Provo, forse anche nel tentativo di fare chiarezza in quel magma di dubbio nel quale mi trovo, ma che sicuramente preferisco alle facili certezze che leggo di qua e di là.
Alcune premesse sono necessarie, proprio per evitare fraintendimenti.
La prima riguarda il mio punto di vista, che non è neutrale, ma è quello di uno che si è sempre sentito vicino al Movimento Nonviolento fin da quando si è dichiarato obiettore di coscienza: un punto di vista, tuttavia, che non ho mai abitato con le rigide certezze, ma che invece mi ha sempre abituato ad affrontare le situazioni e i conflitti sapendo che questi, anche quando appaiono facili ed evidenti, sono sempre materiale complesso, che non può essere risolto con semplici scorciatoie: sopratutto sono una tragedia, un dramma, una terribile sequenza di schifezze.
La seconda premessa riguarda la situazione attuale, nella quale mi è ben chiaro come esista un aggressore, il governo russo (preferisco pensare che tale scelta non è frutto della mente di una sola persona o di un popolo), e un aggredito, il popolo ucraino. Non solo anche la consapevolezza, non di adesso, che i goveranti russi sono un regime totalitario e imperialista.
La terza ed ultima premessa si riferisce al fatto che sia convinto come l'obiettivo della maggior parte delle persone e e degli studiosi voglia la pace (non tutti perché vi sono settori che puntano alla escalation militare per interessi precisi, economici e di influenza geopolitica).
Il punto di distinzione è come raggiungere questo obiettivo e a quale prezzo.
Il diritto sacrosanto del popolo ucraino di chiedere di essere sostenuto nella sua resistenza, deve fare i conti anche con la necessità di stare dentro a questo dramma con razionalità e comprendere anche che tipo di resistenza debba essere sostenuta.
Vorrei ricordare che fin dalla nostra esperienza contro il nazi-fascismo la resistenza non è mai stata solo ed esclusivamente un fatto militare e armato, ma ha investito settori diversi della popolazione e opposizioni diversificate, che hanno fatto si che dietro a quella lotta non vi fosse la semplice logica di contrapposti militari, proprio perché nasceva da un'idea di nazione e di solidarietà, ma anche di quale mondo potessimo costruire, un insieme di valori condivisi, che hanno prodotto proprio quella Costituzione che qualcuno vorrebbe smantellare anche nella parte di “condanna” della guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali.
Quindi il punto è il confronto su come costruire la pace e su quali sono gli obiettivi che ci prefiguriamo come comunità internazionale.
In questo senso gli approcci possono essere diversi, talvolta opposti, ma veramente non sopporto più la ridicolizzazione del pensiero nonviolento, il ridurlo ad un pacifismo da sacrestia se non alleato dell'imperialismo russo.
Una nazione aggredita si deve difendere, non voglio certo mettere in discussione questo, e le forme con cui si vuole difendere le sceglie da sola. Però anche il resto del contesto internazionale deve valutare autonomamente e razionalmente come porre fine a quel conflitto.
Entrare nel conflitto per cercare una soluzione richiede capacità di sapersi muovere e al tempo stesso capacità di inquadrare quel conflitto non semplicemente nell'effetto immediato, ma in quello che c'è stato prima e quello che potrà essere dopo: partendo dalla storia di quelle terre, di quei popoli, comprendere le scelte che andiamo a fare che mondo futuro disegnano.
Io non credo che si sia fatto questo sforzo.
Puntare ad una soluzione militare fornendo armi agli ucraini è sicuramente una risposta a quello che loro chiedono, credo tuttavia che alcune domande dobbiamo farcele e al tempo stesso dobbiamo pensare il significato assunto dal governo russo e la reazione: sarebbe puerile pensare che l'occidente appoggi una parte in causa e tutto questo non determini una reazione da parte dell'altro contendente aggressore nei suoi confronti.
Io non sono e non voglio essere un esperto di tattica militare, tuttavia ho la netta sensazione che il governo russo, come già fatto in Siria ad Aleppo (allora non ci creava scandalo visto che era un nostro alleato contro l'Isis), non voglia impantanarsi in una guerra di campo, ma utilizzi la tattica dei bombardamenti a tappeto, facendo tabula rasa.
Fornire armi ad una resistenza armata significa quindi sicuramente bloccare l'avanzata dell'esercito russo sul campo, ma continuando una guerra fatta esclusivamente di massacri e distruzioni.
Alla fine forse la guerra finirà per esaurimento, nel senso che il governo russo si ritirerà, magari tenendosi pezzi di territorio, ma lasciando alle sue spalle un popolo distrutto e città inesistenti.
L'ipocrisia di fornire armi è proprio questa: far si che il governo russo ne esca distrutto logorato, indebolito, ma lasciando sul campo delle macerie. E' quella che in molti definiscono guerra per procura, nel senso che l'obiettivo principale non è la liberazione dell'Ucraina, ma l'indebolimento e la sconfitta del governo Russo.
La domanda è: tutti noi siamo convinti che sconfiggere il popolo russo tout court e non solo in Ucraina sia una scelta che va nella direzione della pace?
Così come la nostra resistenza armata, sostenuta da una resistenza civile diffusa, ha avuto un sostegno non indifferente dal fatto che gli alleati erano entrati in guerra direttamente ed erano presenti con i loro eserciti, una posizione di questo tipo secondo me richiederebbe la consapevolezza che, per aiutare realmente gli Ucraini, dovremmo entrare in guerra, fornendo copertura aerea navale e quanto altro: la terza guerra mondiale per l'appunto.
Ma se questa opzione ci inorridisce allora è inevitabile che si debba procedere per una soluzione diplomatica, appunto quella strada indicata dai movimenti nonviolenti e per la pace (non amo la parola pacifista, che è molto riduttiva), fin dall'inizio delle ostilità.
Una soluzione che veda prima un cessate il fuoco da entrambe le parti accompagnato da una volontà di sedersi ad un tavolo.
Ma un confronto diplomatico richiede che le parti – purtroppo non solo Russia e Ucraina, ma anche USA, Cina, Europa e NATO – inizino un confronto serio, che tenga conto delle atrocità successe in questa parte di conflitto, ma anche della realtà precedente di questi ultimi anni (che non è solo il Donbass, ma anche l'ampliamento della NATO) e di quanto vogliamo disegnare per il futuro, e sopratutto non puntino semplicemente a distruggere l'avversario.
E se questo è l'orizzonte fornire le armi significa semplicemente spostare nel tempo il momento in cui dovremmo tutti sederci attorno ad un tavolo, ma nel frattempo avremmo continuato a causare stragi, distruzioni e quanto altro, perché fin tanto che la guerra continuerà, questa da parte di Mosca sarà condotta con bombardamenti... con il rischio sempre più frequente di un “incidente” che causi un allargamento del conflitto stesso: ma tutto ciò a chi gioverà?
In questo senso io credo che l'occidente, ma sopratutto l'Europa, abbia manifestato dei limiti di politica internazionale devastanti, avendo rinunciato da subito a svolgere un ruolo di mediazione, convocando una conferenza internazionale che affrontasse tutti i problemi/pretesti utilizzati per innescare il conflitto. Anziché smontare quelli che potevano essere pretesti, abbiamo fatto di tutto per esasperarli, accettando di essere strumenti di questa guerra per procura.
Non entro nel merito delle sanzioni, sicuramente necessarie e indispensabili ricordando però che dovrà esserci un momento in cui ci ricordiamo di quanto abbiamo fatto con la Germania dopo la seconda guerra mondiale, quando non abbiamo imposto sanzioni al popolo tedesco, come avevamo fatto in occasione della prima guerra mondiale (favorendo l'ascesa del nazionalsocialismo).
Un altro punto mi lascia perplesso: l'estromissione del governo Russo dalle diverse organizzazioni internazionali, di fatto azzerando i luoghi dove un briciolo di contatto potevano realizzarsi tra le varie potenze in campo, è una strategia utile per costruire un luogo del confronto?
Questo è il punto di vista dell'area della nonviolenza e della cultura di pace, cercare di costruire subito le condizioni per un confronto diplomatico che prima o poi dovrà realizzarsi.
Certo non è facile costruire queste condizioni, non è facile portare su questa strada il governo russo, ma forse nemmeno quello ucraino, ma è l'unica strada possibile e l'escalation militare cui stiamo assistendo certo non facilita questo percorso, perché sta diventando sempre più una prova muscolare, che non sappiamo quando si arresterà e a che prezzo.
Un'ultima considerazione poi sulle solite e ripetitive critiche all'area della nonviolenza e della cultura di pace quando scoppia un conflitto: cosa proponete di fare per fermare i massacri, le violenze gli stupri?
Il punto è che la strada della nonviolenza non è semplicemente un optional del momento, ma è qualcosa che si costruisce nel tempo, scegliendo di non percorrere la strada dell'escalation militare, del riarmo... ma investendo proprio nella direzione opposta: nella ricerca, nella strategia, nella formazione, nelle dotazioni logistiche da mettere in campo con corpi civili di pace. Costruire cioè un percorso altro, e non rimandando all'infinito lo scegliere altre strade.
Un percorso che, ovviamente, richiede anche la ridefinizione a 360° delle relazioni tra gli stati e il ruolo delle Alleanze (inclusa la NATO), ed è questo il vero nodo da sciogliere perché costringerebbe qualche potenza a ridefinire il proprio ruolo nel mondo.
D'altra parte è proprio forse la storia dei conflitti dalla seconda guerra mondiale in poi che ci chiede questo coraggio di intraprendere una strada diversa
E poi, permettetemi un punto polemico, se si ritiene moralmente giusto fornire armi a chi combatte per la propria libertà contro un paese oppressivo, non dovremmo fare altrettanto con i palestinesi, che sono assediati dagli israeliani, gli afghani, che invece abbiamo abbandonato riconsegnando il potere a quegli stessi che abbiamo cacciato e combattuto venti anni fa, agli yemeniti, che sono costantemente bombardati dall'Arabia Saudita, ai Siriani di Aleppo, rasa al suolo dalle bombe russe... e l'elenco sarebbe infinito.
Io credo che non dovremmo fare questo, ma dovremmo farci carico anche di quei conflitti che ci appaiono così distanti (almeno fino a quando il terrore non è arrivato nelle nostre strade), e intervenire subito prima che si incancreniscano al punto da renderci difficile trovare una soluzione altra.