Sempre più tessere si aggiungono al puzzle.
Secondo il libro "L'atomica europea" (Fazi Editore, 2004) - di Paolo Cacace - prefazione Sergio Romano - il primo nucleare civile italiano (quello di Trino e Caorso, eccetera, per intenderci) è un sottoprodotto del progetto comune franco-tedesco-italiano, cominciato sotto l'egida Euratom, di una "Bomba europea" (abbandonato poi per la decisione di De Gaulle di fare tutto da solo). Mariella Cao segnala, nel post sotto riportato, questo libro di Marco Mostallino de "L'Italia radioattiva" (2004) per i temtativi degli anni '70 con la Sardegna poligono per la sperimentazione dei vettori e possibile sito per test sotterranei.
"L'Ora di Austerlitz", Polistampa, 2005, di Lelio Lagorio, ex ministro della difesa, ci racconta dei primi anni '80, da cui avrebbe dovuto derivare il famoso PEN di 15 centrali bloccato dal referendum del 1987.
Oggi, secondo Giorgio Nebbia, nei nostri vari depositi (Casaccia, Saluggia, Trisaia, Sito Pluto) abbiamo stoccato 200.000 kg di uranio altamente arricchito e 1.500 kg di Plutonio: abbiamo pure, secondo il premio Nobel Rubbia, rischiato una specie di Chernobyl a Saluggia (e qualcosa di analogo è successo a Casaccia).
Mi fermo qui con la solita domanda: l'Italia è una potenza nucleare latente?
Esistono anche motivi "endogeni" di tipo militare alla spinta per il rilancio del nucleare in salsa tricolore?
Non sono domande di tipo retorico, ma problemi aperti che dovrebbero coinvolgere in una ricerca coordinata sia le competenze critiche dei "tecnici contro la guerra", sia le realtà di movimento, sull'esempio del comitato sardo "Gettiamo le basi".
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Fonte: Alfonso Navarra