La moderatrice dell’incontro presenta gli interlocutori del discorso riportato:
“[…] Penso che (quanto appena detto) si colleghi in maniera eccellente al prossimo referente che prenderà la parola parlandoci dell’impatto dell’occupazione di Israele in Cis-Giordania (“West Bank”), del conflitto in corso a Gaza, e alcune possibili prospettive concernenti la sicurezza e la pace nel futuro.
Venendo nello specifico alla presentazione del prossimo referente, si tratta dell’ambasciatore Patrick Gaspard, attuale presidente e CEO – Chief Executive Officer del Centro per il Progresso Americano. Ha recentemente rivestito il ruolo di Presidente della “Open Society Foundation” – “Fondazione per la Società Aperta” e vanta una prestigiosa carriera di ruoli rivestiti in autorevoli servizi pubblici. Tra di essi vi è stato l’incarico di ambasciatore degli Stati Uniti nella Repubblica Sud-africana.
Quanto a Nadav Weimen, questi è Direttore Esecutivo dell’Organizzazione “Breaking the Silence” e del “Gruppo Anti-Occupazione”, coordinato da veterani dell’esercito israeliano che hanno contribuito molto a gettare nuova luce sulle vicende del conflitto Israelo-Palestinese. Weimen ha prestato servizio sia in Cis-Giordania sia nella striscia di Gaza dal 2005 al 2008. Non più tardi di qualche settimana fa, Patrick ha visitato la Palestina e si è incontrato con Nadav. Siamo quindi davvero in trepidante attesa dei racconti che entrambi gli interlocutori condivideranno con noi, due interventi contraddistinti da un tempismo perfetto in riferimento agli eventi in corso. Passo quindi la parola all’ambasciatore Gaspard. Grazie.”
Patrick Gaspard: “Ringrazio sentitamente tutti per il caloroso benvenuto espresso al mio indirizzo; grazie mille anche ai due rappresentanti (precedenti) per le loro osservazioni coinvolgenti e in grado di stimolare così tanto (gli ascoltatori). Un grazie sentito anche a tutti i nostri rappresentanti in questa camera per aver fatto la scelta di essersi riuniti in questa conversazione.
Si tratta di un’inequivocabile scelta tangibile, come è quella di difendere i diritti umani, di promuovere la giustizia e la pace. Mi trovo qui impegnato ad assolvere ad un impegno che ho contratto quando mi trovavo in zona di confine e incontrai una donna straordinaria, una superstite dell’attacco di Hamas dell’Ottobre scorso. Viveva in uno dei Kibuts adiacenti al confine. Dopo avermi guidato in un tour nei luoghi ove erano stati uccisi 64 israeliani e dove sono state sequestrate dozzine di ostaggi mi ha chiesto, quando avessi fatto ritorno negli USA, di pregare per loro, di divulgare la tragedia da loro sofferta, ma anche di riportare la situazione che aveva portato a farli soffrire quelle disgrazie.
Mi trovo quindi in questa sede anche in veste di loro portavoce in quella protesta. Quella donna eccezionale mi ha anche comunicato molto chiaramente il grande bisogno di aiutare l’intera popolazione americana a comprendere che il nostro attuale governo non sta lavorando per la pace, ma sembra al contrario fare tutto il possibile per far precipitare la disputa ad ogni livello. E’ per affermare tutto questo che mi trovo qui. Grazie anche per l’opportunità offertami di passare del tempo a conversare con Nadav.
Rivolgendomi a lui, una prima domanda che vorrei porgli è abbastanza impegnativa. Tu ed io abbiamo passato del tempo insieme sul campo presso il confine con la Cis-Giordania. Abbiamo visto una serie di circostanze ed eventi che sono stati profondamente traumatizzanti per me; allo stesso tempo, ho compreso che dal tuo punto di vista quelle scene erano una “ri-proposizione”, più e più volte, di traumi che avevi già sperimentato. Non potevo quindi non chiedermi, ringraziandoti molto nel farlo, se tu potessi condividere con il pubblico qui presente la storia del percorso che hai affrontato, di come sei diventato un attivista a lungo termine per la promozione della pace, e perché sei divenuto una persona impegnata nei tentativi di mediare per superare anche i conflitti cui assistiamo tra due posizioni ideologiche differenti.”
Nadav Weimen: “Grazie mille, Patrick, e grazie a tutto il pubblico e le autorità qui convenute oggi. Prima che inizi con il mio racconto personale vero e proprio, vorrei dire che, in qualità di cittadino israeliano, l’obiettivo probabilmente prioritario su tutti e ottenere il rilascio di tutti i nostri ostaggi, di apportare un cessate il fuoco a Gaza e ripristinare tutte le catene di forniture di aiuti umanitari.
Penso che queste siano le cose più importanti che devo cercare di perseguire, anche in veste di cittadino israeliano. Detto questo, per rispondere brevemente alla tua domanda, Patrick, sono diventato attivista per il fatto di essere stato soldato attivo dell’esercito israeliano. Ho adesso 38 anni, e ho iniziato il mio servizio militare 20 anni fa. Avevo incarico attivo nell’Unità delle Forze Speciali della “Brigata Fanteria Naka”, dove iniziai ad agire come cecchino.
Quando svolgi questo compito a Gaza, ti trovi all’interno di città palestinesi di Gaza ma, cosa ancora più importante da ricordare, entri e ti stabilisci letteralmente in case private di cittadini di quella zona. Ogni notte mettevamo in atto un’operazione chiamata “Straw Window”. Essa consisteva in sostanza nell’impossessarsi di una casa privata palestinese e convertirla in un avamposto militare; e come lo facevamo? Assaltando letteralmente la casa nel bel mezzo della notte, trascinando tutti i membri della famiglia giù dai loro letti e confinandoli tutti in una stanza così che non potessero disturbarci. Dopo di che preparavamo i nostri fucili da cecchino, mentre io che avevo il compito di “tracciare e identificare” i bersagli. Parte di questo compito richiedeva che io allestissi la telecamera termosensibile in una delle stanze, e con essa iniziare a “scansionare” la città. Durante questa attività di “scanning”, se un membro della famiglia voleva bere o mangiare, assumere le sue medicine o raggiungere il bagno doveva rivolgersi a noi per avere autorizzazione, perché di fatto la casa era diventata nostra e non più loro. Ogni operazione “Straw Window” poteva richiedere 2, 4, 6 ore o anche due giorni. Una volta finita l’operazione, raccoglievamo tutte le nostre munizioni e apparecchiature e tornavamo alla base. Nel far ritorno alla base, ciascuno di noi non poteva che comprendere come con quelle nostre operazioni rovinavamo le vite delle famiglie, e non perché li costringessimo a fornirci informazioni o sparassimo loro, ma semplicemente perché ci veniva ordinato di eseguire quelle operazioni di routine: quelle di portare fucili da cecchino con la forza all’interno di case palestinesi. Quello che mi veniva imposto di fare al mio ritorno in Israele da queste operazioni era di dire che andavo a difendere la mia Nazione, anche se tali operazioni non erano di fatto una difesa del mio Paese, erano piuttosto un controllo autoritario sulla Palestina: una cosa del tutto diversa. Quindi, quando tu Patrick mi chiedi perché sono diventato attivista, beh, io ti dico che l’ho fatto perché, in veste di cittadino israeliano, ritengo di avere l’obbligo morale di parlare di ciò che facevamo sul campo; sono cose che non devono restare un mio segreto come soldato o come israeliano. Tutti dovrebbero sapere che le operazioni “straw window” avvenivano ogni notte, che ogni giorno mantenevamo in funzione vari check-points; che eravamo noi a dare permessi ufficiali ai palestinesi sulla loro terra, il modo in cui stiamo adesso combattendo a Gaza, arrestando suoi cittadini. Si tratta di un’occupazione in corso da 57 anni.”
“Patrick Gaspard: “Ecco, ti chiederò di raccontarmi tra un attimo come è stato che in sostanza ci siamo trovati nella tragedia del conflitto attualmente in corso a Gaza, e delle percezioni della situazione che si hanno sul campo. Vorrei però tornare prima ad una cosa che mi dicesti quando ci trovavamo insieme ad Hebron. Mi dicesti testualmente che parte delle tue operazioni consisteva nel “falciare il prato”. Puoi raccontarmi nel dettaglio in cosa consisteva questo “falciare il prato”, quale era il suo proposito e la psicologia che stava alla sua base?”
Nadav Weiman: “Certamente. Dunque, come soldati ricevevamo molti tipi di ordini relativi alle varie operazioni. Una delle principali operazioni che dovevamo compiere come soldati dell’IDF (“Israel Defense Forces”) era quella di “far percepire la nostra presenza”; l’intento di questa operazione era di rinnovare nei palestinesi la consapevolezza di chi aveva il loro controllo. Si trattava ad esempio di lanciare una “granata stordente” nel centro di un villaggio palestinese nel mezzo della notte, oppure di assemblare senza preavviso check-points modulari, e far passare ogni palestinese in transito attraverso 2 o 10 di queste stazioni nel loro tragitto verso il lavoro, il negozio di alimentari o a scuola, oppure ancora fermare cittadini Palestinesi per controllare i documenti di identità e far loro varie domande; a proposito, le forze armate impiegano adesso un nuovo strumento identificativo chiamato “Wolf Pack”, ovvero un riconoscimento facciale informatico. Lo si utilizza facendo una fotografia digitale al viso di una persona fermata, inviarla a questo strumento per l’identificazione dell’identità, il quale emette come risposta automatica disposizioni su come operare, se trattenere la persona o lasciarla andare. Queste operazioni, come mi veniva ricordato, non servivano ad altro che a ricordare ai palestinesi qual era l’autorità che li controllava. Potevamo sapere lo stato civile e lavorativo di chiunque, si fosse trattato di un infermiere, di un insegnante, un ragazzino di 14 anni in età scolare o un operaio edile. Tutte queste persone percepivano costantemente il nostro controllo.”
Patrick Gaspard: “Devo riconoscere che nel tuo schierarti attivamente per riportare la città di Hebron all’amministrazione di Tel Aviv – ricordando le tue stesse parole – anche tu stesso sei stato interessato da ogni tipo di operazione di controllo, sorveglianza, in situazioni in cui si conducevano attacchi. A parte questo, tu e molti altri cittadini israeliani vi siete dimostrati molto determinati nel ricordare e denunciare il terribile attacco terroristico del 7 Ottobre 2023. Per questo vorrei continuare la conversazione parlando di quell’attacco e della conseguente campagna a Gaza. So che in quell’attacco perpetrato in Ottobre, tra le 1200 vittime si trovavano anche diversi tuoi amici. Vorrei chiederti se puoi parlarci di quella situazione, della tua reazione all’attacco e della percezione di una punizione collettiva alla quale la popolazione di Gaza ha sentito di essere sottoposta da quel momento fino ad ora.”
Nadav Weiman: “Dunque, devo innanzitutto ricordare che nell’attacco del 7 Ottobre molti dei miei concittadini hanno perso dei loro cari (Nadav si rivolge con un gesto di vicinanza e cordiglio ad un suo conoscente seduto accanto a lui), e penso che quasi tutti i cittadini di Israele conoscessero più o meno direttamente qualcuna delle vittime di quell’attacco o uno dei 350 nostri soldati che sono stati uccisi all’arrivo nella zona presa di mira. Io ho prestato servizio nel Corpo delle Forze Speciali, e l’allora mio Comandante dell’esercito, nel giorno in cui terminai il mio servizio mi disse: Nadav, conosco la tua visione politica, e volevo dirti che mi sono unito ad un’organizzazione chiamata <<Breaking the Silence>>, che cerca di opporsi all’occupazione in Palestina. Penso che tu potresti entrare a farne parte. Come risposta io gli chiusi quasi il telefono in faccia, dicendomi che non volevo assolutamente finire in Sud America e dimenticarmi di tutto; ma lui non desistette dai suoi tentativi di persuasione, e alla fine riuscì a convincermi a unirmi a <<Breaking the Silence>>, nella quale divenne mio mèntore per i primi mesi. Era un abitante di uno dei Kibuts presi di mira e prese parte alla loro difesa nell’Unità di Prima Risposta, in un intervento durato 7 ore nel corso del quale finì le proprie munizioni; cos’ venne ucciso. Per me fu dura da accettare, proprio perché era stato il mio méntore, ma soprattutto perché era un uomo di pace. Shaka – questo era il suo nome – era davvero un uomo di pace. In seguito a quella perdita ero anche comprensibilmente arrabbiato, molto arrabbiato. Nutrii quindi un sentimento di vendetta, una vendetta che avrei voluto mettere in atto, ma dopo poco tempo mi resi perfettamente conto che quella non era la strada giusta da percorrere, che quello che dovevo fare era cercare di raggiungere la pace ed smettere di combattere contro quei nemici. Vorrei che ogni Israeliano potesse pervenire a questo stesso atteggiamento, una posizione in cui si potesse convertire tutta la nostra energia reattiva verso la cessazione delle ostilità e il raggiungimento della pace. Sarebbe una cosa positiva.
Patrick Gaspard: “a questo punto, io e te ci siamo riuniti qui in occasione della visita del Primo Ministro Netanyauh alla nostra Capitale; dopo essere stato a Tel Aviv e aver assistito a quelle partecipatissime manifestazioni organizzate dalle famiglie degli ostaggi, e poi anche a quelle altrettanto partecipate a favore della giustizia organizzate dalle forze politiche di opposizione, mi sembra che il vostro Primo Ministro si trovi ormai di fatto in una posizione sulla difensiva, e che abbia riservato nella propria agenda una voce specifica relativa a questa sfida politica interna al suo Paese costituita da tanta partecipazione pubblica; una voce che riguardi anche alcune specifiche misure politiche; mi chiedo se tu avessi alcune visioni e prospettive personali su questo tema che vorresti condividere con noi.”
Nadav Weiman: “Si, certo, e per farlo penso che dovremmo collocare tutto ciò che è successo fino ad oggi a Gaza nel suo giusto contesto. Il riferimento va quindi alla visione che Netanyauh ha del conflitto in corso e di come gestirlo. La sua idea si riconduce all’ormai atavica intenzione di costruire o consolidare un grande muro a circondare l’intera striscia di Gaza, oltre che condurre ogni due anni operazioni militari in quella stessa area per rilasciare ai suoi abitanti vari permessi per ragioni umanitarie; questo è quanto, niente di più. In questa visione non si parla mai dell’occupazione e della possibilità eventuale di porvi fine. All’interno di quel progetto si discute di attuare il cosiddetto “Accordo di Abramo” e si pensa ad una normalizzazione del nostro rapporto con il mondo musulmano. Tutto qui. Poi è successa la tragedia del grande attacco terroristico del 7 Ottobre, che si inserisce in un modo di vedere la questione e di agire che nessuna forza e tecnologia militare israeliana, per quanto avanzate, può combattere. Per tale motivo, abbiamo sùbito potuto constatare che le grandi e numerose manifestazioni a Tel Aviv, Gerusalemme, Aifa e Be’er Sheva diventavano sempre più grandi di settimana in settimana, ogni Domenica mattina. Così, contiamo oggi decine di migliaia di Israeliani che si appellano per un cessate il fuoco, per un rilascio degli ostaggi, e questo prima di ogni altra misura di intervento. Quindi, quando Benjamin Netanyauh raggiunge gli Stati Uniti d’America e si presenta al Congresso presso il quale ci troviamo non sta rappresentando il popolo di Israele; è qualcosa che dobbiamo tutti comprendere: la maggioranza dei cittadini israeliani vuole un cessate il fuoco, perché vuole che gli ostaggi vengano riportati a casa. In qualità di Primo Ministro, Netanyauh deve difendere la sua cittadinanza; e dalla mia esperienza passata nel ruolo di soldato combattente so bene che il primo obiettivo è quello di cercare di fare in modo che nessuno si ferisca. Come cittadino Israeliano, ribadisco che il mio governo deve prendersi cura di noi, e come persona ebrea credo profondamente che ogni vita sia inestimabile, va bene? Quello che però vedo è che Benjamin Netanyauh e le scelte politiche del suo governo vogliono mantenere il potere nelle proprie mani e prolungare la guerra. Sono oggi passati circa 9 mesi dall’inizio del conflitto (la presente conferenza ha avuto luogo nell’Agosto 2024, ndr), e la posizione che Netanyauh pare sia venuto a perorare qui a Capitol Hill è esattamente questa. Si riferisce soprattutto all’elettorato israeliano schierato a destra, più che alle due Camere del Congresso. Tutti noi abbiamo visto le azioni di questo suo Governo, che ricordo essere di estrema destra. Per questo, Netanyauh ha paura che concedendo un cessate il fuoco, in modo che gli ostaggi possano essere rilasciati, i partiti di estrema destra non lo sosterranno più e lasceranno il governo. È per questo che la guerra continua ad andare avanti.
Patrick Gaspard: “La tua constatazione dei fatti mi sembra proprio devastante. Vorrei adesso parlare nello specifico con te della situazione in Cis-Giordania (“West Bank”), Nadav. Quando ci trovavamo assieme presso quel confine, mi accompagnasti sopra una collina e mi dicesti chiaramente: <<non puoi comprendere veramente questo conflitto e le circostanze riguardanti i territori occupati a meno che tu non conosca tanto la demografia quanto la geografia di quelle aree>>, e mentre proseguivamo nel nostro percorso nei meandri di Hebron, una cosa straordinaria per me è stata constatare come la viabilità fosse servita da cartelli di uno stile che la facessero sembrare alla mappa di un Parco, una zona ove gli insediamenti palestinesi erano sparpagliati in una disposizione a macchia di leopardo, separati da continue soluzioni di continuità. Vorrei che tu ci aiutassi a comprendere quale dinamica ancora in corso ha portato a questa frammentazione, a capire cosa sta effettivamente accadendo, inclusa l’approvazione da parte dell’Amministrazione civile delle Israel Defense Forces che appena la scorsa settimana ha approvato le ultime acquisizioni di territori palestinesi; e sottolineo che questo è successo dopo l’Accordo di Oslo. Devo anche notare che, in quel mio far visita alle comunità della Cis-Giordania, vi sono arrivato giusto poche ore dopo che una Scuola sovvenzionata dalle Nazioni Unite era stata buttata giù da bulldozer, assieme alle case di molti attivisti per la pace. Molte di quelle rovine erano ancora roventi dagli incendi che le avevano interessate, e c’era un gruppo di bambini raccolto sulla cima di una collina che non sapevano dove sarebbero andati a dormire quella sera. Cos’accidenti sta succedendo in quella terra?”
Nadav Weiman: “Per risponderti, ricordo innanzitutto che il nostro attuale governo ha espressamente dichiarato nelle proprie linee-guida che solo lo Stato di Israele ha diritto all’autodeterminazione nella terra che occupa; inoltre, lo stesso governo continua da tempo a portare avanti attivamente nuove annessioni. Questo è il nostro governo. L’espansione degli insediamenti è solo una delle criticità politiche attuali della zona, anche alla luce del fatto che stiamo battendo ogni record in quanto a violenze perpetrate dai coloni. Abbiamo da poco assistito a ciò che ricordavi: la più grande annessione di territori palestinesi dopo l’Accordo di Oslo. Ma c’è un altro record raggiunto: il numero di avamposti israeliani occupati militarmente che sono stati successivamente autorizzati da questo governo, e con misura retroattiva, per giunta! Stiamo parlando di avamposti militari che anche agli occhi dell’opinione pubblica israeliana erano considerati illegittimi. Un’altra cosa che hai menzionato, Patrick, riferendoti alle colline a Sud della Cis-Giordania in cui ci trovavamo, riguarda il fatto che lo Stato di Israele e il movimento per gli insediamenti hanno apportato correzioni al sistema due anni fa. Si è deciso che non fosse il caso di ambire all’edificazione di nuovi grandi insediamenti con tutte le infrastrutture del caso, parchi giochi e asili per i bambini, etc. etc. No, niente di tutto questo; piuttosto, raggiungere i pascoli di un pastore della zona, come quelli che anche tu Patrick hai visto con me nelle colline di Hebron del Sud, che è in sostanza un’area quasi desertica, abitata da non più di 4 o 5 persone, ma che rappresenta un pascolo per 200 capi di bestiame, bovini od ovini che siano. Qui costringi i pastori ad andarsene con il bestiame, accompagnandoli con i tuoi soldati. Si può trattare anche di aree di migliaia di acri. Io ero tra quei soldati, e vi dico che il livello di violenza era a volte molto alto, perché in quei pascoli si insediavano avamposti non autorizzati. Io e Patrick siamo stati anche a Khirbet Zanuta, ricordi Patrick? Si tratta di una città i cui abitanti hanno adattato le grotte ad abitazioni. Si trova nelle colline a Sud di Hebron ed è stata totalmente abbandonata dop il 7 Ottobre. Questo perché gli autori degli insediamenti israeliani sfruttarono l’onda emotiva suscitata dalla diffusione mondiale della notizia del terribile attacco terroristico e scaricarono tutta la loro violenza sulla popolazione. Quella di Khirbet Zanuta era la più grande comunità di abitanti delle grotte che dovette fuggire, proprio a causa della violenza proveniente dagli avamposti illegali israeliane. L’IDF israeliano ha costantemente protetto queste violenze da parte dei coloni. Per questo, la comunità locale composta da circa 400 adulti con i loro 200 capi di capre e pecore è stata costretta alla fuga; ma è stata solo la comunità più grande tra le 18 che in totale sono state costrette alla fuga dai loro territori dopo il 7 Ottobre. Tutto questo è ciò che fa il nostro governo, che vorrebbe che l’Accordo di Oslo scomparisse; utilizza la violenza dei propri soldati in vecchi e nuovi insediamenti irregolari. Non è qualcosa che non riguarda lo Stato di Israele, è la sua esplicita politica messa in atto. Se io, in qualità di soldato israeliano, non ho permesso di far rispettare la legge anche contro la violenza dei miei commilitoni nei nostri insediamenti, allora vuol dire che anche la loro violenza diventa parte del nostro sistema, del meccanismo di occupazione.”
Patrick Gaspard: “L’ultimo punto da te messo in luce è di un’importanza critica, Nadav, e devo ringraziare anche gli altri rappresentanti seduti accanto a te per aver voluto far introdurre misure sanzionatorie mirate contro gli estremisti negli insediamenti israeliani: coloro che incitano a questa violenza. Apprezziamo molto questa vostra presa di posizione attiva. Nadav, ormai non mi restano che tre minuti prima del termine di questa conversazione, e qui a Capitol Hill tutti gli impiegati si fanno carico dei propri compiti in maniera molto scrupolosa, devi sapere! Il rappresentante (nome non identificabile) ci ha dato un compito molto chiaro. Ha detto che è venuto qui con l’auspicio di poter attingere ad una significativa nuova fonte di ispirazione. A livello personale, devo dire che al momento di lasciarti dopo il tempo passato insieme ad Hebron mi sono sentito profondamente ispirato. Mi hai parlato e ci stai parlando di situazioni critiche molto difficili da risolvere, e siamo tutti sgomenti nell’ascoltarle, e anche di fronte al fatto che quando la settimana scorsa il Knesset (Parlamento monocamerale israeliano) ha votato una risoluzione per il riconoscimento dello Stato di Palestina essa è stata giudicata una minaccia esistenziale per Israele. A dispetto di tutto ciò, che cosa alimenta ancora oggi la tua speranza e il tuo ottimismo? Mi rendo conto che il tuo stesso impegno attivo è la tua prima fonte di ispirazione per la pace tra Israele e Palestina. Puoi fornire per favore anche al rappresentante (nome non identificato) una scintilla d’ispirazione, quella di cui è alla ricerca nel suo assistere a questa conversazione? La violenza perpetrata dai coloni è qualcosa che va assolutamente affrontato
Nadav Weiman: “Allora, posso partire col parlare un po’ delle sanzioni in generale. Le misure sanzionatorie possono essere un grande strumento per far si che Israele non agisca più impunemente. Per far questo le sanzioni sono un passo molto importante. Non è che io voglia in senso assoluto sanzioni contro Israele. Non vorrei che finisse completamente isolato. Tuttavia, come abbiamo oggi detto un po’ tutti, Israele e gli USA sono alleati. Quando combattevo a Gaza avevo il mio M4, e su di un suo lato vi era incisa la scritta: <<proprietà del Governo degli Stati Uniti>>; ma quello è solo un aspetto della nostra amicizia. Un'altra sua implicazione dovrebbe essere quella di dirci: <<basta, fermatevi!>>, non oltrepassate un certo limite. Dovremmo allora pervenire ad un ulteriore passo nelle sanzioni. Mi sento di dover dire una cosa molto importante. Una cosa che ho fatto per 12 anni, nel mio parlare con Israele e istituzioni internazionali. C’è una cosa che ho imparato veramente presto, devo dire. Quando dici la verità ti assumi una grande responsabilità. Come soggetti che si sono uniti a “Breaking the Silence” abbiamo ammesso molte cose che abbiamo fatto, assumendocene così la responsabilità. Era una nostra responsabilità comunicare a tutto il mondo ciò che stavamo facendo come Stato di Israele; dovevamo parlare di queste cose. Quando dici la verità al cospetto del potere costituito, questa è una cosa che viene compresa da tutti gli esseri umani che ascoltano. Questa scelta (di dire la verità) mi infonde motivazione ed energia ogni settimana. Anche quando incontro autorità e persone israeliane. In quei casi non importa tanto se condividiamo oppure no le stesse visioni e idee. Ciò che importa è che si siano gettati i presupposti di una conversazione costruttiva che si è di fatto aperta. Questo è ciò che è successo ad esempio nel contesto del Camp Liberal-Democratico in Israele, o anche con il Blocco Anti-Occupazione, sempre nel mio Paese. La discussione costruttiva sta assumendo proporzioni sempre più vaste, anche perché la popolazione in generale ha compreso che Israele non può continuare ad essere per sempre uno Stato occupante. 57 anni di occupazione sono già troppi. Non possiamo essere coinvolti in questa nostra guerra senza fine. E’ troppo. Mi stavo quasi dimenticato di dire che in questi ultimi due giorni che ho trascorso qui a Washington, incontrando donne e uomini rappresentanti del Congresso, ho compreso che noi come movimento per la riconciliazione abbiamo davvero molti alleati, e questo è un qualcosa che Israele dovrebbe comprendere: qui negli Stati Uniti abbiamo molti alleati che possono aiutarci a porre fine all’occupazione e apportare la pace nella mia regione di provenienza.”
Patrick Gaspard: “Devo dire che quando mi trovavo con te in Cis-Giordania sono rimasto positivamente travolto dal tuo coraggio. Oggi, qui al Congresso USA, mi sento travolto e ricondotto ad una posizione di grande umiltà dalla tua capacità di trasmettere un’atmosfera di grazia a tutte le persone coinvolte, sia israeliane, sia Palestinesi. Grazie mille di tutto!”
Traduzione (di Andrea De Casa) di una conversazione dal sito Youtube di “Breaking the Silence” – “Rompere il silenzio”
Potete prendere visione della conversazione originale in Inglese al seguente link del canale Youtube di “Breaking the Silence”: https://www.youtube.com/watch?v=vrpK2l6eQu0