Se con la macchina del tempo un viaggiatore potesse tornare per visitare il mondo arabo un secolo fa, scoprirebbe interi quartieri ebraici e cristiani con le loro chiese e le loro sinagoghe. Ad Alessandria d'Egitto, incontrerebbe raffinati intellettuali di origine ebraica e greca in grado di parlare correntemente in quattro o cinque lingue, il cui attaccamento alle origini faceva tutt'uno con l'apertura al mondo. Scoprirebbe che tra i musicisti e i cantanti più apprezzati, c'erano molti ebrei che hanno contributo a rinnovare la musica araba.
Proverebbe molta tristezza all'idea che quel mondo variegato, con le sue irriducibili varietà, poggiava in realtà su un terreno friabile che nel giro di qualche decennio sarebbe diventato un ricordo.
La vulgata araba, largamente accettata anche in Europa, vuole che tutto questo sia accaduto come conseguenza del conflitto arabo-israeliano, come se da una cosa dovesse scaturire necessariamente e naturalmente l'altra. Il solo fatto che si faccia ricorso a questa stereotipata spiegazione, per spiegare processi che hanno radici profonde e che sono avvenuti per fasi distinte, dovrebbe far riflettere.
Ricondurre i cambiamenti profondi intervenuti nella società araba e islamica unicamente al conflitto arabo-israeliano, è un atto di diniego e di rinuncia al pensiero. Il processo che ha investito lo statuto delle minoranze, ha radici profonde nel fallimento dei processi di decolonizzazione e nel modo in cui è stato in seguito declinato il rapporto fa maggioranze e minoranze all'interno della realtà statale e nazionale emersa con la fine del dominio europeo. Avere rinunciato a sostenere i diritti delle minoranze religiose nel Vicino Oriente, è stato per l'Europa un grave atto di cecità politica e morale.
Spariti gli ebrei dal mondo arabo, è toccato poi alle minoranze cristiane che certo non erano implicate nel conflitto che oppone Israele ai suoi vicini. In Turchia, che non è certo uno Stato arabo, i cristiani erano un tempo il venti per cento della popolazione. Se sono oggi ridotti al tre per cento ci sarà pure una qualche ragione. L'emigrazione per scelta, lascia sempre uno spazio per un ritorno simbolico. Se i simboli spariscono, vuol dire che il viaggio è senza ritorno.
L'accusa di proselitismo in alcuni Paesi può comportare la pena capitale.
In Arabia è per legge vietato costruire chiese. In Sudan le minoranze animiste e cristiane sono perseguitate. In Iraq le chiese sono bruciate. La realtà del Libano "cristiano" è un pallido ricordo. In Egitto i copti che erano un tempo la maggioranza della popolazione, sono protetti ma non abbastanza di fronte agli attacchi di cui sono fatti oggetto per opera di chi vorrebbe un giorno trasformarli in dhimmi.
Lo statuto dei dhimmi ha origini antiche. Una prima formulazione la ritroviamo in una Sura che offre "a coloro cui fu data la Scrittura", una possibilità di salvezza in cambio di un tributo che ne contrassegna una condizione umiliata e disprezzata. Il "Patto di Omar" ne fissò in seguito le regole per i secoli a venire, sino a che l'impatto con la civiltà europea e la penetrazione coloniale non rimise in discussione i codici su cui poggiava il dominio della maggioranza islamica sulle rispettive minoranze religiose.
Nella logica del "Patto di Omar", che l'islamismo nelle sue varianti sciita e sunnita vorrebbe reintrodurre nei paesi a maggioranza islamica, la colpa più grave di una minoranza "protetta" è di aspirare a diventare politicamente autonoma, o peggio indipendente. Una tale aspirazione è considerata un atto di "hybris" che mette in discussione l'ordine divino.
Di tutte le minoranze religiose del mondo arabo, l'unica ad avere raggiunto il proprio obiettivo di diventare una nazione sovrana, è quella ebraica.
Per avere "osato", gli armeni furono massacrati a centinaia di migliaia. La sparizione delle diversità culturali che facevano la ricchezza del mondo arabo e islamico nel suo periodo più luminoso, ha provocato un grande vuoto psicologico e spirituale. Sparite le pluralità interne che rendevano nel mondo arabo familiare il "diverso", il rifiuto dell'Altro si è interamente trasferito nell'odio contro Israele.
Proverebbe molta tristezza all'idea che quel mondo variegato, con le sue irriducibili varietà, poggiava in realtà su un terreno friabile che nel giro di qualche decennio sarebbe diventato un ricordo.
La vulgata araba, largamente accettata anche in Europa, vuole che tutto questo sia accaduto come conseguenza del conflitto arabo-israeliano, come se da una cosa dovesse scaturire necessariamente e naturalmente l'altra. Il solo fatto che si faccia ricorso a questa stereotipata spiegazione, per spiegare processi che hanno radici profonde e che sono avvenuti per fasi distinte, dovrebbe far riflettere.
Ricondurre i cambiamenti profondi intervenuti nella società araba e islamica unicamente al conflitto arabo-israeliano, è un atto di diniego e di rinuncia al pensiero. Il processo che ha investito lo statuto delle minoranze, ha radici profonde nel fallimento dei processi di decolonizzazione e nel modo in cui è stato in seguito declinato il rapporto fa maggioranze e minoranze all'interno della realtà statale e nazionale emersa con la fine del dominio europeo. Avere rinunciato a sostenere i diritti delle minoranze religiose nel Vicino Oriente, è stato per l'Europa un grave atto di cecità politica e morale.
Spariti gli ebrei dal mondo arabo, è toccato poi alle minoranze cristiane che certo non erano implicate nel conflitto che oppone Israele ai suoi vicini. In Turchia, che non è certo uno Stato arabo, i cristiani erano un tempo il venti per cento della popolazione. Se sono oggi ridotti al tre per cento ci sarà pure una qualche ragione. L'emigrazione per scelta, lascia sempre uno spazio per un ritorno simbolico. Se i simboli spariscono, vuol dire che il viaggio è senza ritorno.
L'accusa di proselitismo in alcuni Paesi può comportare la pena capitale.
In Arabia è per legge vietato costruire chiese. In Sudan le minoranze animiste e cristiane sono perseguitate. In Iraq le chiese sono bruciate. La realtà del Libano "cristiano" è un pallido ricordo. In Egitto i copti che erano un tempo la maggioranza della popolazione, sono protetti ma non abbastanza di fronte agli attacchi di cui sono fatti oggetto per opera di chi vorrebbe un giorno trasformarli in dhimmi.
Lo statuto dei dhimmi ha origini antiche. Una prima formulazione la ritroviamo in una Sura che offre "a coloro cui fu data la Scrittura", una possibilità di salvezza in cambio di un tributo che ne contrassegna una condizione umiliata e disprezzata. Il "Patto di Omar" ne fissò in seguito le regole per i secoli a venire, sino a che l'impatto con la civiltà europea e la penetrazione coloniale non rimise in discussione i codici su cui poggiava il dominio della maggioranza islamica sulle rispettive minoranze religiose.
Nella logica del "Patto di Omar", che l'islamismo nelle sue varianti sciita e sunnita vorrebbe reintrodurre nei paesi a maggioranza islamica, la colpa più grave di una minoranza "protetta" è di aspirare a diventare politicamente autonoma, o peggio indipendente. Una tale aspirazione è considerata un atto di "hybris" che mette in discussione l'ordine divino.
Di tutte le minoranze religiose del mondo arabo, l'unica ad avere raggiunto il proprio obiettivo di diventare una nazione sovrana, è quella ebraica.
Per avere "osato", gli armeni furono massacrati a centinaia di migliaia. La sparizione delle diversità culturali che facevano la ricchezza del mondo arabo e islamico nel suo periodo più luminoso, ha provocato un grande vuoto psicologico e spirituale. Sparite le pluralità interne che rendevano nel mondo arabo familiare il "diverso", il rifiuto dell'Altro si è interamente trasferito nell'odio contro Israele.