Gaza, Cisgiordania, Libano, Yemen, Golan: quella di Israele, a un anno dall’attentato di Hamas, è diventata una guerra totale che infiamma l’intero Medioriente. Le conseguenze di medio e lungo termine sulla regione e sul mondo intero potrebbero essere non meno gravi di quanto lo siano gli esiti immediati di una guerra che Tel Aviv conduce non solo impiegando risorse militari senza pari, ma anche facendosi beffe del diritto internazionale, mettendo in atto pratiche che se attuate dai suoi nemici sarebbero bollate come atti gravi di terrorismo, calpestando diritti umani.
La richiesta di arresto da parte della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra non ha fermato Nethanyahu, che all’Assemblea Generale dell’Onu ha tenuto un discorso carico di odio e di sprezzo per la pace, affermando che in Libano c’era un “missile in ogni cucina”, giustificando così un massacro che un’ora dopo il suo intervento a New York è ripreso con un nuovo attacco che ha portato alla morte, assieme a Hassan Nasrallah, di centinaia di civili inermi. Mentre a Gaza si consuma una tragedia umanitaria senza fine, le leadership di Hamas e Hezbollah sono state annientate, i precari equilibri politici nel mondo arabo sono saltati e nel vuoto di potere creatosi c’è spazio per nuove devastanti guerre civili e nuovi gruppi terroristici pronti a spargere sangue nel mondo.
Tanti analisti e divulgatori in questi dodici mesi hanno dato per scontato che ci fosse una soglia oltre la quale Israele non sarebbe andata e che la Casa Bianca, se si fosse oltrepassato il limite, sarebbe intervenuta per congelare il conflitto. Così non è stato, perché fuori della retorica degli Stati Uniti “mediatori” nell’area, il sostegno di Biden e Harris a Israele è stato costante: politico e militare. Washington ha accettato da Tel Aviv più di uno schiaffo diplomatico e fatto in modo che non ci fosse alcun cessate il fuoco a Gaza. E lo stesso accadrà in caso di elezione di Trump: il suo consigliere e genero Jared Kushner parla apertamente di fare la guerra all’Iran per mantenere la supremazia americana nella regione. L’irrilevanza diplomatica che un’Europa politicamente subalterna si è autoinflitta ha fatto il resto. È il ritratto di un Occidente che si autoproclama culla e baluardo della civiltà, delle libertà dei popoli e dei diritti umani, ma solo dove gli conviene.
Nello scenario della Terza guerra mondiale “a pezzi”, con un conflitto giustificato dalla narrazione sul diritto di difendersi di Israele, bene ha fatto il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, nell’affermare all’assemblea Onu che “è imperativo andare oltre la retorica e la tendenza ad attribuire colpe” per cercare la pace: una “responsabilità collettiva” che dipende dalla volontà di tutte le parti: “la pace è possibile solo se la si desidera”.
Fonte: Il Corriere Apuano - https://www.ilcorriereapuano.it/