Desideravo semplicemente aggiungere una breve nota al filmato che (ohps..) una nota rivista rock francese aveva mandato in rete e che mostrava una riunione di alcuni redattori di Charlie Hedbo, poi uccisi.
Volevo aggiungere una breve considerazione. Lo faccio, per altro, dopo aver presentato a Milano un libro che ho curato e tradotto di Fethi Benslama, psicoanalista franco-tunisino, sull’integralismo islamico (E’ quello cui accennava Cupini in una precedente mail). Sala affollata, era la Casa della Cultura (luogo storico dell’intellettualismo di sinistra milanese), ma il dibattito mi è parso spesso caotico, frastornante. A mio avviso, per lo meno.
Vengo al punto. Ho inviato quelle immagini di CH perché mi parevano contenessero una loro leggerezza, nell’accezione calviniana del termine. Una leggerezza laica, mi verrebbe da aggiungere e che mi sembrava il caso di sottolineare. Ironica, serena e, forse, invitante a non prendersi troppo sul serio. Era una leggerezza che mi sembrava, ma questo potrebbe essere un mio problema personale, risultare a posteriori ancor più sconvolgente allorché confrontata con la violenza della morte che aveva colpito quelle persone. Può darsi che la morte sia sempre violenta, ma, così improvvisa, così brutale, mi pareva depositasse su quell’immagine la nostalgia di qualcosa di irrimediabilmente perduto che rappresentava una brutalità più feroce delle foto comparse sui mass media…
Ancora, mi spiego meglio. Aggiungevo a quel filmato l’affermazione che la libertà non è un dono.
E’ qualcosa di troppo prezioso perché qualcuno la possa regalare, tranquillamente. Occorre averne ura sia contro chi non la tollera sia contro chi, mi si passi il termine, la sperpera. La vicenda di CH è, da questo punto, tragicamente emblematica, sintomatica dei tempi che viviamo. E cioè:
la libertà acquista un senso e una ragione unicamente rapportata a una dimensione, quella del limite.
L’assenza del limite è la follia, e di conseguenza la scia di morte che si porta appresso.
Ciò riguarda, credo, ciascuno e tutti. Specie in un’epoca, di fatto, laicizzata, dopo che Nietzsche (folle a sua volta) aveva proclamato: Dio è morto.
Che fare, dunque? Il timore di Dio è la fonte di sapienza, recita la Bibbia. Dostoevskii fa dire a un Karamazov: “Se Dio è morto, tutto è permesso”. Saggiamente Lacan ribatte: Se Dio è morto, niente è permesso.
Prima considerazione: la satira è parte integrante e irriducibile del pensiero laico. Il riso appartiene alla sua tradizione, costituisce il cuore stesso dell’antidogmatismo proprio alla tradizione occidentale. In quanto tale è democrazia in atto. Non condivido tuttavia quando CH si proclama una rivista “irresponsabile”. Un atto pubblico non può essere tale, cioè ignorare le conseguenze che genera. O, in altre parole, non saperne della dimensione del limite, cioè dell’esistenza degli altri. Un atto pubblico è un atto politico; un atto libero è un atto responsabile. Altrimenti è solo una provocazione, fine a sé stessa. Il caso di Van Gogh, non il pittore! o, passando su un altro terreno, quello delle Pussy Riot a Mosca sono provocazioni fini a sé stesse. Il nichilismo non è meno devastante delle manifestazioni a cui pretende di opporsi.
Seconda considerazione: credo che valga la pena di interrogarsi su cosa si cela dietro le insegne delle religioni. Siamo onesti: non stiamo qui parlando di sottili dispute teologiche. Magari…
Il problema è invece cosa nasconde o copre il riferimento alla religione, quali passioni, quali furori, quali fantasmi. Insomma, di cosa stiamo effettivamente parlando! Chi brucia, ammazza, brutalizza… In nome di chi? Per conto di quale “dio”? E’ una questione religiosa o riguarda piuttosto l’inconscio, il patologico o…
Uno dei terroristi parigini uccidendo una vittima pare abbia intimato: “leggi il Corano!”. Una massa di criminali in Nigeria, che fa strage di cristiani, inalberando cartelli “Je ne suis pas Charlie”! Tra parentesi, non sono mai stato in Nigeria, ma nelle mie ormai abituali frequentazioni in quel continente (Congo e Camerun) non hoi visto una libreria, un sacco di chiese di ogni genere, moschee…
E ancora: non ho poi particolarmente apprezzato l’associazione di Papa Francesco della religione con la madre (era pur sempre una battuta, un Witz avrebbe detto Freud, ma proprio per questo l’inconscio ci mette lo zampino!)
Si sa, d’altronde, senza essere psicoanalisti, quali sono le accuse che altri indirizzano alla propria madre. Le solite; nell’adolescenza capita se ne faccia esperienza. La madre, per farla breve, non è santa, ma…
Nel suo “Mestiere di vivere “, Cesare Pavese afferma che su cento donne, novantanove sono (diciamola così, lui è più crudo) di pessima reputazione. E’ probabile che la madre sia l’unica esclusa dal gruppo. La canzone d’antan “Profumi e balocchi” rende bene l’idea…
Ora, il Corano è il Corano, ivi compreso il modo in cui si tende a leggerlo, cioè alla lettera. Paolo di Tarso sosteneva, a ragione, che la lettera uccide… Il testo coranico è d’altronde alquanto aggrovigliato e tutt’altro che lineare (per usare un eufemismo) e, di fatto, costruito a posteriori dal lavoro di raccolta e trascrizione delle massime del profeta organizzato da Othman, il terzo califfo succeduto a Maometto. Quando Omis Safi nella sua mail parla del “suo” Maometto, di cosa parla in effetti? Del suo specchio narcisistico? Di cosa…? Il Corano è così ampio e liberamente articolato che ciascuno può facilmente reperirvi un versetto che gli si confà, come talvolta il suo contrario… La stessa storia di Mosè e Gesù, nel Corano, la trovo poco o nulla convincente. E’ più il tentativo di accreditarsi una genealogia religiosa, un’origine riconosciuta che altro, in verità… Accade anche per altri saperi, in altri campi… E’ lo sforzo di radicarsi in una storia precedente, di cercare un padre o dei padri… Accade anche con il cristianesimo nel parallelo tra Gesù e Mosè. Ciò è ben esplicito, per altro, nell’intenzionalità didattica che anima il vangelo di Matteo.
Che poi il Gesù “coranico” abbia qualcosa realmente a che vedere con il Gesù “evangelico” è tutt’altra cosa! Vedasi a riguardo il testo “Vita di Gesù secondo le tradizioni islamiche” (Sellerio 2002). E si potrebbe continuare….
La società occidentale si sviluppa attorno a un principio di separazione, dalla tragedia greca a Tommaso d’Acquino e implicitamente, di solitudine. Divisione tra l’uomo e dio, tra il singolo e la comunità, tra l’enunciato e l’enunciazione, tra l’uomo e la donna, tra ragione e fede e così via. Lo stesso grandissimo (a mio parere) Bonhoeffer , una delle figure più luminose del Novecento, divide fede e religione, criticando l’idea del dio tappabuchi… ( Piccolo polemico inciso. Come diavolo si fa ad accostarlo a Al-Gazali?)
Dunque, l’islam e in particolare la sua ideologia comunitaria sino a che punto tollerano la differenza, la critica? E dunque il limite? La comunità che, in quanto tale, non può sbagliarsi… In arabo, si dice “umma” che deriva dal termine madre… E la comunità, per definizione, è un’istituzione che non può sbagliare. Già Antigone, e io con lei, non sarebbe d’accordo. Ma, mi fermo qui. In definitiva, quale rapporto esiste tra Islam e democrazia? Data la stretta congiunzione tra religione e politica presente nel discorso musulmano, la democrazia metterebbe in crisi la stessa religione? Chi osa dichiararsi non credente, ad esempio, in uno stato musulmano? Interessante è il testo di un giornalista, non certo di destra come Renzo Guolo – L’Islam è compatibile con la democrazia? (Laterza, 2004)
Terza considerazione: non c’è libertà se non c’è la possibilità di pensare di dire, di chiedere “perché”? Solo il folle sa già tutto, senza chiedere prima, senza aver bisogno di sapere. Non c’è libertà senza la possibilità di tracciare differenze (Che possono anche essere diffidenze! … Non è obbligatorio volersi bene, l’importante è non odiarsi!), senza che questo susciti scandalo.
Trovo irritante il timore di offendere che ossessiona le menti di insegnanti, docenti, operatori assillati dalla preoccupazione del politicamente corretto. Che noia! Schiacciati da una sorta di cattiva coscienza occidentale, da un paternalismo post coloniale, sono disposti a immolarsi in una difesa acritica dell’altro, comunque e a prescindere… Una beatificazione, una giustificazione a priori! Gettando tutto nel calderone, relativizzando ogni conoscenza e ogni etica. E, soprattutto, dimenticando quel che la conquista della libertà è costata al cosiddetto occidente.
Dalla maestra che evita di esporre il presepe per non offendere la sensibilità del piccolo musulmano, al sacerdote che dice che il Vangelo e il Corano si assomigliano, al docente che dice che però anche Kant aveva i suoi limiti… Al politico di estrema sinistra che mi indottrina informandomi che sì il burqa, ma anche le nostre suore sono vestite di nero.
Insomma, tutto dentro l’indifferenziato, un po’ alla rinfusa. Perché tutto è uguale a tutto! E, dunque, niente palesa una differenza o , orrore!, una diversità qualitativa! Chi osa sostenerlo? Personalmente io non creo che:
a) tutti gli individui abbiamo uguali dignità,
b) non tutte le culture siano uguali, abbiano lo stesso peso, la stessa valenza. Così come un romanzo di Amos Oz non ne vale uno di Fabio Volo, poi ci sarà gente che legge di più (e a cui piace maggiormente, i gusti sono incontestabili…) il simpatico e arguto bresciano, ma questo è un altro paio di maniche,
c) l’illuminismo rappresenta un punto d’arrivo universale, nella storia dell’uomo. I Vangeli costituiscono, a mio avviso, un testo illuminista, uno dei primi.
Aggiungo, ciò non significa che la ragione vada idolatrata. Vedasi a riguardo il celebre e benefico classico di Adorno e Horkhemeir – Dialettica dell’illuminismo. Il talmud insegna: impara a dire non so.
E per farla breve: la fissazione dogmatica, il culto acritico della tradizione, la costipazione identitaria, la lettura letterale di un testo non sono un’offesa all’intelligenza? Se gli assassini di Parigi avessero letto qualche libro in più dubito che avrebbero fatto quello cha hanno fatto…
Quarta considerazione: Martini, se non erro, proponeva una distinzione tra pensanti e non pensanti. Ma pensare significa potersi chiedere perché e sapere che in ogni supposta conoscenza esistono dei buchi. La libertà è l’insicurezza. Evitando i fanatismi totalitari e il nichilismo devastante che abitano questi cupi tempi saremmo in grado di proteggerla? Può esistere la libertà senza il sentimento dell’alterità dell’Altro? E, dunque, dei limiti che circoscrivono sia il mio essere che quello dell’altro? Per la tranquillità dei buonisti occorre rammentare che i primi insediamenti collettivi sono opera di Caino. Chi ci difenderà dunque da noi stessi? Dalla delirante o faziosa incomprensione che ci ha sempre divisi ma che, in taluni momenti della storia (e questo potrebbe essere uno) diventa devastante? Non l’irresponsabilità di CH che pure difendo né la rigidità degli ottusi ideologi a buon prezzo o dei religiosi assetati di sangue… Dice una narrazione religiosa ebraica : “Dio nel giardino dell’eden inventò una sola cosa : il punto interrogativo. Tutto il resto è idolatria”. C’est tout.
Angelo Villa
I fascisti nella guerra civile spagnola inalberavano il loro macabro slogan. “Viva la morte!”. Concludo con dei versi di Ungaretti (era nato in Egitto, per altro) : “Qui/Vivono per sempre /Gli occhi che furono chiusi alla luce/ Perché tutti /Li avessero aperti/ Per sempre/Alla luce”. ( Per i morti della Resistenza)
Gennaio 2015
Fonte: Angelo Cupini - Comunità di via Giaggio (Lecco)