Tre giorni fa uscendo da una classe a fine mattinata, ho avuto modo di scambiare quattro parole con il bidello che si accingeva alle pulizie.
“Siamo messi male, non c'è niente di buono da aspettarsi da questi ragazzi!” “Effettivamente sono maleducati e non sono capaci di un dialogo e di un confronto serio: ma devono ancora crescere! Quando arrivano in quinta (anche se non tutti) sono diversi: la scuola e la vita li hanno un po' formati!” “Mah! Non mi pare proprio: il nostro futuro non lo vedo roseo. La nostra vecchiaia non è in buone mani!”.
Tornando verso casa, più di altri giorni il mio esame di coscienza è stato centrato sui ragazzi, sul lavoro di noi insegnanti, sulla società più in generale e sulle nostre relazioni sociali.
Non nascondo che la mancanza di speranza nelle nuove generazioni espressa dal mio bidello mi aveva toccato nel vivo: sono cosciente che l'attuale crisi culturale e poi sociale e d economica richiede persone forti, integre, motivate, disposte al sacrificio, capaci di creatività e di generosità e non mi pare di vederne molte!
In particolare vedo molti giovani, come gli adulti, lontani dalla partecipazione sociale, dal ritenere che sia possibile il confronto con altri, che sia indispensabile quell'ordine sociale e quella disciplina relazionale che sono la premessa di qualunque convivenza civile.
L'individualismo imperante nella nostra società ha prodotto incapacità di condividere la vita e le esperienze per tempi lunghi, l'interesse verso le relazioni sociali è “fast” e ha continuamente bisogno non di rinnovarsi ma di cambiare relazioni! Nei giovani vedo come risposta per organizzare qualcosa di sociale (e la lezione è qualcosa di sociale) solo l'autoritarismo e il ricorso al ricatto (cioè alla violenza).
In queste ore la Chiesa Cattolica ricorda il cinquantenario della indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II e le parole di Giovanni XXIII nel Discorso inaugurale mi vengono incontro con calore e con forza: “...ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.
4.3. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.
4.4. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa.”
Sì, mi sento di dover dissentire da quei profeti di sventura che vedono solo le cose che accadono nel loro orticello e si preoccupano perchè le loro visioni del mondo, spesso statiche e infeconde, vengono messe in crisi.
La crisi attuale è sicuramente dura, e difficilissima soprattutto per i più poveri del mondo occidentale, ma è anche un segno dei tempi che spingono ad un riequilibrio delle risorse nell'intero pianeta.
E' il tempo, nella precarietà, di riaprirci, di aprire le porte del nostro cuore, della nostra mente, del nostro coraggio: per non pretendere ma per accontentarsi e ridistribuire, una nuova alba si presenta dietro questa notte e a noi tocca essere le sentinelle del mattino.
Nel 44° della morte di Aldo Capitini, profeta italiano della nonviolenza, una sua frase:”«Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una società che sarà perfettamente nonviolenta... a me importa fondamentalmente l'impiego di questa mia modestissima vita, di queste ore o di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione».
Non è il tempo di grandi progetti ideologici o di rivoluzioni, ma (forse come sempre) è il tempo di tirarci su le maniche e, ciascuno nel proprio spazio, fare tutto il suo possibile per trasformare il proprio mondo: il mondo!
Il
17 ottobre 2012 è Giornata Internazionale per l'eliminazione della povertà: “La giornata si celebra con l'obiettivo - concordato da tutti i Paesi del mondo - di dimezzare entro il 2015 la percentuale delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno e la percentuale di coloro colpiti dalla fame. L'ONU ricorda che è necessario operare per liberare i popoli dalle abiette e disumane condizioni di estrema povertà, a cui sono attualmente soggetti oltre un miliardo di persone.
Difatti approssimativamente 1,2 miliardi di uomini e donne lottano per sopravvivere. All'incirca 840 milioni soffrono il doloroso morso della fame e, di conseguenza, muoiono ogni giorno 24.000 persone, molte delle quali bambini.
Un mondo che non si avvia verso gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, un mondo infangato dalla piaga della fame, dalla prevalenza delle malattie e dalla disperazione causata dalla povertà, non sarà un mondo in pace.
In questa giornata, mentre ricordiamo il legame tra la povertà e la fame, pensiamo anche al legame tra lo sviluppo e la pace. E in questo spirito, lasciamo che sia i ricchi sia i poveri si impegnino nuovamente a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio "(Kofi Annan)
Un obiettivo che gli Stati fanno fatica a raggiungere, avvitati su loro stessi, con i politici appassionati solo del potere e con i popoli alla ricerca spasmodica del loro interesse corporativo: non è il tempo di buttare via tutto ma il tempo di fare come il saggio che sa cogliere dalla propria esperienza le cose buone e non ha paura di sperimentare con coraggio là dove c'è ingiustizia e oscurità vie nuove.
Non aspettiamo che siano gli altri a fare, non abbiamo paura se solo “io mi sacrifico”, non aspettiamo che gli altri facciano il primo passo.
Il mondo ha bisogno di un uomo coraggioso che crede con le opere nella giustizia, nel dialogo, nella solidarietà, nella pace.
A me, piccolo uomo, il compito di essere operaio della pace nella solidarietà e nella giustizia, rimanendo piccolo uomo.
Preghiera dei fedeli
composta dal P. Joseph Wresinski, recitata a Notre-Dame de Paris, il 17 ottobre 1987, e dal Papa Giovanni Paolo Il assieme alle famiglie del Quarto Mondo a Castel Gandolfo, il 27 luglio 1989, e con i giovani al Trocadero a Parigi, il 21 agosto 1997
Per i milioni di bambini piegati dai morsi della fame
che hanno perso il sorriso ma vogliono ancora amare.
Per i milioni di giovani che, senza un motivo per credere o esistere,
cercano invano un avvenire in questo mondo insensato.
Noi ti preghiamo. Padre,
manda operai per la Tua messe.
Per i milioni di uomini, di donne, di bambini,
con cuori che battono ancora forte forte per lottare,
il cui spirito si rivolta contro la sorte ingiusta loro imposta,
il cui coraggio esige il diritto all’inestimabile dignità
Noi ti preghiamo. Padre,
manda operai per la Tua messe.
Per i milioni di bambini, di donne. di uomini
che non vogliono maledire,
ma amare e pregare, lavorare ed unirsi,
perché nasca una terra solidale.
Una terra. la nostra terra,
dove ogni uomo dia il meglio di sé stesso
prima di morire.
Noi ti preghiamo, Padre,
manda operai per la Tua messe.
Perché tutti quelli che pregano
trovino ascolto presso Dio e ricevano da Lui
la forza di eliminare la miseria da un’umanità
fatta a Sua immagine.
Noi ti preghiamo, Padre,
manda operai per la Tua messe.