È appena trascorsa la Giornata della Memoria, ricca, come ogni anno, di commemorazioni e appuntamenti da più parti. Memoria dovuta si è detto, perché chi non ricorda il passato non può costruire il presente, perché per edificare il futuro serve conoscere il passato. Tutto vero. Ma la memoria recente deve essere memoria presente. Deve essere memoria di quel che ci accade attorno, deve essere memoria che non solo commemora ma agisce, che non si limita a ricordare i genocidi di ieri ma affronta quelli di oggi, che non si placa nella narrazione di storie passate, ma si fa voce delle storie recenti, che ci parlano dei respingimenti e delle nuove barriere, dei rastrellamenti degli oggetti di valore dei profughi, di vagoni sigillati per evitare che i migranti scendano, di tatuaggi numerici in braccia migranti, dei palestinesi e delle loro terre occupate, dei siriani e delle loro fughe, dei musulmani e cristiani uccisi per il loro credo.
Abbiamo tante cose da tenere in mente e far memoria, non solo il 27 gennaio. Non necessitiamo di memorie convenzionali, istituzionali, burocratiche che lavino la coscienza di un Occidente incapace di imparare dal passato, di accogliere gli “ebrei” odierni, di vaccinarsi, una volta per tutte, dalla banalità del male. Ci sarà chiesto dove eravamo mentre tutto accadeva nel nostro tempo, un tempo in cui non si può più dire «non sapevamo, non eravamo al corrente». Ci chiederanno conto della nostra credibilità, in un tempo in cui commemoravamo il passato, facendoci scivolare addosso il presente, mostrando, ancora una volta, di non aver mai imparato quella pagina di storia da cui, diceva Primo Levi, non dobbiamo mai togliere il segnalibro.