Referendum del 23 ottobre 2005 in Brasile per vietare il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni (Riflessione di Bruna Peyrot, tratta dalla "Nonviolenza è in cammino" n. 1071 del 2 ottobre 2005) Inserisci il tuo pensiero nel Forum (per inserire un commento, un volta aperto il forum, fare clic su "new topic")
Il prossimo 23 ottobre sarà una data storica per il Brasile e per il popolo nonviolento di ogni continente.
La domanda che prevede la scheda da compilare per ogni brasiliano dai 18 ai 70 anni risuona nei cuori di molti: "Il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere proibito in Brasile?". Per il Brasile è obbligatorio andare a votare, ma tutti voteremmo liberamente se potessimo farlo nei nostri rispettivi paesi.
Come si sa, il Brasile è il primo paese al mondo ad aver indetto un referendum su questo tema, ed è anche la prima volta che accade nella sua storia: un duplice segno di attenzione da cogliere. Questo evento, infatti, mi ha posto due domande: perché proprio in questo periodo si è avviata la campagna per l'abolizione delle armi, e perché in altri paesi di più lunga storia democratica questo non è ancora successo?
Alla prima domanda è complesso rispondere in breve. Proverò, tuttavia, a dare qualche suggestione.
L'imponenza del Brasile è già tutta contenuta nei suoi numeri: otto milioni e mezzo di Kmq, il 48% di tutto il continente sudamericano, pari a trenta volte l'Italia, 190 milioni di abitanti, 8.000 Km di litorale atlantico dal quale si attivano le vie di scambio commerciali, culturali e anche illegali (armi e droga) anche verso Europa e Africa, sedici capitali di stato quasi tutte in riva al mare.
Questa repubblica federale da tre anni ha come presidente un metallurgico, dal suggestivo nome di "calamaro", Lula in portoghese. La sua figura è stata la metafora di un riscatto sociale profondo del Brasile povero, quello nordestino, dell'Interior (descritto da Guimaraes Rosa) e dei senza tutto: casa, tetto, terra, denaro, cultura. Il clima di euforia scatenato da quella vittoria aveva incoraggiato il Brasile democratico ad andare al fondo delle piaghe sociali che lo avevano colpito da sempre.
La campagna contro le armi sboccia da questo contesto, pregno di voglia di giustizia e di speranza per un mondo migliore. Questa stessa speranza è stata colpita duramente dalla crisi del governo Lula e dal travaglio infinito del suo partito, il Pt (Partido dos Trabalhadores). Il centro della questione mi pare si riassuma in questo: da un lato nel modo in cui molti dirigenti hanno affrontato il potere di governo, con vecchi metodi e accettando la struttura dei privilegi e dello stile mafioso dei padrinati delle elites dirigenti. Il Pt non è stato capace di portare una vera politica spirituale dentro le istituzioni, non è stato capace di continuare a "essere" del Pt, cioè rappresentare una militanza che sia anche stile di vita coerente e morale.
Dall'altro lato, tuttavia, il Pt è attaccato duramente sulla stampa e dalla televisione sul suo stesso terreno, l'etica, proprio da partiti che fino a pochi anni fa sono stati i liquidatori dello stato sociale e i praticanti di un gioco di potere clientelare e personalistico. L'intento è di liquidare il Pt che comunque sia andata e andrà la storia ha scritto una pagina democratica fondamentale nella storia brasiliana.
E i suoi frutti si vedono nella campagna per il disarmo, nel referendum del 23 ottobre che ha riunito componenti sociali diverse: religiosi, dirigenti politici, sindacalisti, donne, animatori di comunità, ong, amministrazioni comunali, ecc. hanno lanciato questo grande segnale in difesa di una democrazia senza armi.
Perché, rispondendo alla seconda domanda, in altri paesi non è mai stato proposto un referendum simile? Secondo me è stato proposto in Brasile perché qui la vita, come in tutta l'America latina, vale poco. Lo dimostrano i dati: il Brasile ha il più alto numero di morti per armi da fuoco e ogni anno si registrano oltre 40.000 morti per ferite da armi da fuoco, il che equivale a dire che muore una persona ogni quarto d'ora e la maggior parte delle vittime sono i giovani, ragazzi tra 15 e i 25 anni.
Dove la vita è più disprezzata, per reazione istintiva, nascono anche le rivolte per la sua difesa più potenti. In Colombia un modo di dire recita: "mas muerte, mas vida". Lo ripetevano a me le sindacaliste colombiane per descrivermi la loro resistenza ai paramilitari che ancora oggi imperversano in quel paese dal conflitto dimenticato.
È dunque oltremodo significativo che il Brasile sia di guida alla sensibilizzazione sul commercio delle armi, perché dà speranza anche ai paesi dove si sa che le armi si fanno e si vendono ai paesi che le usano perché aiutati da una cultura di subalternità, in cui i conflitti si risolvono con le armi. La maggior parte degli omicidi è commessa infatti tra parenti e conoscenti: risse in famiglia, bar, liti tra automobilisti, scontri tra tifoserie...
Questo referendum propone ai cittadini un gesto che costruisce cultura nonviolenta, che va al contrario di come stanno andando le cose, che chiede solidarietà internazionale ai cittadini dove le armi si costruiscono per svelarne le rotte.
Sosteniamolo allora: non solo in vista di quella data ma soprattutto dopo, continuando nei nostri paesi a proporre la stessa lotta.