Una preoccupante deriva bellicista sembra avere pervaso la politica italiana. Messi in fila, tre provvedimenti delle ultime settimane sono il sintomo delle nuove priorità di Parlamento e Governo.
Si è cominciato con l’ordine del giorno alla Camera sull’adeguamento delle spese militari al 2% del Pil. L’accordo in sede Nato per l’innalzamento delle spese militari risale al 2014. Dopo aver resistito alle pressioni dell’amministrazione Trump per il rispetto dell’accordo, poche settimane fa i deputati, a larga maggioranza, hanno impegnato il governo a stanziare 13 miliardi in più all’anno di risorse destinate ad un settore che non conosce tagli. Mentre si attende di capire se la nuova spesa sarà finanziata a debito, con nuove imposte o riducendo altri capitoli di bilancio, è già chiaro che con i nuovi target la spesa militare sarà superiore a quella per contrastare la povertà e che mentre gli impegni con la Nato si rispettano, quelli in sede Onu per portare i fondi per la cooperazione internazionale allo 0,7% del Pil possono attendere come hanno atteso negli ultimi 25 anni.
Non è tutto. È di fine marzo il Dpcm, firmato da Draghi e dal Ministro della Difesa Guerini, che ha sancito la costruzione di una nuova base militare che a Coltano (Pisa), in un’area adiacente alla base americana di Camp Darby, occuperà 40 ettari del parco regionale di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli. L’opera, destinata alle forze speciali dei Carabinieri Paracadutisti del Tuscania verrà realizzata nella cornice giuridica e economica del PNRR: procedure semplificate, niente vincoli ambientali e soldi certi: quelli con i quali l’Italia, nel segno della transizione ecologica, avrebbe dovuto avviare la ripresa economica dopo la pandemia.
Anche la memoria storica del Paese viene ribaltata in nome delle nuove prospettive militari. Una legge approvata pochi giorni fa ha istituito, senza alcun voto contrario, la “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini”. Tanti epodi testimoniano quanto gli Alpini meritino questo tributo: dal loro generoso servizio in occasione di tragiche calamità alle operazioni di peacekeeping sotto l’egida dell’Onu, come quella in Bosnia. A stonare è la data scelta: il 26 gennaio, anniversario della battaglia di Nikolajewka del 1943, che smette di essere l’emblema della sciagura politica e militare del fascismo, che inviò in Russia i poveri soldati dell’Armir a combattere una guerra di aggressione finita con la tragica ritirata, e diventa la data finalizzata, tra l’altro, a “promuovere i valori della difesa della sovranità (sic) e dell’interesse nazionale”.
Ad un’opinione pubblica preoccupata per l’invasione dell’Ucraina e, a quanto pare, nemmeno troppo in sintonia con gli indirizzi del governo su quella crisi, si sta trasmettendo l’idea che la prospettiva storica e politica dell’Italia che “ripudia la guerra” come suo elemento costitutivo viene sostituita da una condizione di Paese armato, la cui normalità è la convivenza con il conflitto. (d.t.)