L'Italia entrerà in guerra contro il Califfato musulmano utilizzando i suoi quattro aerei Tornado di stanza ad Abu Dhabi per bombardare le posizioni dell'Is in Iraq? O si tratta soltanto d'un cambiamento delle regole di ingaggio dei nostri avieri? Quale che sia il modo di gestire la questione, il nostro premier vuole che sia il Parlamento a decidere, quindi lui la vede come un atto di guerra vero e proprio perché questo gli torna utile.
Se infatti l'Italia entra in guerra acquista con ciò il diritto di partecipare a pieno titolo alle riunioni dei Paesi che in quella guerra ci sono già, sia pure con ruoli diversi e talvolta conflittuali: Usa, Russia, Turchia, Francia, Siria, Iraq e dunque anche Italia. Renzi vuole un ruolo internazionale e in questo caso lo avrebbe.
Gli basta? No, non gli basta. Lo vuole anche in Libia. Non più come negoziatore dell'accordo tra Tobruk e Tripoli, ormai realizzato dall'incaricato dell'Onu che ha lavorato per cinque mesi al fine di ottenerlo; ma come protettore, una sorta di Lord Protector in posizione dominante per la distruzione dei pescherecci e dei barconi utilizzati dagli scafisti e dai mercanti di uomini, l'allestimento di centri di raccolta in territorio libero e l'eventuale intervento nei Paesi di partenza dei migranti nell'Africa sub-sahariana.
Se questi sono gli obiettivi, il ruolo dell'Italia cambierebbe di colpo, sia all'Onu, sia in Europa, sia nella Nato; i rapporti con Obama si farebbero più stretti, altrettanto quelli con Juncker, presidente della Commissione europea, e con Putin. Insomma: uno statista di livello mondiale che del resto - pensa lui - l'Italia merita essendo stata una dei cinque fondatori della Comunità europea che nacque col Trattato di Roma del 1957 dal quale l'Unione prese l'avvio.
Naturalmente queste varie iniziative con le quali Matteo Renzi sta costruendo il suo podio costano soldi. Non pochi. Ma di quest'aspetto finora non si è parlato.
AVRANNO un peso reale sulla situazione migratoria e sul Califfato? Nessuno. Le dimensioni di quella guerra aumentano di giorno in giorno e si diffondono in tutto il mondo. Giorni fa ci furono attentati in Bangladesh, a migliaia di chilometri dal Califfato, Stato islamico. Ma ieri due kamikaze si sono fatti esplodere nella stazione centrale di Ankara provocando una strage di almeno cento morti e centinaia di feriti, il massacro più grande che sia avvenuto in questi anni e in un Paese appartenente al tempo stesso al mondo islamico, all'Europa, governato da un presidente autoritario, impegnato in una guerra civile che data da decenni con i curdi. Per ora la strage non è stata ancora rivendicata, ma Erdogan e i curdi si rimpallano le accuse.
Questa è la vera guerra che si intreccia con quella siriana mentre nel frattempo si è riaperto il conflitto tra Israele e Hamas, sempre più cruento da Gaza alle rive del Giordano.
L'Europa è al margine di questi eventi, non ha forze armate proprie, non ha una po-litica estera comune, quindi non è un soggetto attivo, ma dal punto di vista di soggetto passivo è fortemente sotto schiaffo. E l'Italia è anch'essa soggetto passivo. Potrebbe diventarlo ancora di più perché Roma è Roma. Le iniziative puramente figurative del nostro presidente del Consiglio valgono ben poco sul terreno ma possono - se passeranno in Parlamento - stimolare l'attuazione di attentati in un Paese che è la sede del Pontefice.
Naturalmente sono stati già presi in proposito opportuni provvedimenti di sicurezza ma il progetto di Renzi va avanti perché egli coltiva il disegno di essere un nuovo Cavour, quello che mandò i soldati piemontesi a combattere in Crimea per guadagnarsi la stima dell'Europa e della Francia di Napoleone III, con il fine di portare avanti l'obiettivo dello Stato italiano.
Renzi è dunque il successore di Cavour? Forse lo è di Berlusconi e nel frattempo ha adottato Verdini. Siamo alquanto lontani da Camillo Benso, da Garibaldi e da Mazzini.
*** Nelle pagine del nostro giornale ci sono oggi servizi approfonditi sui vari aspetti della situazione in Medio Oriente, di Bernardo Valli, Adriano Sofri, Marco Ansaldo ed altri colleghi in varie zone collocati. Non ho quindi nulla da aggiungere salvo una considerazione sui protagonisti di questa vicenda che impegna il mondo intero per le sue ripercussioni non soltanto politiche ma anche sociali ed economiche, sulle materie prime, sui flussi migratori, sulle religioni.
Ebbene, esaminando tutti questi intrecci di interessi, valori, fedi religiose, fondamentalismi, cupidigie di potere ma anche desideri di libertà, di eguaglianza, di diritti, di solidarietà, a me sembra che i protagonisti siano tre: Obama, Putin, papa Francesco.
Il Presidente Usa ha in animo un obiettivo: in un mondo multipolare vuole che l'America indichi qual è la musica da suonare e il suo ritmo, ed è l'America il direttore d'orchestra che coordina i vari strumenti. È chiaro che gli strumenti sono diversi tra loro, alcuni più importanti di altri e c'è lo spazio anche per i solisti di importanza tale da essere equiparati al direttore dell'orchestra, ma è sempre lui a dare l'avvio perfino al solista e a guidare con la sua bacchetta il gran finale. Questa è la funzione che Obama assegna agli Stati Uniti e la missione affidatale è quella della pacificazione, del progresso civile e ovviamente del ruolo americano.
Putin è consapevole che dirigere l'intera orchestra e scegliere il testo da suonare non è compito suo. Perfino ai tempi dell'Urss e del mondo diviso in due da contrapposte ideologie, l'impero americano era molto più vasto di quello sovietico che non poteva far blocco neppure con lo Stato comunista cinese.
Putin non ha più una ideologia da usare come strumento politico, né un'economia potente che lo sostenga, anzi versa in condizioni economiche estremamente agitate. Non ha neppure una forza militare importante come quella che gli Usa sarebbero in grado di allestire in caso di necessità. E tuttavia gioca con coraggio e grande abilità la sua partita in Europa e in Medio Oriente.
In Europa vuole circondare le sue frontiere con una cintura di Stati neutrali che corrisponde più o meno a quelli dominati (con fatica) dall'Urss. Il caso ucraino è il più significativo, ma non è il solo.
In Medio Oriente lo "zar" vuole potersi affacciare sulla sponda mediterranea ed aver voce economica e politica anche su quello scacchiere. La Crimea era fondamentale per la presenza russa nel Mar Nero, ma il Mediterraneo è ancora più importante per ovvie ragioni e la presenza dei russi in Siria è motivata soprattutto da questo scopo: attrezzare nel Mediterraneo una base che non sia soltanto - come già è - un porto d'attracco, ma una presenza economica del genere di quelle che ebbero nel Rinascimento le basi commerciali delle Repubbliche marinare italiane e di Venezia in particolare.
Questo vuole Putin, che sa tuttavia di dover stipulare un accordo con gli Usa e con Obama in particolare perché chi tra un anno gli succederà non è detto che conceda alla Russia il ruolo di comprimario che Obama, pur cercando di limitarlo, è comunque disposto a riconoscergli. L'accordo tra i due sarà raggiunto nei prossimi giorni e non sarà certo un intralcio la posizione di Assad che di fatto rappresenta un punto di passaggio d'una mediazione quanto mai necessaria.
Il terzo protagonista, papa Francesco, si muove su tutt'altre dimensioni, non politiche ma religiose. La sua visione religiosa tuttavia è talmente rivoluzionaria da esercitare effetti politici rilevanti dei quali Francesco è perfettamente consapevole.
La dichiarazione - il nocciolo della predicazione papale - che Dio è unico in tutto il mondo anche se viene descritto e declinato dalle varie confessioni attraverso le sacre scritture diverse tra loro, è un punto di fondo con conseguenze politiche estremamente importanti. Il Dio unico esclude ogni fondamentalismo e punta invece su un proprio Dio e lo contrappone a quello degli altri. Il terrorismo del Califfato musulmano con i suoi kamikaze che sacrificano le loro giovani vite pur di ammazzarne altre, è una mostruosa derivazione del fondamentalismo del quale il Dio unico di Francesco è la più assoluta negazione.
Il Papa nella sua visione moderna della Chiesa esercita anche molti altri effetti positivi sull'orientamento politico dei popoli e delle loro classi dirigenti, ma quello principale a tutti gli effetti è appunto la religione dell'unico Dio. La platea di Francesco è il mondo intero ma soprattutto l'America del Sud, l'Africa, il Medio Oriente, le isole indonesiane, la Polinesia, le Filippine. India e Cina sono continenti più remoti rispetto ad un Papa cristiano che infatti punta a mano tesa anche su quegli Stati continentali. Nell'India meridionale ha già messo piede entrando in contatto con milioni di persone.
Senza Francesco, comunque, il nostro mondo e la nostra modernità sarebbero estremamente più poveri. Per tutti, non credenti compresi. Lui, pur essendo portatore della fede che interamente lo possiede, è il Papa più laico della storia cristiana. Lo sa e non se ne duole. Una massa di credenti è anche laica poiché è consapevole del libero arbitrio e lo usa con responsabilità così come allo stesso modo lo usa il laico non credente.
Purtroppo accade anche che credenti e non credenti usino il libero arbitrio nel modo peggiore. Ne abbiamo sotto gli occhi gli esempi più efferati o più stupidi e francamente non saprei dire quale dei due esempi è più faticoso da combattere e da sopportare.
Fonte: La Repubblica del 11.10.2015
Segnalato da Tavola della Pace e della Cooperazione