Um Al-Amar, Striscia di Gaza,
La data non conta: ho vivissimo il ricordo della visita alla bellissima scuola costruita dall’Ong italiana Vento di Terra con i finanziamenti della Cooperazione italiana e della Conferenza Episcopale. Sono circondato di bambini pieni di vita e fatico a convincerli a stare buoni mentre intervisto il presidente Massimo Annibale Rossi.
Ora che sono qui, due anni dopo, in questa terra di Palestina devastata da un massacro infinito, a pochi chilometri da Um Al-Amar, non riesco ad immaginare lo strazio degli stessi bambini in quella stessa scuola che in queste ore è stata rasa al suolo dai bombardamenti israeliani.
Ma ormai ogni aggiornamento del numero di scuole, come degli ospedali distrutti e soprattutto delle persone uccise, appena viene pubblicato è già vecchio. E a chi scrive mancano le parole e gli aggettivi per commentare una tragedia di fronte alla quale sembra che il mondo stia rendendosi conto a rallentatore, quello descritto dalla parola più pesante: genocidio.
Vorrei chiedere a Lucia, la bravissima inviata di Rai News, di andare cercare tra i sopravvissuti della scuola di Um Al-Amar gli amici che in quelle case mi avevano offerto un delizioso caffè al cardamomo. E vorrei amplificare la rabbia del presidente di Vento di Terra che ha tuonato: “Ma perchè il nostro Governo che ha pagato quella scuola non dice nulla ad Israele? E perchè non lo fanno i Vescovi italiani?
Lucia Goracci si distingue da tutti gli altri giornalisti perchè ai numeri impressionanti del massacro preferisce i nomi e le storie, mille volte più impressionanti, dei civili uccisi o di quelli miracolosamente scampati a questo mostruoso bombardamento senza fine. “Di notte aspettiamo il giorno e di giorno aspettiamo la notte. Attendiamo che arrivi il nostro turno di andare al macello. E vediamo il cielo illuminato da una palla di fuoco”-le ha raccontato Abdul, di Kan Yunis.
Ma cosa deve ancora accadere di più brutale, per far uscire il mondo da questo assurdo silenzio sulle responsabilità dirette dello Stato d’Israele? A che numero devono arrivare i civili uccisi perchè cessi questo indottrinamento planetario fatto di giustificazioni ossessivamente ripetute sul “diritto d’Israele di difendersi”, sulla vendetta di Stato per l’uccisione di tre coloni la cui responsabilità è stata ora riconosciuta non ad Hamas, ma ad una cellula estremista?
Yonathan, Daniela e le voci israeliane che si oppongono.
Perchè i nostri corrispondenti non sono andati, come abbiamo fatto con la Delegazione di Pax Christi, ad intervistare chi si oppone non solo a questa ennesima strage, ma alla lunga storia di oppressione del popolo palestinese che l’ha preparata? Potevano andare a chiedere ad uno dei tremila israeliani che sono scesi in piazza a Tel Aviv come il mio amico Yonathan Shapira, che già quando l’avevo conosciuto dieci anni fa mi scaricava addosso la sua protesta che in questi giorni ha ripetuto. Allora ricordo che a fatica tratteneva le lacrime, quando mi raccontava il suo disgusto al ritorno da una “missione compiuta” sul campo profughi di Jenin. Dal suo aereo aveva sganciato una bomba che aveva ucciso15 persone tra cui 9 bambini. E oggi, dieci anni dopo, papà Yonathan va a manifestare con la sua piccola bimba sulle spalle: “Non voglio essere strumento di oppressione e di morte per bambini innocenti come mia figlia, perpetrando cicli di violenze senza limiti. Il mio Paese è talmente militarizzato da non riuscire più a pensare ad una soluzione politica del conflitto. Ma è assurdo chiudere in prigione un milione e ottocentomila persone e pensare che non reagiscano. Ogni popolo ha diritto di difendersi e noi dovremo essere i primi a saperlo”.
Chissà se almeno un dubbio sfiora i giovani laureati e colti che dalla cabina degli F16 che qui in Palestina sentiamo sfrecciare notte e giorno sulle nostre teste. Dal loro videogioco di guerra osservano puntini neri che corrono in preda al panico sui tetti delle case sconvolti dalla paura e con un click avvolgono di una nube nera di morte. Forse no, non sono assaliti da un dubbio di coscienza, perché non possono vederne i pezzi dei corpi sparpagliarsi tra le macerie, come d’altra parte non hanno mai incrociato un inesistente aereo nemico palestinese in volo.
Chi darà voce a questi ebrei israeliani che, come Daniela Yoel, che abbiamo intervistato a Gerusalemme, rappresentano la parte più lucida di un popolo che ha ormai sulla coscienza l’uccisione di più di 1000 esseri umani? Fuori onda rispetto all’intervista, Daniela si è sfogata: “Siamo diventati una nazione dove il machismo del nostra potenza militare ha talmente innervato la società e la cultura, che quando vedo il grande ponte di Calatrava all’ingresso di Gerusalemme penso che invece dell’arpa di Davide sia un’inconscia rappresentazione fallica della nostra smania di dimostrare con la forza che possiamo annientare tutto e tutti”.
Noi di BoccheScucite intensificheremo ancora di più le occasioni per dar voce a questi israeliani che dicono NO, come faremo nella prossima Giornata ONU per i diritti del popolo palestinese, a Lucca, sabato 29 novembre 2014 www.giornataonu.it, con il giornalista israeliano Gideon Levy, che tra i suoi connazionali vorrebbe tanti altri Yonathan: “per un pilota israeliano la più grande dimostrazione di coraggio è rifiutarsi di uccidere civili”(Internazionale n.1060)
Neanche un centimetro verso la pace
Ma stando qui in Palestina ci chiediamo: com’è possibile che nessuno capisca che anche questa devastante “operazione” non servirà assolutamente a nulla? Ha ragione Daniela ad interpretare la macchina di morte del suo Paese come un folle esibizionismo che non potrà certo avere un esito diverso dai precedenti “interventi” nella Striscia.
Non solo la pace si allontana, ma anche il conflitto israelo-palestinese non potrà vedere un qualche inizio di soluzione. “Solo l’odio sarà il frutto certo di questa guerra. Odio moltiplicato per mille”. Come sempre lucidissimo, il Patriarca emerito di Gerusalemme Michel Sabbah ci ha accolto a Taybeh ringraziandoci di avere fisicamente portato loro quella solidarietà che noi sentiamo invece troppo debole dall’Italia, in particolare dai nostri governanti (meglio avrebbe fatto l’onorevole Mogherini a starsene a Roma piuttosto che comparire a fianco a Netanyahu, responsabile del massacro, impacciata, muta e connivente, incapace di aggiungere alla sua visita ad una casa israeliana con un foro nella parete per un razzo di Hamas, una casa palestinese qualsiasi, anche solo murata viva).
Efficace e pungente come uno spillo mons. Sabbah ha fatto precedere da un lungo silenzio questa sua amarissima affermazione: “Questo ennesimo massacro non ci farà compiere neanche un centimetro verso la pace!”
Un compito per tutti: diffondere la verità dei fatti
Nelle nostre case la TV e i giornali potrebbero contribuire ad invertire la tragica rotta di annichilimento totale intrapresa da Israele e incoraggiata dai nostri governi muti e conniventi, ma sappiamo bene quanto siano condizionati da chi, come Giuliano Ferrara, farnetica in una difesa senza se e senza ma di Israele. Nelle nostre case abbiamo però almeno una connessione internet attraverso cui far passare la voce dei palestinesi e degli israeliani che da tempo ci supplicano: raccontate! A Gerusalemme la Rete dei cristiani di Terra Santa ci ha affidato un Appello e tutti noi possiamo con grande facilità firmare e far firmare.
https://www.change.org/it/petizioni/al-ministro-degli-esteri-del-governo-italiano-pressure-for-gaza
E poi stampiamo alcune copie dell’Appello e andiamo domenica prossima a distribuirlo fuori della chiesa più vicina. E’ troppo poco? Restare spettatori è comunque più colpevole. E poi ancora dedichiamo del tempo per cercare le testimonianze disperate di chi è in Palestina per inoltrarle ad altri amici, per ascoltare il grido di chi in questi giorni ci ha condensato in una manciata di minuti una diversa lettura della realtà e passarle in tutti i modi possibili a chi incontreremo. Nella rubrica “Hanno detto” trovate alcuni link di queste bocchescucite: fatele entrare in più case possibili, ricordando che proprio nelle case dei nostri fratelli di Gaza un esercito pronto ad uccidere continua a telefonare intimando la distruzione delle bombe, anzi, qualche fantasioso stratega militare ha avuto tempo di studiare anche il nome di questa nuova “tecnica” di guerra, “knock on roof”: bussiamo sul tetto della tua casa e fra pochi minuti…
Nandino Capovilla
per la Campagna Ponti e non muri di Pax Christi,