È in corso la raccolta delle firme per la legge di iniziativa popolare per fare dell'acqua un bene comune e non più l'occasione di profitto e di arricchimento di qualcuno che mette in bottiglia la sete di tutti, mentre un altro inquina G. Ra.
Roma Raccogliere 50.000 firme per una legge di iniziativa popolare è un obiettivo alla portata dei movimenti e più in generale delle persone convinte che l'acqua sia un bene comune dei viventi. La campagna ha avuto un avvio effettivo e assai promettente nello scorso fine settimana. È importante andare avanti. Nessuno deve temere di non essere all'altezza, nessuno è isolato: il movimento è diffuso in tutte le regioni italiane, con 60 reti nazionali e più di 400 comitati territoriali. E questo è solo l'avvio. In futuro si aggregheranno altre forze e il risultato apparirà ancora più accessibile.
I sei mesi di raccolta firme devono diventare di più: un'occasione per ottenere non solo una legge buona,nel senso di una proposta democratica e innovativa in tema di acqua, ma anche e soprattutto per formare un movimento, convinto dei suoi mezzi e delle sue buone ragioni che impari a elaborare un modello politico diverso, adatto ai tempi che sono stretti e ai pericoli che sono grandi.
Di solito i grandi della terra alludono al pericolo delle guerre per l'acqua, in un futuro indeterminato ma prossimo e su questa base tentano di convincere le popolazioni ad affidare il problema, difficile, insolubile, alle capacità e alla forza d'intervento di loro stessi, elettisi padroni dell'acqua.
È vero proprio il contrario. L'acqua nella storia è stata occasione di molti più accordi e buon vicinato che non di lotte di conquista e spoliazioni. Per queste nostre generazioni si presenta invece un problema più grave e con pochi precedenti: un problema ambientale. La scarsità di acqua potabile, non tanto come quantità, ma come distribuzione ineguale, lo spreco inutile che ne si fa, la vera e propria dilapidazione che non viene mai corretta, sono la prova più severa che dobbiamo affrontare. I poteri mondiali dell'acqua, le multinazionali, la Banca mondiale, i costruttori di grandi dighe si rifiutano di applicare un modello democratico di distribuzione equa di soddisfacimento dei bisogni, ma invece introducono in qualche forma un prezzo per l'acqua pulita e credono così di rendere razionale il problema, oltre che di individuare un formidabile campo di profitti. La selezione dell'acqua è fatta con il denaro: gli altri, senza denaro, avranno meno acqua, oppure acqua meno pulita, oppure dovranno accontentarsi. in questo modo l'acqua basterà sempre.
Il principio lanciato dalla campagna per le firme, in vista della legge di iniziativa popolare, è importante in sé, ma anche perché indicando gli aspetti di bene comune e di problema comune, fa dell'acqua un'occasione per imparare un modo diverso per affrontare i problemi e cercare le soluzioni. Qui il modello del «chi è più ricco più beve» non ha corso. Il tentativo, una grande trasformazione, è quello di insegnare alla maggioranza dei cittadini cosa significhi essere padroni - tutti insieme - della nostra acqua.E, tutti insieme, di imparare. Significa prima di tutto non sprecarla, l'acqua, ma imparare e al tempo stesso insegnare ad usarla bene. Contare, in termini di ettolitri d'acqua potabile utilizzata, ogni attività umana, proprio come si fa con il petrolio. Quanto petrolio equivalente serve per viaggiare da Roma a Milano, per costruire l'auto che farà il percorso? E quanta acqua? L'obiezione più forte contro i beni comuni è quella nota come la tragedia, descritta molti anni fa da da Garrett Hardin. Questi sosteneva che l'unico atteggiamento razionale di un pastore è quello di aumentare il proprio gregge che pascola sul campo-bene comune, a danno degli altri pastori suoi pari. Noi dobbiamo imparare a fare diversamente. Non captare sempre più acqua significa salvare la nostra, insieme a quella dei nostri pari.