciale del ‘pensiero della sinistra’, per offrire successivamente un abbozzo necessariamente provvisorio, delle altre correnti14.
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Il pensiero della sinistra e la sinistra del pensiero
Quante cose è la sinistra: teoria, strategia, pratica, storia di lotte, umanesimo, icone, emozioni, canti, arte, tristezze, vittorie e sconfitte, rivoluzioni, momenti di bellezza e di orrore, e molte altre cose ancora. Come non continuare a ispirarsi ai momenti più belli delle lotte rivoluzionarie socialiste e comuniste attraverso la loro storia possente; come non continuare, almeno per la mia generazione, a emozionarsi per la figura carismatica del Che, o di un Camilo Torres che attende la morte con al braccio un fucile che non ha mai sparato, icone che continuano ad ornare le pareti delle università pubbliche della Colombia e del continente e che, vedendole, ci fanno ancora rasserenare. Come non pensare al rosso, bello ed intenso, delle bandiere delle manifestazioni contadine e proletarie di ieri, di contadini che leggono i sempre presenti libretti rossi, mentre sono in attesa di marciare in nome del diritto alla terra15. Come non innestare in ogni lotta e in ogni teoria gli ideali della giustizia sociale, il sogno dell’uguaglianza di classe e gli ideali di libertà e di emancipazione della sinistra rivoluzionaria.
A livello teorico è obbligatorio riconoscere i molti contributi del materialismo dialettico e del materialismo storico, il suo rinnovarsi nell’incontro con lo sviluppismo (teoria della dipendenza), l’ambientalismo (marxismo ecologico), il femminismo, la teologia della liberazione, il post-strutturalismo (ad es Laclau e Mouffe), la cultura (ad es. Stuart Hall, gli studi culturali latinoamericani, l’interculturalità), e la ‘post’ e la ‘de’ colonializzazione. Tuttavia, sebbene quest’ampia gamma di teorie continui ad essere importante, oggi riconosciamo facilmente gli inevitabili innamoramenti modernisti del materialismo storico (come la sua aspirazione all’universalismo, alla totalità, alla teleologia e alla verità che si infiltrano anche attraverso l’acuta lente analitica della dialettica). Inoltre non si può disconoscere che stiamo imparando nuovi modi di pensare la materialità, attraverso l’ecologia economica, le teorie della complessità, l’autopoiesis e l’auto-organizzazione e i nuovi modi di pensare il contributo di tutto quello che restò fuori dalla spiegazione modernista della realtà, dagli oggetti e dalle ‘cose’ con la loro ‘materialità vibrante’ fino a tutto il campo del non umano (microrganismi, animali, molteplicità delle specie, minerali) che, come le relazioni sociali di produzione, sono determinanti per le configurazioni della realtà. In queste nuove ‘ontologie materialiste’ anche le emozioni, i sentimenti e lo spirituale rientrano fra le forze attive che costruiscono la realtà.
Vorrei sottolineare due elementi di questa breve rassegna. Il primo, la rottura dei nuovi materialismi con l’antropocentrismo dei materialismi della modernità. Il secondo, e come corollario, il “declassamento epistemico” a cui si vedono esposte quelle correnti che usualmente riteniamo di sinistra. Per declassamento epistemico intendo la necessità di abbandonare ogni pretesa di universalità e verità ed una apertura attiva a quelle altre modalità di pensare, di lottare e di esistere che vanno sbocciando, talora con chiarezza e con forza, talaltra confusamente e con titubanza, però sempre affermative e alla ricerca di modelli di vita ‘altri’, in tanti luoghi di un continente che sembra vicino all’ebollizione16. Questo declassamento invita i pensatori di sinistra a guardare al di là dell’episteme della modernità, a decidersi ad abbandonare una volta per tutte le loro categorie più decantate, quali lo sviluppo, la crescita economica e la stessa concezione dell’’uomo’. Ingiunge loro di sentipensare con la Terra e con le comunità in resistenza per ri-articolare e arricchire il loro pensiero.
Deve essere chiaro che qui non mi sono soffermato ad analizzare la differenza fra ‘progressismo’ e ‘sinistra’, né le ben documentate critiche al neo-estrattivismo dei governi progressisti, o l’apparente esaurimento del modello progressista neo-estrattivista e sviluppista. E neppure mi occuperò dei dibattiti per il rinnovamento della sinistra, pur importanti in questo momento in paesi come Brasile, Venezuela, Ecuador, Bolivia e Argentina. Infine ho tralasciato di analizzare l’appropriazione da parte di alcuni dei governi progressisti di concetti potenzialmente radicali come il Buen Vivir17 e i Diritti della Natura18. È necessario tuttavia osservare che dalla prospettiva qui esposta, ogni politica di sinistra basata sull’esclusione di altri punti di vista, l’eliminazione della critica e la repressione di organizzazioni di base perché dissentono dall’ufficialismo può solo rappresentare una visione ristretta e discutibile del pensiero critico della sinistra. È in questo modo che le sinistre ufficiali si appropriano e sviliscono le esperienze e le categorie dei popoli e dei movimenti. Il dibattito su questo tipo di progressismo sta acquistando sempre più intensità nel continente, con giusta ragione. Confido che le due correnti che esploro di seguito apportino nuovi elementi a questo dibattito.
II. Il pensiero del basso o dal basso.
La terra comanda, il popolo ordina, e il governo ubbidisce. Costruendo autonomia.19
Un fantasma attraversa il continente: il fantasma dell’autonomia. E potremmo proseguire: “Tutte le forze della vecchia [latinoamerica] si sono unite in una santa crociata per dare la caccia a questo fantasma … È [ormai] ora che gli [autonomi20] espongano di fronte al mondo intero le loro idee, i loro obbiettivi e le loro tendenze, che oppongano alla leggenda del fantasma [dell’autonomia] un manifesto del proprio partito”. Senza dubbio in questo caso non sarà un manifesto di un solo partito, ma una molteplicità di manifesti, data la molteplicità dei mondi di cui ci parlano i/le compagni/e zapatisti/e, un mondo dove vivono molti mondi. Saranno le molteplici visioni di coloro “che già si sono stancati di non essere e stanno aprendo il cammino” (M.Rozental), dei soggetti della degna rabbia21di tutte e tutti quelli che lottano per un posto dignitoso per i popoli color della Terra.
È innegabile che questa seconda corrente che proponiamo, l’autonomia, è una forza teorico-politica che comincia a percorrere Abya Yala/Afro/Latino-America in forma decisa, contro venti e maree, e nonostante i suoi alti e bassi. Nasce dall’attivazione politica dell’esistenza collettiva e relazionale di una grande varietà di gruppi subalterni - indigeni e afrodiscendenti, contadini, abitanti dei territori urbani popolari, giovani, donne solidarie. È l’ondata generata dai dannati della terra22 in difesa dei propri territori di fronte alla valanga del capitale globale neoliberista ed alla modernità individualista e consumista. Li si vedono in azione in tante mobilitazioni degli ultimi decenni, in incontri inter-epistemici, in mingas di pensiero, in vertici dei popoli e in convergenze di ogni tipo, dove i protagonisti centrali sono i saperi delle comunità e dei popoli che resistono sulla base Delle logiche della vita dei rispettivi mondi. Coinvolge tutti coloro che si difendono dallo sviluppo estrattivista perché sanno molto bene che “affinché lo sviluppo possa entrare, deve uscire la gente”, come spesso affermano i e le leaders Afrocolombiani/e che fanno l’esperienza dell’espulsione dai propri territori sotto la pressione del cosiddetto progresso.
A livello teorico l’autonomia fa riferimento a una grande varietà di tendenze, dal pensiero decolonizzatore e dagli studi subalterni e postcoloniali23 fino alle epistemologie del sud e all’ecologia politica, e altre ancora. C’è un parentesco24 evidente con nozioni quali la decolonizzazione del sapere, la giustizia cognitiva e l’inter-culturalità. Ma il suo peso teorico-politico gravita attorno a tre grandi concetti: autonomia, comunalidad e territorialità, dei quali solo il primo ha una qualche genealogia nelle sinistre, in particolare nell’anarchia. Le concezioni di comunità in particolare stanno ricomparendo in differenti spazi epistemico-politici, incluso nelle mobilitazioni di indigeni, afrodiscendenti e contadini, soprattutto in Messico, Bolivia, Colombia, Ecuador e Perú. Quando si parla di comunalidad la parola viene impiegata con vari significati: comunalidad25, il comunal, il popular-comunal, le lotte per i comunes, comunitismo (attivismo comunitario). La comunalidad (la condizione di essere comunal) costituisce così l’orizzonte di intelligibilità delle culture dell’’America profonda’26 e anche di molte lotte nuove, anche in contesti urbani; è una categoria centrale nella vita di molte popolazioni, e continua ad essere la loro esperienza più fondamentale o vivencia. Ogni concetto di comunidad in questo senso si intende in forma non essenzialista, intendendo la comunidad in tutta la sua eterogeneità e storicità, sempre derivata dall’ancestralità (il tessuto relazionale dell’esistenza comunal), però aperta verso il futuro nella sua autonomia.
L’autonomia ha la sua ragion d’essere nell’aggravamento dell’occupazione ontologica dall’estrattivismo di ogni tipo e dalla globalizzazione neoliberista dei territori e dei mondi-vita dei popoli-territorio. Questa occupazione è opera di un mondo fatto di un mondo capitalista, secolare, liberista, moderno, patriarcale, che si arroga il diritto di essere ‘il Mondo’ e rifiuta di relazionarsi con tutti questi altri mondi che si mobilitano con crescente chiarezza concettuale e forza politica in difesa dei propri modelli di vita diversi. L’autonomia ci parla di società in movimento, più che di movimenti sociali (R. Zibechi, riferendosi all’ondata di insurrezioni indigeno-popolari che portarono al potere Evo Morales) e potremmo parlare con maggior pertinenza anche di mondi in movimento, perché ciò che emerge sono veri mondi relazionali, dove il comunale prevale sull’individuale, il legame con la terra sulla separazione fra umani e non-umani e il buen vivir sull’economia.27
Nel linguaggio dell‘’ontologia politica’, possiamo dire che molte lotte etnico-territoriali possono essere viste come lotte ontologiche –per la difesa di altri modi di vivere. Esse interrompono il progetto globalizzatore di creare un mondo costituito da un solo mondo. Queste lotte sono cruciali per le transizioni ecologiche verso un mondo in cui ci siano molti mondi (il pluriverso). Costituiscono l’avanzamento della ricerca di modelli alternativi di vita, economia e società. Sono lotte che contrappongono “tessuti comunitari” a coalizioni di corporation transnazionali cercando la riorganizzazione della società sulla base di autonomie locali e regionali28; l’autogestione dell’economia basata su principi comunitari, anche se articolati con il mercato; e una relazione con lo Stato ma soltanto per neutralizzarne nei limiti del possibile la razionalità. In sintesi, si tratta di lotte che cercano di organizzarsi come poteri di una società altra, non liberale, non statale e non capitalista. Sebbene questa difesa nasca da radici (parzialmente) comunitarie e non capitaliste, coinvolge tutta una storia di relazioni con la modernità capitalista. “Si tratta di recuperare, ricostruire e rivitalizzare il luogo e il territorio, questa volta per la ri-produzione della vita” –dicono i compagni e le compagne del sud occidente colombiano- e così dare corso a forme contrapposte alla pretesa capitalista totalizzante e omogeneizzante”29
L’’autonomia così intesa è una pratica teorico-politica dei movimenti etnico-territoriali -pensarsi dal dentro verso il fuori, come dicono alcuni leader afro-discendenti in Colombia, o cambiando le tradizioni secondo tradizione30 e cambiando il modo di cambiare, come dicono a Oaxaca (G.Esteva). “La chiave dell’autonomia è che un sistema vivo trovi il proprio cammino verso il momento seguente procedendo appropriatamente a partire dalle proprie risorse”, ci dice il biologo Francisco Varela31, definizione che applica alle comunità. Comporta la difesa di alcune pratiche, la trasformazione di altre e l’invenzione di nuove. Possiamo dire che nella sua accezione migliore l’autonomia è teoria e pratica dell’inter-esistenza, uno strumento di progettazione per il pluriverso.
L’obbiettivo dell’autonomia è la realizzazione del comunal, inteso come la creazione delle condizioni per l’auto-creazione continua delle comunità (la loro autopoiesis32) e per il loro collegamento strutturale vincente con i loro luoghi circostanti sempre più globalizzati. Come dicono i comuneros33 indigeni misak del nord del Cauca in Colombia, si deve “recuperare la terra per recuperare tutto … per questo dobbiamo pensare con la nostra testa, parlando il nostro idioma, studiando la nostra storia, analizzando e trasmettendo le nostre esperienze come anche quelle di altri popoli” (Cabildo indigeno di Guambia, 1980, citato in Quijano 2012: 257). O come si esprimono i nasa nella loro mobilitazione, la minga sociale e comunitaria, “la parola senza l’azione è vuota. L’azione senza la parola è cieca. L’azione e la parola senza lo spirito della comunità sono la morte”. Autonomia, comunalidad, territorio e relazionalità appaiono qui intimamente connesse, costituendo tutto un quadro teorico-politico originale dentro questa seconda corrente del pensiero critico di Abya Yala/Afro/Latino-America.
III. Il pensiero della terra
La relazionalità -il modo relazionale di essere, conoscere e fare- definita come quelle configurazioni socio-naturali dove niente pre-esiste alle relazioni che la costituiscono, ma che tutto si costituisce profondamente in relazione col tutto, è il grande correlato dell’autonomia e della comunalidad. Come si può vedere in molte cosmovisioni dei popoli, come nella filosofia africana del Muntu o nelle concezioni della Madre terra come la Pachamama, Ñuke mapu, o Uma Kiwe, e molte altre. È anche implicita nel concetto di crisi civilizzatoria, sempre e quando si assuma che la crisi attuale è causata da un modello particolare di mondo (una ontologia), la civiltà moderna della separazione e della scissione, dove umani e non umani, mente e corpo, individuo e comunità, ragione e emozione, etc. vengono considerati come entità separate e auto-costituite.
Le ontologie o mondi relazionali sono fondate sul concetto che ogni essere vivo è un’espressione della forza creatrice della terra, della sua auto-organizzazione e costante emersione. Niente esiste senza che esista tutto il resto (“sono perché sei”, perché tutto il resto esiste, è il principio dell’Ubuntu sudafricano). Nelle parole dell’ecologo e teologo nordamericano Thomas Berry, “la Terra è una comunione di soggetti, non una collezione di oggetti”. Il Comandamento della Terra di cui parlano molti attivisti ci intima perciò a ‘vivere in modo tale che tutti possano vivere’. Questo comandamento è rispettato con maggior facilità dai popoli-territorio: “Siamo la continuità della terra, guardiamo dal cuore della terra” (Marcos Yule, gobernador nasa). Non a caso la relazione con la Terra nelle lotte indigene, afro e contadine nel contesto attuale è centrale.
In questa prospettiva la grande sfida per la sinistra e l’autonomia è imparare a sentipensare con la Terra, ad ascoltare profondamente sia il grido dei poveri che il grido della Terra (L. Boff, Laudato Si). È rinfrancante pensare che la più antica delle tre correnti ricordate è questa terza. Viene ‘da sempre’, da quando i popoli furono consapevoli di essere Terra e relazione, espressioni della forza creatrice dell’universo, che ogni essere è essere Terra. È presente nel pensiero cosmocentrico che è soggiacente alle trame e agli intrecci che costituiscono la vita, colui che sa, perché sente, che tutto nell’universo è vivo, che la coscienza non è prerogativa degli umani ma una proprietà distribuita su ogni ambito della vita. È il pensiero di quelli e quelle che difendono la montagna contro la miniera perché anch’essa è un essere vivo (M. de la Cadena), o le lande e le sorgenti dell’acqua perché sono origini della vita, spesso luoghi sacri dove l’umano, il naturale e lo spirituale si fondono in una complessa orditura vitale. Soggiace anche alle fondamenta della ri-comunalizzazione della vita, la ri-localizzazione delle economie, la produzione e la difesa delle sementi, il rifiuto dei transgenici e dei Trattati di Libero Commercio (TLC), la difesa dell’agroecologia e la sovranità alimentare (L. Gutiérrez).
Possiamo dire, senza cadere in alcun anacronismo, che le ‘cosmogonie’ di molte culture del mondo sono il pensiero primigenio della Terra. Fu anche, e continua ad esserlo in parte, il pensiero delle comunità matriarcali, come da più di due decenni sta affermando la femminista tedesca Claudia von Werlhof con la sua teoria critica del patriarcato – non matriarcali, nel senso del predominio della donna, ma di culture dove primeggiano la cooperazione, il riconoscimento dell’altro, l’orizzontalità, la partecipazione e la sacralità invece dell’aggressione, il dominio, la guerra, il controllo e l’appropriazione delle società patriarcali che, poco a poco, nel corso dei suoi cinquemila anni di storia, si è impadronito di tutte le società del pianeta. In forma simile lo intende il biologo cileno Humberto Maturana, partendo dalla sua concezione di ‘culture matristiche’ e della ‘biologia dell’amore’, quelle culture che vivono nella coscienza profonda dell’interconnessione di tutto ciò che esiste e che resiste ad una traiettoria di vita basata sull’appropriazione e il controllo, perché il suo “emozionarsi” detta loro, infatti, il rispetto e la convivenza.34
Il pensiero della terra è soggiacente alle concezioni di territorio. “La Terra può contenere qualsiasi cosa, ma il territorio è un’altra cosa” dicono alcuni anziani afrodiscendenti nel Pacifico colombiano, grande territorio nero. Il territorio è lo spazio per la enazione35 di mondi relazionali. Il territorio è il luogo di quelle e quelli che curano la terra, come dicono lucidamente le donne della piccola comunità nera di La Toma nel Norte nel Cauca, mobilitate contro la ricerca illegale dell’oro: “Alle donne che curano i loro territori. Alle curatrici e ai curatori della Vita Degna, Semplice e Solidaria. Tutto questo che abbiamo vissuto è stato per l’amore che abbiamo conosciuto nei nostri territori. La nostra terra è il nostro luogo per sognare con dignità il nostro futuro. Forse è per questa ragione che ci perseguitano, perché chiediamo una vita di autonomia e non di dipendenza, una vita dove non si debba mendicare né essere vittime”36 Da qui lo slogan della marcia, Il territorio è la vita e la vita non si vende, si ama e si difende.
Incontriamo il pensiero della Terra anche nella cosmovisione di molti popoli indigeni, incentrata sulla difesa del territorio e nei loro Plan de Vida37. Il territorio è “lo spazio vitale che assicura la sopravvivenza come popolo, come cultura in convivenza con la natura e gli spiriti. Il territorio è il nostro vero libro storico che mantiene viva la tradizione di quanti abitiamo su di esso. Rappresenta e descrive i principi e le pratiche della nostra cultura. Implica il possesso, il controllo e il dominio dello spazio fisico e spirituale. Come spazio collettivo di esistenza, rende possibile la convivenza armoniosa fra i popoli. E il fondamento della cosmovisione indigena come ragione della nostra sopravvivenza”. Da qui lo slogan della marcia, Il territorio è la vita e la vita non si vende, si ama e si difende38.
Per questo la loro strategia è orientata a “recuperare la terra per poter recuperare tutto, autorità, giustizia, lavoro, per questo dobbiamo pensare con la nostra testa, parlando il nostro idioma, studiando la nostra storia, analizzando e trasmettendo le nostre esperienze come quelle degli altri popoli. Nello stesso modo il Plan de Vida39 del popolo misak, ad esempio, si spiega come una proposta di “costruzione e ricostruzione di uno spazio vitale per nascere, crescere, permanere e fluire. Il piano è una narrativa di vita e sopravvivenza, è la costruzione di un percorso che facilita il passaggio attraverso la vita, e non la semplice costruzione di uno schema metodologico di pianificazione” (in: Quijano 2012: 263).
Per questo molti popoli descrivono la propria lotta politica come “la liberazione della Madre Terra”. La domanda essenziale di questo movimento è: come salvaguardare le condizioni per l’esistenza e la resistenza di fronte all’aggressione sviluppista, estrattivista e modernizzatrice? Questa domanda e il concetto di liberazione della Madre Terra sono concetti potenti per tutte le pratiche politiche del presente: per la sinistra e i processi di autonomia come per le lotte ambientali e per altri modelli di vita. Legano fra loro giustizia ambientale, giustizia cognitiva, autonomia e difesa di mondi (J. Martínez-Alier, V. Toledo). In questo ambito incontriamo anche il movimento per i Diritti della Natura basati su concezioni genuinamente biocentriche (al di là di discorsi o riferimenti superficiali alla sostenibilità o alla Pachamama) (E.Gudynas).
Per noi, i moderno-urbani, che viviamo negli spazi più colpiti dal modello liberale di vita (l’ontologia dell’individuo, la proprietà privata, la razionalità strumentale e il mercato), la relazionalità è una grande sfida, dato che richiede un profondo lavoro interiore, personale e collettivo, per disimparare la civiltà della separazione, l’economicismo, la scienza e l’individuo. Forse comporta di abbandonare l’idea personale che abbiamo della pratica politica radicale. Come prendiamo sul serio l’ispirazione della relazionalità? Come re-impariamo a inter-esistere con tutti gli umani e i non umani? Dobbiamo re-imparare una certa intimità con la Terra per ri-apprendere l’arte di sentipensare con lei? Come farlo in contesti urbani e de-comunalizzati? Sfortunatamente, il progressismo, e forse buona parte della sinistra, sono lontani dal comprendere questo mandato. Come dice giustamente Gudynas, né la destra né la sinistra comprendono questo comandamento40.
Commento finale: uscire dalla modernità?
Il declassamento epistemico della sinistra implica di avere il coraggio di mettere in discussione lo sviluppo e la modernità. Solo in questo modo il pensiero di sinistra potrà partecipare al pensare e al costruire le transizioni civilizzatorie che si delineano a partire dal pensiero autonomo e della Terra. Come è ben risaputo, il progressismo dei due ultimi decenni è stato profondamente modernizzatore, e il suo modello economico è basato sul nucleo duro di premesse della modernità, inclusa la crescita economica e l’estrattivismo.
Sia nel Nord globale che nel Sud globale, il pensiero delle transizioni ha ben chiaro che queste devono andare al di là del modello di vita che è stato imposto in quasi tutti gli angoli del mondo in conformità a una certa visione della modernità41. Si riuscirà a uscire dalla modernità solo procedendo appoggiandosi alle tre correnti menzionate. Risanare la vita umana e la Terra, questa è la vera transizione “dal periodo quando gli umani erano una forza distruttiva sul pianeta Terra a quello in cui gli umani stabiliscono una nuova presenza sul pianeta in modo mutuamente arricchente” come dicono Thomas Berry e Leonardo Boff. Significa marciare decisamente verso una nuova era, che alcuni definiscono “Ecozoica” (L’era della casa della vita). Il cambiamento climatico è solo una delle manifestazioni più evidenti della devastazione sistemica della vita causata dalla modernità capitalista.
La liberazione della madre Terra, concepita dal cosmocentrismo e la cosmo-azione di molti popoli-territorio, ci invita a rifare il progetto dei mondi. Questo atto di rifacimento del progetto ha come obbiettivo la ricostruzione del tessuto della vita, dei territori e delle economie comunalizadas. Come dice un giovane misak, si tratta di trasformare il dolore dell’oppressione secolare in speranza e questa nel fondamento dell’autonomia. Per gli attivisti Afrocolombiani della costa del Pacifico, territorio tanto stravolto dalle locomotive sviluppiste, questa regione è un Territorio di Vita, Allegria, Speranza e Libertà. Nel concetto ditessere la vita in libertà c’è un sano principio per la pratica politica di tutte le sinistre.
Le tre correnti presentate non costituiscono un modello addizionale ma molteplici articolazioni Non sono paradigmi che si rimpiazzano nitidamente gli uni con gli altri. È tuttavia chiara la necessità che la sinistra e l’autonomismo (e l’umano) diventino Terra. L’umano ‘post-umano’ –quell’’umano’ che emergerà dalla fine dell’antropocentrismo- dovrà imparare di nuovo ad esistere come essere vivo in comunità di umani e non umani, nell’unico mondo che veramente condividiamo, che è il pianeta. La re-comunalización della vita e la ri-localizzazione delle economie e della produzione degli alimenti nella misura del possibile –principi chiave degli attivismi e dei progetti per la transizione- si trasformano in principi appropriati per la pratica teorico-politica del presente. Di fatto incontriamo già tessiture possenti del pensiero della sinistra, dell’autonomia e della Terra negli incontri inter-epistemici quali le Tramas y Mingas per il Buen Vivir a Popayan42, o in eventi quale l’Incontro “Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista”, convocato dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale(EZLN) e celebrato al CIDECI-Unitierra, San Cristóbal de las Casas nel maggio 201543.
Molte, ma non la maggioranza, di queste esperienze comunitarie e autonome in difesa della Terra sono inevitabilmente debilitate dai contesti antagonistici nei quali vengono compiute, malgrado il loro impegno per le trasformazioni. Si deve notare che, nella loro ricerca dell’autonomia, alcune ricadono nello sviluppismo, altre sono sovvertite al loro interno dai propri leader, altre ripetono antiche forme di oppressione o ne creano di nuove, e non è raro che le mobilitazioni falliscano sotto l’incredibile peso delle pressioni del momento o della repressione aperta. Gli antagonismi sono propri di ogni pratica sociale. Questo però non squalifica affatto le azioni delle ‘comunità realmente esistenti, né deve fare relegare nella categoria residuale di illusorie, localistiche o romantiche. In questo consiste la speranza; comunque sia, “la speranza non è la certezza che una certa cosa accadrà, ma che ha senso perseguirla, accada quello che accada” (G.Esteva).
Coloro che insistono ancora sulla via dello sviluppo e della modernità o sono suicidi, o quanto meno ecocidi, e senza alcun dubbio storicamente anacronistici. Invece non sono nè romantici né ‘infantili’ coloro che difendono il luogo, il territorio e la Terra; costituiscono l’avanzata del pensiero poiché sono in sintonia con la Terra e la giustizia e capiscono la problematica centrale della nostra congiuntura storica: le transizioni verso altri modelli di vita, verso un pluriverso di mondi. Non possiamo immaginare e costruire il post-capitalismo (e il post-conflitto) con le categorie e le esperienze che hanno generato il conflitto (in modo precipuo lo sviluppo e la crescita economica). Dobbiamo osare di pensare che optare per il Buen Vivir è meno romantico dell’insistere nell’approfondimento dell’industrializzazione e della modernizzazione, come se si trattasse di una ‘fase’ che deve essere inevitabilmente ‘completata’, avvenga questo per la via della destra o della sinistra. Non possiamo costruire ciò che è nostro nello stesso modo … il possibile è stato già fatto, ora puntiamo all’impossibile (Attivisti Indigeni, contadini e Afrodiscendenti, Tramas y Mingas para el Buen Vivir, Popayan, 2014)44.
Potremmo azzardarci ad affermare che Abya Yala/Afro/Latino-America oggi presenta al mondo, nella complessità del suo pensiero critico dei tre percorsi così schematicamente descritti, un modo diverso di pensare, di mondo e di vita? In questo –e malgrado tutte le tensioni e contraddizioni fra le correnti e all’interno di ciascuna di queste- consisterebbe la differenza latinoamericana nella prima metà del XXI secolo. Una cosa che possiamo dire, questa sì con certezza, con la grande Mercedes Sosa, è che popoli, collettivi, movimenti, artisti e intellettuali fanno camminare la parola ‘lungo la cintura cosmica del sud’ nella ‘regione più vegetale del tempo e della luce’ che è lo splendido continente che abitiamo. Grazie alla vita che ci ha dato tanto……
Traduzione di Aldo Zanchetta
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1 Una versione precedente di questo testo è stata presentata come lezione magistrale nella VII Conferenza della CLACSO, Medellín, Novembre 10-14, 2015. Ringrazio per i commenti ricevuti alla versione precedente da Manuel Rozental, Eduardo Gudynas, Patricia Botero, Charo Mina Rojas, Betty Ruth Lozano, Carlos Rosero, Laura Gutiérrez, Xochitl Leyva, Gustavo Esteva e Enrique Leff.
2 N.d.t.: In realtà la canzone, testo e musica, sono di Violeta Parra (1917-1967). Mercedes Sosa, famosa cantante argentina, certamente la ha resa celebre.
3 La crisis del pensamiento crítico latinoamericano - www.alainet.org/es/articulo/173375
4 Oserei pensare che la canzone ‘Latinoamérica’ del gruppo portoricano Calle 13 dispieghi questa molteplicità di mondi, di saperi e di pratiche che è il continente.
5 Il testo che segue è scritto secondo la tradizione latinoamericana del saggio. Non ha pertanto riferimenti bibliografici ne autori particolari, salvo poche eccezioni. Una bibliografa estesa su questi temi si trova in A. Escobar, Sentipensar con la Tierra: Nuevas lecturas sobre desarrollo, territorialidad, y diferencia (Medellín: UAL, 2014).
6 N.d.t. La minga (minka o minga in quechua) significa ‘lavoro collettivo volontario fatto a vantaggio della comunità’. È una tradizione precolombiana tuttora vigente in diversi paesi latinoamericani (principalmente in Colombia, Perú, Ecuador, Bolivia, Cile e Paraguay). Qui è usata come metafora di un lavoro intellettuale svolto collettivamente. In Brasile esiste un equivalente, col nome di mutirão, applicato anche ad iniziative con finalità politiche e sociali (marce, manifestazioni).
7La nozione di comunità in resistenza viene sviluppata nel libro di ricerca e azione collettiva (IAC), compilato da Patricia Botero: Resistencias. Relatos del sentipensamiento que caminan la palabra (Colectivos, movimientos sociales y comunidades en resistencia desde Colombia), Universidad de Manizales, 2015 - https://drive.google.com/file/d/ 0B80tsoQLkZ4iMEhDekw4bjhmNUE/view). Vedere anche La utopía no está adelante: Generaciones, resistencias, e institucionalidad emergentes (Patricia Botero e Alicia Itatí Palermo. Buenos Aires: CLACSO/CINDE, 2013).
8 N.d.t.: I termini comune, comunale, comunalità e analoghi hanno un significato differenziato a seconda dei luoghi e quindi difficili da tradurre univocamente, per cui lasciamo la dizione originale.
9 N.d.t: per estrattivismo si intende il complesso delle attività di estrazione di beni della terra, dall’estrazione di petrolio, gas, minerali, potenzialità agricola della terra.
10 N.d.t.: Notare l’uso del plurale. Il pensiero per la transizione, di cui si parla spesso in occidente, resta significativamente al singolare!
11 N.d.t.: Definizione applicata agli schiavi afrodiscendenti che fuggivano cercando la libertà riunendosi in comunità in luoghi mal accessibili.
12 N.d.t.: L’Arielismo fu una corrente di pensiero latinoamericana che all’inizio del XX secolo prese il nome dal libro Ariel dello scrittore uruguayano José Enrique Rodó. L’Arielismo idealizzava la cultura latinoamericana attribuendole valori di spiritualità e nobiltà derivanti dalla cultura greco-latina, in contrapposizione alla cultura materialista e utilitarista statunitense.
13 Una utile rassegna e analisi critica sulle vicissitudini del PCL si trova nel libro del filosofo colombiano Santiago Castro Gómez, Crítica de la razón latinoamericana (Barcelona: Puvill Libros, 1996).
14 Non affronterò in questo testo la questione se queste tre correnti costituiscano una ‘nuova sinistra’, o se le correnti autonomiste e della terra devono essere considerate come diverse da questa. Secondo questa ultima opzione, lo spettro politico ‘destra-sinistra’ starebbe esplodendo, dando il via a una grande varietà di opzioni, non come ‘terze vie’ ma come manifestazioni autentiche di nuovi modi di vedere la pratica politica. Non affronterò neppure l’analisi delle differenze fra ‘progressismo’ e ‘sinistra’ (vedere gli scritti recenti di Gudynas su detto tema su Acción y Reacción – blog de Eduardo Gudynas accionyreaccion.com)
15 Ho in mente le belle pitture e incisioni della pittrice colombiana moirista (del MOIR) Clemencia Lucena, uno dei documenti più eloquenti dell’epoca, con un potente stile neo-realista latinoamericano. Certamente potremmo ricordare Antonio Berni, i muralisti messicani, o Guayasamín, fra i tanti e tanti artisti di sinistra (per non parlare di teatro, letteratura o musica).
16 Come ha ben detto l’ecologo messicano Víctor Toledo, riferendosi alle lotte ambientali, ‘Latinoamérica hierve’ (bolle, N.d.t.) (IV Congreso Latinoamericano de Etnobiología, Popayán, Septiembre 28-Octubre 2 del 2015). Le lotte ambientali a livello mondiale vengono catalogate nell’Atlas de Justicia Ambiental, curato dal gruppo ICTA nell’Universitat Autonoma de Barcelona. Vedere: http: ejatlas.org. Guardando questo Atlante, uno potrebbe dire che i mondi bollono, perché si sta distruggendo la Terra,
17 N.d.t.: “La nozione di buen vivir (sumak kawsay), in quanto nuova condizione di contrattualità politica, giuridica e naturale, ha iniziato il suo percorso nell'orizzonte delle possibilità umane per mano dei popoli indigeni di Bolivia ed Ecuador”. Pablo Dávalos Reflexiones sobre el sumak kawsay (el buen vivir) y las teorias del desarrollo - www.alainet.org/es/active/25617
18 Vedere i testi recenti su questi temi di Gudynas, Zibechi , Acosta, Svampa, ed altri.
19 Inclusi anche "Diez principios del buen gobierno" all’ingresso di alcune comunità autonome zapatiste. Vedere: http://www.cgtchiapas.org/denuncias/denuncias-juntas-buen-gobierno/jbg-morelia......
20 N.d.t.: Naturalmente, forse è superfluo dirlo, non c’è alcuna analogia con la autonomia dell’esperienza italiana di Autonomia Operaia.
21 N.d.t.: "Secondo Holloway la degna rabbia è quella che trascende, rompe, la condizione dell'essere vittima, perchè porta con sè il desiderio di costruire un mondo altro, differente. Un sentire a cui è stato dato risalto con il Primer Festival de la Digna Rabia organizzato dall’EZLN in Chiapas a cavallo fra dicembre 2008 e gennaio 2009." http://www.johnholloway.com.mx/2011/07/31/la-otra-politica-la-de-la-digna-rabia/
22 N.d.t.: Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino, 2007.
23 N.d.t.:Studi postcoloniali è un'espressione usata per descrivere una vasta gamma di fenomeni sociali, politici e culturali che si sviluppano a partire dal declino e dal crollo del colonialismo europeo che si verificò fin dalla metà del XX secolo in poi. La teoria postcoloniale (Post-colonial theory), un insieme aperto di teorie filosofiche, letterarie e legate agli area studies anglosassoni, hanno a che fare con diversi temi di grande rilevanza per quelle società che sono o erano colonie di altri paesi. A partire dai tardi anni sessanta e dai primi anni settanta, con le opere di studiosi quali Frantz Fanon ed Edward Said, il settore ha avuto un considerevole sviluppo grazie all'opera di altri critici: Homi Bhabha, Kwame Nkrumah, Albert Memmi, Aimé Césaire, Declan Kiberd, Gayatri Spivak, Bill Ashcroft.Vedere: it.wikipedia.org/wiki/Studi_postcoloniali
24 N.d.t.: “Sistema di parentesco. In senso ampio, forma specifica di organizzazione delle relazioni familiari e insieme di fenomeni sociali derivati dalla riproduzione biologica degli esseri umani. Vedere: es.thefreedictionary.com/parentesco
25 N.d.t.: vedi ad es. cerecmexico.jimdo.com/opiniones-diversas-sobre-comunalidad-y... OPINIONES DIVERSAS SOBRE COMUNALIDAD Y COMUNITARISMO; MÉXICO. NOTAS INFORMATIVAS; ... Francisco López Barcenas Pueblos indígenas y megaproyectos.pdf
26 N.d.t.: Vedere : América Profunda. Relatorias, conclusiones y acuerdos del Coloquio, Simposio y Foro – 6/9 de diciembre 2003, en la Ciudad de México,Bellido Ediciones, Lima,2007 e G. Bonfil Batalla, México Profundo. Una civilización negada, Debolsillo, México, 2005.
27 L’autonomia è un fenomeno dei movimenti e collettivi; le sue espressioni teorico-politiche si trovano in questi collettivi che includono molti movimenti indigeni, d Afrodiscendenti e contadini; la stanno concettualizzando un numero crescente di intellettuali e attivisti fra i quali è importante menzionare Gustavo Esteva, Raquel Gutiérrez Aguilar, Xochitl Leyva, Raúl Zibechi, Manuel Rozental, Vilma Almendra, Patricia Botero, John Holloway, Silvia Rivera Cusicanqui, Carlos Walter Porto Goncalves, il Colectivo Situaciones, Luis Tapia, e gli intellettuali aymara Pablo Mamani, Julieta Paredes, Felix Patzi, e Simón Yampara, oltre ad altri. Molti di questi attori si incontrarono a Puebla, nel “Primer Congreso Internacional de Comunalidad”, organizzato nel 2015 da Raquel Gutiérrez A. e suoi collaboratori. Vedere: http://www.congresocomunalidad2015.org/. Una corrente importante, a questa collegata, è quella degli studi interculturali e de-coloniali presso il Doctorado en Estudios Culturales Latinoamericanos dell’Università Andina Simón Bolívar a Quito diretto da Catherine Walsh. Esiste inoltre un gruppo nutrito di pensatrici e pensatori sull’autonomia e la comunalidad operante nella città di Popayán (Colombia), in intercambio continuo con comuneros e intellettuali nasa, misak, contadini, e afrodescendient della regione nord del Cauca, particolarmente intorno a la Maestría en Estudios Interdisciplinarios del Desarrollo (un bastione del pensiero autonomo, comunal e decoloniale), e dell’incontro semestrale “Tramas y Mingas por el Buen Vivir”.
28 Vedere: Raquel Gutiérrez Aguilar, “Pistas reflexivas para orientarnos en una turbulenta época de peligro”. In: R. Gutiérrez A., y otros. Palabras para tejernos, resistir y transformar en la época que estamos viviendo, Oaxaca: Pez en el árbol, 2011, pp. 9-34.
29 Olver Quijano, Ecosimías. Visiones y prácticas de diferencia económico/cultural en contextos de multiplicidad (Quito: Universidad Andina Simón Bolívar, 2012), p. 210).
32 N.d.t.: Autopoiesis è la capacità di un sistema di autoriprodursi, mantenendo invariate le proprie caratteristiche. Da Wikipedia:<< l termine autopoiesi è stato coniato nel 1972 da Humberto Maturana a partire dalla parola greca auto, ovvero se stesso, e poiesis, ovverosia creazione. In pratica un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente se stesso e si sostiene e riproduce dal proprio interno. Un sistema autopoietico può quindi essere rappresentato come una rete di processi di creazione, trasformazione e distruzione di componenti che, interagendo fra loro, sostengono e rigenerano in continuazione lo stesso sistema. Inoltre il sistema si autodefinisce, di fatto, ovvero il dominio di esistenza di un sistema autopoietico coincide con il dominio topologico delle sue componenti.>>
33 N.d.t.: In senso generale: ‘appartenenti alla comunità’. Ma il nome comuneros in alcuni luoghi viene usato specificatamente per i membri della comunità, come nel caso citato.
34 Vedere: Claudia von Werlhof, Madre Tierra o muerte! Reflexiones para una teoría critica del patriarcado (Oaxaca: El Rebozo, 2015); Humberto Maturana e Gerda Verden-Zöller, Amor y juego. Fundamentos olvidados de lo humano. Desde el patriarcado a la democracia (Santiago: J.C Sáez editores). Vedere la Scuola Matristica, fondata da Maturana e Ximena Dávila Yáñez, http://matriztica.cl/Matriztica/
35 N.d,t. Dal latino enasci, «nascere, venir fuori»
36 Lettera aperta di Francia Márquez, leader di La Toma, 24 aprile del 2015.
37 N.d.t.: Ad esempio nel Plan de Vida del Consiglio Regionale degli indigeni del Cauca (CRIC) si legge: “Il piano di vita qui elaborato contiene, oltre ai temi specificamente concordati (Terre, produzione, ambiente, educazione, salute), il quadro globale che dà unità al piano. Questo quadro è composto, oltre che da altri temi, da elementi storici delle lotte indigene, dalla configurazione del CRIC con la sua piattaforma di 10 punti, dalla sua struttura attuale e i suoi programmi, dalla descrizione degli 11 popoli indigeni del Cauca e degli elementi della loro cosmo visione, dei 105 cabildos e le 9 associazioni di zona che fanno parte del CRIC, con la loro rispettiva presenza territoriale” (es.scribd.com/doc/218540473).
38 N.d.t.: Lemma della marcia della Comunidad BINNIZÁ DE GUI’XHI’ RO’ - Messico, 10 febbraio 2013 - html?cid=37560456.
39 Cabildo y Taitas 1994; citato in Quijano 2012: 263.
40 Vedere La Razón/Animal Político, http://www.la-razon.com/suplementos/animal_politico/Eduardo-Gudynas-izquierda-entienden-naturaleza_0_2330167108.html - 23.08.2015.
41 Nel Nord globale, ad esempio, la nozione di decrescita verte sulla necessità di vivere diversamente, al di là del ‘consumare meno’. Alcuni teorici e attivisti parlano di ‘occidenti’ o ‘modernità alternative’ e non prevalenti dentro la stessa Europa. Questa importante concezione, tuttavia, non deve trascurare la considerazione degli impatti storicamente sedimentati delle modernità dominanti (sistema-mondo moderno/coloniale).
42 Tramas y Mingas para el Buen Vivir, Popayán, Octubre 21, 22 del 2015
43 Vedere, ad esempio, le brevi rassegne sull’incontro, http://seminarioscideci.org/video-entrevistas-seminario-pensamiento-critico-frente-a-la-hidra-capitalista-semillero-ezln/. Per gli eventi di Popayán, vedere:
44 https://tramasymingasparaelbuenvivir.wordpress.com/2015/06/24/tramas-y-mingas-para-el-buen-vivir-2015/