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- Associazione Mondo Solidale
- Categoria: Economia equo solidale
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Caro consumatore
per le feste di fine anno l'Associazione Mondo Solidale Ti invita a fare i tuoi regali, privilegiando i prodotti del commercio equo e solidale.
La nostra Associazione, senza scopo di lucro, gestisce da dodici anni la Bottega del Mondo in via Cavour a Massa, al fine di promuovere una cultura ed una sensibilità, che mirino alla salvaguardia della natura e delle sue risorse, alla difesa della salute e per promuovere forme di economia alternativa, sostenibile e solidale.
Serge Latouche: "Scommettiamo sulla decrescita"
- Ricci Fabrizio
- Categoria: Economia equo solidale
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Per il filosofo ed economista francese è la via d’uscita dalla crisi. "Non siamo più minacciati dalla catastrofe, siamo già nella catastrofe, e abbiamo il privilegio fantastico di assistere al crollo della civiltà occidentale" di Fabrizio Ricci
C'è un legame evidente tra il pensiero di Aldo Capitini, filosofo e politico antifascista, "partigiano" della non violenza e Serge Latouche, filosofo ed economista, "partigiano" della decrescita. Anche la teoria della decrescita infatti è una forma di pensiero non violento, rivolto nei confronti del pianeta. Non sorprende dunque che in occasione del 40esimo anniversario della morte dell'ideatore della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, la Fondazione Aldo Capitini abbia voluto invitare proprio il professor Latouche a tenere a Perugia una lectio magistralis sulla "Decrescita come uscita dalla crisi".
Felicità sostenibile: la decrescita secondo Pallante
- Giorgio Cattaneo
- Categoria: Economia equo solidale
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Come disse Bob Kennedy, il Pil misura qualsiasi cosa, tranne quello che può renderci felici. Ma la felicità può essere sostenibile? Eccome, risponde Maurizio Pallante: basta rinunciare alla droga (mentale) della crescita, sinonimo di benessere solo apparente, frutto di un equivoco generato dall’ideologia suicida dello sviluppo illimitato, che esaurisce le risorse e inquina il pianeta, mettendone a rischio il futuro e spingendo l’umanità in un vicolo cieco, dove si confondono beni e merci, lavoro e occupazione, e dove il semplice "divertimento" sostituisce la serenità della gioia. Per uscire da questa crisi globale, socio-economica e ambientale ma anche culturale e antropologica, non bastano più le ricette del passato: serve un nuovo Rinascimento, chiamato Decrescita.
La vita alle radici dell'economia (Katia Ricci)
- Accademia Apuana della Pace
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Ci si può commuovere ad un convegno sull'economia? Sì, è successo a molte e molti di quelli che ascoltavano Babacar Mbow sabato 12 maggio presso la sala convegni della Banca Popolare di Verona. Il convegno, durato l'11 e il 12, è stato organizzato da varie associazioni, tra cui: Mag di Verona, Rete delle Città Vicine (di cui fa parte anche La Merlettaia di Foggia), l'Università del Bene Comune e la Libera Università dell'Economia Sociale.
Il titolo del convegno racchiude una riflessione, che è anche un invito agli economisti: far diventare centrale nell'economia degli specialisti quello che si fa nel quotidiano.
La commozione nasceva dall'ascoltare parole autentiche, vere, aderenti alla realtà, quelle di Babacar Mbow, senegalese, figura carismatica e ieratica, capo spirituale dei Bay Fall, una confraternita religiosa musulmana legata al sufismo, che ha presentato l'esperienza del villaggio di N'dem, situato a 150 Km. da Dakar, al limite del deserto del Sahel. A un certo punto della sua vita Babacar, che viveva con la moglie in Francia, ha deciso di fare qualcosa di concreto per il suo paese di origine, rifacendo il percorso inverso di tanti, troppi giovani senegalesi, ritornando con la moglie Aissa in quella regione che da 35 anni soffre di una siccità devastante. Che cosa ha spinto Babakar e Aissa? "L'amore - dice in un francese asciutto e senza ombra di retorica, tradotto con calda partecipazione da Serena Sartori -. Al centro dei grandi eventi del mondo c'è l'amore. Solo attraverso l'amore le difficoltà del mondo possono essere risolte". E di difficoltà, risolte man mano, se ne sono presentate davvero tante. E tanti i problemi urgenti: le malattie, a cui ha cercato di far fronte Aissa, creando subito un centro di cura, la desertificazione, l'insufficienza di acqua potabile sia per gli uomini che per le bestie, l'emigrazione di massa dalle campagne... Ma dal 1985, quando Babakar cominciò a far rivivere il villaggio, insieme alle donne, vecchi e bambini, che erano rimasti, il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti, documentato durante il convegno dalla proiezione di un video sulla vita del villaggio di N'dem. Vi vivono stabilmente 8.500 persone, dedite a varie attività artigianali, tessili, di strumenti musicali, oggetti, mobili per arredamento e giocattoli. Quasi tutti i prodotti sono realizzati con materie non importate. Attorno al villaggio è stata creata un'associazione che raggruppa 15 villaggi da cui è derivato il Gie, gruppo di interesse economico, con l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita, realizzando un centro di mestieri artigianali, una scuola e un'attività di ortocoltura. Tra i risultati positivi è da segnalare il piccolo prestito senza interessi, messo in atto da una cassa di solidarietà e il potenziamento di attività varie, dall'allevamento al rimboschimento, all'invenzione di un combustibile, ottenuto mescolando le cortecce di arachidi, il prodotto locale, con una particolare argilla.
Sembra, dunque, vinta la scommessa di Babakar di rivitalizzare l'humus e le risorse locali di donne e uomini di un villaggio, che chiede di non stare nella competizione del mercato globalizzato, come ha sottolineato la filosofa Luisa Muraro, che è intervenuta subito dopo Babakar. Ci sono paesi dell'Africa e di altre parti del mondo che vogliono essere "dignitosamente poveri", vogliono un'economia di sussistenza, che il mondo globalizzato non vuole lasciare vivere.
Per la filosofa è fondamentale porre con forza agli economisti questioni importanti, essenziali perché vicine alle forme di vita e al quotidiano. Le donne, che in alcune zone dell'Africa sono il volano della rinascita, possono farlo, a patto di far vivere una forte soggettività femminile, che, invece, oggi si presenta debole, come dimostrano quelle che sono nei posti di potere, dove hanno difficoltà a "esserci con la competenza simbolica della loro umanità di essere donne".
Molte le pratiche del femminismo ancora vitali: il partire da sè, il rapporto tra donne, la costruzione delle relazioni, tutte ancora buone e forti, se sono trasformatrici di sè e della realtà. L'invito è a non chiudersi in "piccole chiese", ma a tenere aperti i rapporti se si ha il desiderio di "fare grandi cose", di stare in un orizzonte ampio.
Non bisogna demonizzare nulla, raccomanda Luisa Muraro, neanche il demonio, tantomeno il denaro, ma restituirgli "il valore di segno". Il denaro, infatti, porta con sè una promessa di felicità, è "un sacramento di felicità". Negativo è concentrarsi sul denaro come valore in sè, dimenticando ciò di cui è segno. È necessario, invece, risalire ai moventi, a ciò che davvero ci interessa e consideriamo importante.
Il giorno prima, M. Teresa Giacomazzi della Mag, associazione no-profit, di Verona, introducendo i lavori, si è richiamata alla necessità che l'economia affondi le radici nella vita.
Il frutto del lavoro è certo produrre ricchezza e denaro, che però non è la misura di tutto. La misura è vivere con agio, lavorare, dando spazio alle passione e alle relazioni. Ma spesso i luoghi di lavoro sono fonte di sofferenze, mentre sacche di miseria si estendono anche nel ricco Nordest, dove iniziano a diffondersi forme di microcredito.
L'economista Bruno Amoroso nel suo intervento ha mostrato come applicare all'economia le regole delle casa. La chiarezza del discorso rispecchiava il suo punto di partenza, appreso dal suo maestro, l'economista Caffè: fare un'economia per le persone comuni. Partire dalla vita ancora oggi (Caffè lo diceva negli anni Sessanta) appare come una rivoluzione copernicana.
Premessa indispensabile è superare le ideologie, intese come falsa coscienza, e l'individualismo, a favore dell'essere comunitario, che non ha interessi individuali da difendere perché "la sua identità include la diversità dell'altro". Obiettivo è la costruzione del bene comune, che nasce dal mettere in comune sia i beni necessari sia tutto ciò che è centrale per la vita delle comunità: acqua, foreste, energia, conoscenza, salute, trasporti, attività finanziarie di base... In molti settori c'è bisogno di deprivatizzare, che significa risocializzare e demercificare, valorizzando la nascita di forme di economia associativa, come "altra economia" e "economia degli affetti". Non si tratta di creare zone di nuovi privilegi e nicchie di sperimentazione, ma incentivi che aiutino a riportare il mercato dentro la comunità e a rafforzare i legami sociali.
Amoroso ha esaminato l'ingiustizia di fondo della globalizzazione, che ha sostituito il modello di crescita estensivo del capitalismo tendente all'acquisizione di nuovi mercati, con il modello intensivo basato sul restringimento dei mercati ai paesi della Triade (Stati Uniti, Giappone, Unione Europea) e dei consumatori ai ceti sociali più ricchi. Il nuovo meccanismo per essere efficiente deve essere imposto e riguardare solo una parte dell'umanità che comprende circa 800 milioni di persone della Triade (all'interno della stessa vengono esclusi vasti gruppi sociali) a fronte di 6 miliardi di persone del "resto del mondo".
In questo sistema stanno mostrando forti limiti i tentativi, pur generosi e spesso utili, della cosiddetta universalizzazione, messa in atto dalle ong, organismi non governativi, per limitare i danni ai paesi e gruppi più deboli. Le campagne per i diritti "universali" e le politiche di cooperazione contengono elementi contraddittori e spesso sono l'esportazione di principi occidentali. Il limite della Banca Etica è non partecipare al rischio dei progetti che finanzia.
La teologa svizzera Ina Praetorius insiste sull'applicazione all'economia delle "regole" dell'ambiente domestico, inteso come frutto della relazione tra donne e uomini, che sono interdipendenti. Se partiamo dalla domanda "chi siamo" scopriamo di essere tutti "partoriti da madre, di essere liberi nella dipendenza, mortali, bisognosi e pieni di limiti". Di qui occorre ripartire.
Intervista a Federico Bonni sul Commercio equo solidale
- Federico Bonni
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Pubblichiamo questa conversazione con Federico Bonni, responsabile ed animatore dellAssociazione Mondo Solidale di Massa, sulla realtà del commercio equo solidale partendo proprio dallesperienza dellassociazione.
Federico, nel ragionare insieme sulleconomia solidale, credo che sia importante raccontare la storia dellAssociazione Mondo Solidale che proprio questanno ha festeggiato i suoi dieci anni di presenza a Massa. Una presenza significativa che ha aiutato tante altre associazioni locali ad elaborare al proprio interno la consapevolezza del consumo critico e del commercio equo solidale.
Mondo Solidale è unassociazione di promozione sociale che nasce nel 1997 grazie a un gruppo di persone appartenenti allUfficio Missionario e allAzione Cattolica attive sul territorio apuano sui temi della solidarietà internazionale.
Il desiderio di sensibilizzare il territorio sugli squilibri tra paesi di Nord e Sud del mondo, sostenendo una valida alternativa quale il commercio equo e solidale, si concretizza con lapertura della Bottega del Mondo Mondo Solidale in via Zoppi, 14.
Luniversalità del commercio equo e solidale, e la volontà dei soci fondatori, fa si che lassociazione ben presto si apra a varie realtà del territorio e a tutti i semplici cittadini. Tuttavia i primi anni, complici la scarsa esperienza e la poca conoscenza in ambito territoriale del commercio equo e solidale sono una causa di limite allo sviluppo dell'associazione che aveva provato ad ingrandirsi tramite l'affitto di un secondo fondo, cui però dopo un anno deve rinunciare.
Nel 2001 viene realizzato un primo corso di formazione aperto alla comunità apuana, corso al quale partecipeno circa 35 persone di cui alcune poi rimangono all'interno dell'associazione come volontari. Contemporaneamente iniziano le prime adesioni: alla Rete Lilliput, al Coordinamento Toscano Botteghe del Mondo e all Assobotteghe.
Manifesto per un'economia umana (1973) (N. Georgescu-Roegen K. Boulding H. Daly)
Nel corso della sua evoluzione la casa comune, il pianeta Terra, si avvicina ad una crisi dal cui superamento dipende la sopravvivenza dell'uomo, crisi la cui portata appare esaminando l'aumento della popolazione, l'incontrollata crescita industriale e il deterioramento ambientale con le conseguenti minacce di carestie, di guerra e di un collasso biologico.
L'attuale tendenza nell'evoluzione del pianeta non dipende soltanto da leggi inesorabili della natura, ma è una conseguenza delle deliberate azioni esercitate dall'uomo sulla natura stessa. L'uomo ha deciso, nel corso della storia, il suo destino attraverso decisioni di cui è responsabile; ha cambiato il corso del suo destino con altre deliberate decisioni, attuate con la sua volontà. A questo punto deve cominciare ad elaborare una nuova visione del mondo.
Come economisti abbiamo il compito di descrivere e analizzare i processi economici così come li osserviamo nella realtà. Peraltro nel corso degli ultimi due secoli gli economisti sono stati portati sempre più spesso non solo a misurare, analizzare e teorizzare la realtà economica, ma anche a consigliare, pianificare e prendere parte attiva nelle decisioni politiche: il potere e quindi la responsabilità degli economisti sono perciò diventati grandissimi.
Nel passato la produzione di merci è stata considerata un fatto positivo e solo di recente sono apparsi evidenti i costi che essa comporta. La produzione sottrae materie prime ed energia dalle loro riserve naturali di dimensioni finite; i rifiuti dei processi invadono il nostro ecosistema, la cui capacità di ricevere e assimilare tali rifiuti è anch'essa finita.
La crescita ha rappresentato finora per gli economisti l'indice con cui misurare il benessere nazionale e sociale, ma ora appare che l'aumento dell'industrializzazione in zone già congestionate può continuare soltanto per poco: l'attuale aumento della produzione compromette la possibilità di produrre in futuro e ha luogo a spese dell'ambiente naturale che è delicato e sempre più in pericolo.
La constatazione che il sistema in cui viviamo ha dimensioni finite e che i consumi di energia comportano costi crescenti impone delle decisioni morali nelle varie fasi del processo economico, nella pianificazione, nello sviluppo e nella produzione. Che fare? Quali sono gli effettivi costi, a lungo termine, della produzione di merci e chi finirà per pagarli? Che cosa è veramente nell'interesse non solo attuale dell'uomo, ma nell'interesse dell'uomo come specie vivente destinata a continuare? La chiara formulazione, secondo il punto di vista dell'economista, delle alternative possibili è un compito non soltanto analitico, ma etico e gli economisti devono accettare le implicazioni etiche del loro lavoro. Noi invitiamo i colleghi economisti ad assumere un loro ruolo nella gestione del nostro pianeta e ad unirsi, per assicurare la sopravvivenza umana, agli sforzi degli altri scienziati e pianificatori, anzi di tutte le donne e gli uomini che operano in qualsiasi campo del pensiero e del lavoro. La scienza dell'economia, come altri settori di indagine che si propongono la precisione e l'obiettività, ha avuto la tendenza, nell'ultimo secolo, ad isolarsi gradualmente dagli altri campi, ma oggi non è più possibile che gli economisti lavorino isolati con qualche speranza di successo.
Dobbiamo inventare una nuova economia il cui scopo sia la gestione delle risorse e il controllo razionale del progresso e delle applicazioni della tecnica, per servire i reali bisogni umani, invece che l'aumento dei profitti o del prestigio nazionale o le crudeltà della guerra. Dobbiamo elaborare una economia della sopravvivenza, anzi della speranza, la teoria di un'economia globale basata sulla giustizia, che consenta l'equa distribuzione delle ricchezze della Terra fra i suoi abitanti, attuali e futuri. È ormai evidente che non possiamo più considerare le economia nazionali come separate, isolate dal più vasto sistema globale.
Come economisti, oltre a misurare e descrivere le complesse interrelazioni fra grandezze economiche, possiamo indicare delle nuove priorità che superino gli stretti interessi delle sovranità nazionali e che servano invece gli interessi della comunità mondiale. Dobbiamo sostituire all'ideale della crescita, che è servito come surrogato della giusta distribuzione del benessere, una visione più umana in cui produzione e consumo siano subordinati ai fini della sopravvivenza e della giustizia.
Attualmente una minoranza della popolazione della Terra dispone della maggior parte delle risorse naturali e della produzione mondiale. Le economie industriali devono collaborare con le economie in via di sviluppo per correggere gli squilibri rinunciando alla concorrenza ideologica o imperialista e allo sfruttamento dei popoli che dicono di voler aiutare. Per realizzare una giusta distribuzione del benessere nel mondo, i popoli dei paesi industrializzati devono abbandonare quello che oggi sembra un diritto irrinunciabile, cioè l'uso incontrollato delle risorse naturali, e noi economisti abbiamo la responsabilità di orientare i valori umani verso questo fine. Le situazioni storiche o geografiche non possono essere più invocate come giustificazione dell'ingiustizia.
Gli economisti hanno quindi di fronte un compito nuovo e difficile. Molti guardano alle attuali tendenze di aumento della popolazione, di impoverimento delle risorse naturali, di aumento delle tensioni sociali, e si scoraggiano. Noi dobbiamo rifiutare questa posizione e abbiamo l'obbligo morale di elaborare una nuova visione del mondo, di tracciare la strada verso la sopravvivenza anche se il territorio da attraversare è pieno di trappole e di ostacoli.
Attualmente l'uomo possiede le risorse economiche e tecnologiche non solo per salvare se stesso per il futuro, ma anche per realizzare, per se e per tutti i suoi discendenti, un mondo in cui sia possibile vivere con dignità, speranza e benessere. Per ottenere questo scopo deve però prendere delle decisioni e subito. Noi invitiamo i nostri colleghi economisti a collaborare perché lo sviluppo corrisponda ai reali bisogni dell'uomo: saremo forse divisi nei particolari del metodo da seguire e delle politiche da adottare, ma dobbiamo essere uniti nel desiderio di raggiungere l'obiettivo della sopravvivenza e della giustizia.
Tutto il potere al denaro
Ben conscio della responsabilità di queste affermazioni, lo studioso sottolineava gli aggettivi «internazionale» e «tutte», affermando tra l’altro che il fascismo «non è un movimento puramente reazionario, ma costituisce un amalgama tra emozioni "ribelli" e idee sociali reazionarie». Lasciamo naturalmente al sociologo, che spiegava la sua teoria in «Psicologia di massa del fascismo», la sua intera responsabilità, ma alcuni elementi, anche in questo rapido riassunto, sono evidenti anche oggi.
Il fascismo mussoliniano aveva, in effetti, un Credo; si basava su giuramenti; propugnava una sua mistica; aveva parole d’ordine come credere, obbedire, combattere, ed aveva divise, emblemi e riti che colpivano l’immaginazione e i sentimenti popolari (ovvero quelle masse di individui che secondo Reich hanno già il fascismo dentro di sé: ribelli e reazionari insieme). Il berlusconismo è diverso? È un fatto che, negli ultimi decenni, a partire dagli anni in cui ancora non era movimento politico ma solo un insieme di società di affari, ha avuto ed ha ancor oggi copiosi consensi, ha ottenuto i voti di vere masse di elettori.
Può essere che abbia in sé ribellione (non rivoluzione, che è cosa diversa) e insieme idee sociali reazionarie? L’egoismo e l’affarismo - in pratica, tutto il potere al denaro - appaiono chiaramente attraverso i mass media, peraltro aggrediti ogni giorno con l’accusa di essere prezzolati, mentitori e pregiudizialmente ostili.
Le espressioni berlusconiane «Forza Italia» e «Popolo della libertà» non indicano due partiti o movimenti con una ideologia fondante, sia pure di tipo mussoliniano, ma sono slogan adattabili a realtà diverse che vanno dallo sport al qualunquismo ovvero al mercato. È sempre più usata la frase «favorire i consumi». Il cervello, l’intelligenza, lo studio sono ai margini: si lavora e si è pagati per consumare. Altro che figli di Dio. La vita è la vita del consumatore, non dell’uomo pensante oltre che consumante. Lo spirito non è nemmeno ai margini: non se ne parla affatto. Intendo lo spirito sia in senso laico, sia religioso.
Perfino i colori dei seguaci di questi movimenti sono indicativi della mistica del berlusconismo: gli azzurri (che richiamano gli sport e quindi grandi masse di manovra) e la bandiera biancorossoverde attraversata dal loro slogan; ma anche il continuo riferimento alla «gente» in maniera indeterminata e l’inno «Forza Italia» cantato con la destra sul petto come in un rito religioso. Rari e d’occasione i richiami ai lavoratori, al popolo, ai cittadini, che erano invece d’obbligo nei partiti tradizionali, democristiano, socialista, comunista, repubblicano e liberale.
Il berlusconismo si manifesta quindi come ribelle e nello stesso tempo con idee sociali reazionarie? La spinta a spendere, non a lavorare per emanciparsi, cioè non a lavorare per essere ma a lavorare per consumare (che è un subdolo attacco ai valori del cristianesimo); le affermazioni del tipo «meno libertà in cambio di più sicurezza»; l’avversione per la democrazia parlamentare (lo notano anche eminenti politologi cattolici), il tentativo di restringere sempre più il numero dei partiti dell’opposizione, di limitare la libertà di cronaca dei mass media e di non concedere ai cittadini il diritto di scelta sulle schede elettorali: tutto questo è fascismo?
Mario Pancera
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