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"Todo despareciò: cambiò la suerte

voces alegres en silencio mudo:

mas aun el tiempo da en estos despojos

espectaculos fieros a los ojos:

y miran tan confusos lo presente,

que voces de dolor el alma siente"

(Rodrigo Caro, Cancion a las ruinas de Italica, vv. 29-34)

Gli eventi si susseguono rapidi fra il confine di terra turco-greco e la striscia di mare che separa l’Anatolia dalle isole dell’Egeo. Il burattinaio Recep Tayyip Erdogan usa come pedine i milioni di rifugiati presenti sul suo territorio, bloccati dallo scellerato accordo del 2016 siglato proprio con le istituzioni europee, al prezzo di sei miliardi di euro pagati ad Ankara da un’Europa terrorizzata dall’idea di fare la propria parte nell’accogliere alcune decine di migliaia di disperati in fuga dal dramma siriano, dal buco nero afgano, dall’Iraq senza futuro.

Il segno dei tempi più inquietante e invasivo di questi tempi dolenti è che il governo ha proibito i baci. Povero san Bernardo con i suoi nove sermoni sul bacio! E il Cantico dei Cantici!
Dall’emergenza virus che ha colpito il mondo e affligge l’Italia dobbiamo tuttavia ricavare, insieme al lutto, moniti e conferme che sarebbe colpevole ignorare.

La prima conferma è che ormai, al di là di tutte le preziose diversità di nazioni, di stirpi, di Stati, di colore, di cultura, di religione, di lingua e di sesso, c’è un solo popolo della Terra, c’è l’evidenza di una sua unità di origine e di destino, c’è la sua soggettività o persona collettiva che è in gioco.

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