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L'effetto congiunto della globalizzazione, della crisi economica e dei cambiamenti climatici (tre processi interdipendenti) mette a rischio se non la sopravvivenza del nostro pianeta, certamente quella dell'umana convivenza. Stiamo entrando in un'epoca di grandi sconvolgimenti: ambientali, economici, geopolitici. Possono aprire la strada a immani catastrofi, al moltiplicarsi delle guerre, all'affermarsi di regimi sempre più autoritari, all'aggravarsi delle condizioni di vita di miliardi di esseri umani. Ma grandi sconvolgimenti comportano anche grandi cambiamenti: dentro i quali c'è spazio per prospettive che fino a pochi anni fa potevano sembrare utopiche. Per questo occorre tornare a pensare alla grande; osare imboccare vie nuove; confidando che quello che vogliamo noi stanno cercando di farlo, in condizioni e con modalità anche molto diverse, milioni e forse miliardi di altri come noi; e che le nostre strade potranno incontrarsi.

Nel corso degli ultimi decenni, in quasi tutto il mondo «sviluppato», i redditi da lavoro dipendente hanno subito una riduzione di circa dieci punti percentuali di Pil a favore dei redditi da capitale e dei compensi professionali.
L'aumento delle differenziazioni salariali e la diffusione del precariato ha reso questa redistribuzione ancora più iniqua, moltiplicando la schiera dei senza salario e dei working poor, cioè di coloro che pur lavorando non riescono a raggiungere un reddito sufficiente per vivere decentemente. La crisi ha messo in luce - e continuerà a farlo per anni - la profondità di questa trasformazione.

Nel notiziario del 28 maggio u.s. abbiamo pubblicato un articolo dal titolo "Grazie, COOP Italia!" di Stop Agrexco Italia, relativa lla decisione assunta di sospendere la commercializzazione dei prodotti provenienti dalle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati.
Pubblichiamo la lettera che l'amico Stefano ci ha inviato non condividendo il contenuto di quell'articolo.

Caro consumatore
per le feste di fine anno l'Associazione Mondo Solidale Ti invita a fare i tuoi regali, privilegiando i prodotti del commercio equo e solidale.
La nostra Associazione, senza scopo di lucro, gestisce da dodici anni la Bottega del Mondo in via Cavour a Massa, al fine di promuovere una cultura ed una sensibilità, che mirino alla salvaguardia della natura e delle sue risorse, alla difesa della salute e per promuovere forme di economia alternativa, sostenibile e solidale.

Per il filosofo ed economista francese è la via d’uscita dalla crisi. "Non siamo più minacciati dalla catastrofe, siamo già nella catastrofe, e abbiamo il privilegio fantastico di assistere al crollo della civiltà occidentale" di Fabrizio Ricci

C'è un legame evidente tra il pensiero di Aldo Capitini, filosofo e politico antifascista, "partigiano" della non violenza e Serge Latouche, filosofo ed economista, "partigiano" della decrescita. Anche la teoria della decrescita infatti è una forma di pensiero non violento, rivolto nei confronti del pianeta. Non sorprende dunque che in occasione del 40esimo anniversario della morte dell'ideatore della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, la Fondazione Aldo Capitini abbia voluto invitare proprio il professor Latouche a tenere a Perugia una lectio magistralis sulla "Decrescita come uscita dalla crisi".

Come disse Bob Kennedy, il Pil misura qualsiasi cosa, tranne quello che può renderci felici. Ma la felicità può essere sostenibile? Eccome, risponde Maurizio Pallante: basta rinunciare alla droga (mentale) della crescita, sinonimo di benessere solo apparente, frutto di un equivoco generato dall’ideologia suicida dello sviluppo illimitato, che esaurisce le risorse e inquina il pianeta, mettendone a rischio il futuro e spingendo l’umanità in un vicolo cieco, dove si confondono beni e merci, lavoro e occupazione, e dove il semplice "divertimento" sostituisce la serenità della gioia. Per uscire da questa crisi globale, socio-economica e ambientale ma anche culturale e antropologica, non bastano più le ricette del passato: serve un nuovo Rinascimento, chiamato Decrescita.

Dal sito della Libreria delle donne riprendiamo questo intervento, pubblicato anche su “Notizie minime della nonviolenza”, n. 124 del 18 giugno 2007


Ci si può commuovere ad un convegno sull'economia? Sì, è successo a molte e molti di quelli che ascoltavano Babacar Mbow sabato 12 maggio presso la sala convegni della Banca Popolare di Verona. Il convegno, durato l'11 e il 12, è stato organizzato da varie associazioni, tra cui: Mag di Verona, Rete delle Città Vicine (di cui fa parte anche La Merlettaia di Foggia), l'Università del Bene Comune e la Libera Università dell'Economia Sociale.
Il titolo del convegno racchiude una riflessione, che è anche un invito agli economisti: far diventare centrale nell'economia degli specialisti quello che si fa nel quotidiano.
La commozione nasceva dall'ascoltare parole autentiche, vere, aderenti alla realtà, quelle di Babacar Mbow, senegalese, figura carismatica e ieratica, capo spirituale dei Bay Fall, una confraternita religiosa musulmana legata al sufismo, che ha presentato l'esperienza del villaggio di N'dem, situato a 150 Km. da Dakar, al limite del deserto del Sahel. A un certo punto della sua vita Babacar, che viveva con la moglie in Francia, ha deciso di fare qualcosa di concreto per il suo paese di origine, rifacendo il percorso inverso di tanti, troppi giovani senegalesi, ritornando con la moglie Aissa in quella regione che da 35 anni soffre di una siccità devastante. Che cosa ha spinto Babakar e Aissa? "L'amore - dice in un francese asciutto e senza ombra di retorica, tradotto con calda partecipazione da Serena Sartori -. Al centro dei grandi eventi del mondo c'è l'amore. Solo attraverso l'amore le difficoltà del mondo possono essere risolte". E di difficoltà, risolte man mano, se ne sono presentate davvero tante. E tanti i problemi urgenti: le malattie, a cui ha cercato di far fronte Aissa, creando subito un centro di cura, la desertificazione, l'insufficienza di acqua potabile sia per gli uomini che per le bestie, l'emigrazione di massa dalle campagne... Ma dal 1985, quando Babakar cominciò a far rivivere il villaggio, insieme alle donne, vecchi e bambini, che erano rimasti, il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti, documentato durante il convegno dalla proiezione di un video sulla vita del villaggio di N'dem. Vi vivono stabilmente 8.500 persone, dedite a varie attività artigianali, tessili, di strumenti musicali, oggetti, mobili per arredamento e giocattoli. Quasi tutti i prodotti sono realizzati con materie non importate. Attorno al villaggio è stata creata un'associazione che raggruppa 15 villaggi da cui è derivato il Gie, gruppo di interesse economico, con l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita, realizzando un centro di mestieri artigianali, una scuola e un'attività di ortocoltura. Tra i risultati positivi è da segnalare il piccolo prestito senza interessi, messo in atto da una cassa di solidarietà e il potenziamento di attività varie, dall'allevamento al rimboschimento, all'invenzione di un combustibile, ottenuto mescolando le cortecce di arachidi, il prodotto locale, con una particolare argilla.

Sembra, dunque, vinta la scommessa di Babakar di rivitalizzare l'humus e le risorse locali di donne e uomini di un villaggio, che chiede di non stare nella competizione del mercato globalizzato, come ha sottolineato la filosofa Luisa Muraro, che è intervenuta subito dopo Babakar. Ci sono paesi dell'Africa e di altre parti del mondo che vogliono essere "dignitosamente poveri", vogliono un'economia di sussistenza, che il mondo globalizzato non vuole lasciare vivere.
Per la filosofa è fondamentale porre con forza agli economisti questioni importanti, essenziali perché vicine alle forme di vita e al quotidiano. Le donne, che in alcune zone dell'Africa sono il volano della rinascita, possono farlo, a patto di far vivere una forte soggettività femminile, che, invece, oggi si presenta debole, come dimostrano quelle che sono nei posti di potere, dove hanno difficoltà a "esserci con la competenza simbolica della loro umanità di essere donne".
Molte le pratiche del femminismo ancora vitali: il partire da sè, il rapporto tra donne, la costruzione delle relazioni, tutte ancora buone e forti, se sono trasformatrici di sè e della realtà. L'invito è a non chiudersi in "piccole chiese", ma a tenere aperti i rapporti se si ha il desiderio di "fare grandi cose", di stare in un orizzonte ampio.
Non bisogna demonizzare nulla, raccomanda Luisa Muraro, neanche il demonio, tantomeno il denaro, ma restituirgli "il valore di segno". Il denaro, infatti, porta con sè una promessa di felicità, è "un sacramento di felicità". Negativo è concentrarsi sul denaro come valore in sè, dimenticando ciò di cui è segno. È necessario, invece, risalire ai moventi, a ciò che davvero ci interessa e consideriamo importante.

Il giorno prima, M. Teresa Giacomazzi della Mag, associazione no-profit, di Verona, introducendo i lavori, si è richiamata alla necessità che l'economia affondi le radici nella vita.
Il frutto del lavoro è certo produrre ricchezza e denaro, che però non è la misura di tutto. La misura è vivere con agio, lavorare, dando spazio alle passione e alle relazioni. Ma spesso i luoghi di lavoro sono fonte di sofferenze, mentre sacche di miseria si estendono anche nel ricco Nordest, dove iniziano a diffondersi forme di microcredito.

L'economista Bruno Amoroso nel suo intervento ha mostrato come applicare all'economia le regole delle casa. La chiarezza del discorso rispecchiava il suo punto di partenza, appreso dal suo maestro, l'economista Caffè: fare un'economia per le persone comuni. Partire dalla vita ancora oggi (Caffè lo diceva negli anni Sessanta) appare come una rivoluzione copernicana.
Premessa indispensabile è superare le ideologie, intese come falsa coscienza, e l'individualismo, a favore dell'essere comunitario, che non ha interessi individuali da difendere perché "la sua identità include la diversità dell'altro". Obiettivo è la costruzione del bene comune, che nasce dal mettere in comune sia i beni necessari sia tutto ciò che è centrale per la vita delle comunità: acqua, foreste, energia, conoscenza, salute, trasporti, attività finanziarie di base... In molti settori c'è bisogno di deprivatizzare, che significa risocializzare e demercificare, valorizzando la nascita di forme di economia associativa, come "altra economia" e "economia degli affetti". Non si tratta di creare zone di nuovi privilegi e nicchie di sperimentazione, ma incentivi che aiutino a riportare il mercato dentro la comunità e a rafforzare i legami sociali.
Amoroso ha esaminato l'ingiustizia di fondo della globalizzazione, che ha sostituito il modello di crescita estensivo del capitalismo tendente all'acquisizione di nuovi mercati, con il modello intensivo basato sul restringimento dei mercati ai paesi della Triade (Stati Uniti, Giappone, Unione Europea) e dei consumatori ai ceti sociali più ricchi. Il nuovo meccanismo per essere efficiente deve essere imposto e riguardare solo una parte dell'umanità che comprende circa 800 milioni di persone della Triade (all'interno della stessa vengono esclusi vasti gruppi sociali) a fronte di 6 miliardi di persone del "resto del mondo".
In questo sistema stanno mostrando forti limiti i tentativi, pur generosi e spesso utili, della cosiddetta universalizzazione, messa in atto dalle ong, organismi non governativi, per limitare i danni ai paesi e gruppi più deboli. Le campagne per i diritti "universali" e le politiche di cooperazione contengono elementi contraddittori e spesso sono l'esportazione di principi occidentali. Il limite della Banca Etica è non partecipare al rischio dei progetti che finanzia.

La teologa svizzera Ina Praetorius insiste sull'applicazione all'economia delle "regole" dell'ambiente domestico, inteso come frutto della relazione tra donne e uomini, che sono interdipendenti. Se partiamo dalla domanda "chi siamo" scopriamo di essere tutti "partoriti da madre, di essere liberi nella dipendenza, mortali, bisognosi e pieni di limiti". Di qui occorre ripartire.