Pubblichiamo questo manuale curato da Maria G. Di Rienzo, riproposto nella newsletter del Centro di ricerca per la pace e i diritti umani, che ha avuto ampia circolazione nello scorso decennio nei movimenti ecologisti, femministi, nonviolenti. Il testo è possibile consultarlo anche in formato pdf.
Introduzione
La nonviolenza, come disse Gandhi, è vecchia come le montagne. Questa parola viene usata in tutto il mondo per tradurre concettualmente il termine "ahimsa", una parola in sanscrito che significa letteralmente "non nuocere". La radice del termine è "hins", ovvera la "forma desiderante" di "han" che significa ammazzare, uccidere o danneggiare. Perciò "hins" implica il desiderio di uccidere, ferire o distruggere. La "a" iniziale è una negativa, perciò "ahimsa" ha il più vasto significato di non avere alcun desiderio, intenzione o volontà di uccidere, ferire e distruggere.
Fra sottomissione e rappresaglia
Il modo dell'azione nonviolenta si può descrivere come una "terza via", un'alternativa fra il sottomettersi alle ingiustizie e la reazione violenta contro di esse. Molta gente non riesce a vedere che le due alternative più comuni: o accettano passivamente la situazione ingiusta, o si preparano ad usare la violenza per difendere i loro diritti. Sfortunatamente, chi usa questo secondo modo, spesso non è in grado di controllarlo o di fare in modo che non opprima altri. La giustizia raramente si ottiene basandosi su chi dei contendenti ha l'esercito più forte e capace di uccidere e distruggere gli oppositori. Dall'altro lato, chi si sottomette a ciò che è forzato ad accettare viene considerato debole e codardo nel mentre soffre l'oppressione della violenza.
La terza via dà modo anche a coloro che sono pochi o hanno scarse risorse materiali di ergersi per i loro diritti, con forza morale e dignità. Non c'è bisogno di essere grandi e grossi o forzuti per usare l'azione nonviolenta. I più anziani e i giovanissimi, le donne, persino i portatori di handicap sono efficaci nell'uso dell'azione nonviolenta quanto i giovani uomini fisicamente prestanti.
Il potere della nonviolenza viene dalle qualità spirituali dell'amore, della comprensione, dell'abilità comunicativa, del coraggio, e della perseveranza.
La sottomissione, l'accettazione, la passività non alleviano l'oppressione e l'ingiustizia, la reazione violenta incoraggia il crescere della violenza e della repressione.
Il modo nonviolento è un'apertura, un ascolto, un considerare l'intero mondo la propria famiglia: considerare i diversi punti di vista significa scoprire che le differenze non sono disarmonie, se ci trattiamo l'un l'altro con amore e rispetto. Noi agiamo in questo modo verso i nostri amici ed alleati, ma anche verso i nostri oppositori o i nostri critici: perché sono esseri umani come noi e abbiamo la necessità di capirli ancor più di quelli che sono d'accordo con noi.
Apertura significa anche trasparenza. Non tentiamo di tener nulla nascosto, nè di trarre vantaggio dall'ignoranza altrui. Siamo disponibili alla comunicazione, alla relazione, alla cooperazione; esaminiamo tutti i punti di vista, ma ci atteniamo nella scelta alla nostra visione: non accettiamo tutti i concetti o tutte le attitudini, non cooperiamo con ciò che provoca dolore e ingiustizia, ma siamo sempre disponibili a discutere.
Una comunicazione onesta
Gandhi usò il termine "satyagraha" per descrivere le modalità dell'attivismo nonviolento. La parola "satya" significa "verità" e deriva da "sat" che ha lo stesso significato nel senso di "essere", "realtà" o "esistenza". La parola "agraha" significa aggrapparsi fermamente a qualcosa. Perciò "satyagraha" vuol dire: attenersi fermamente alla verità. Al di là delle convinzioni religiose o dei credo filosofici, ideologici o spirituali che una persona può avere o non avere, questo modo implica il dedicarsi alla verità e all'onestà nelle relazioni umane. Noi esseri umani abbiamo il grande dono del linguaggio attraverso il quale comunichiamo simbolicamente, oltre a comunicare direttamente con le nostre azioni. Poiché il linguaggio è un'astrazione simbolica riferita ad oggetti, relazioni e concetti, le parole possono essere più o meno accurate nel tentativo di descrivere la realtà. Il linguaggio può essere erroneo e le persone possono mentire. La menzogna è una sottile forma di violenza, giacché mostra scarso rispetto per gli altri o paura della realtà. Separarci dalla verità significa separarci dalla realtà. Per essere onesti con noi stessi dobbiamo esserlo con gli altri. È veramente gentilezza non dire ad altre persone quel che si pensa e permettere al risentimento e al rancore di crescere nel silenzio, finché esploderanno in allontanamento o litigio? Il metodo nonviolento ha il coraggio di confrontarsi con la realtà, con ciò che accade, di modo da poter lavorare con tutti gli attori sulla scena per risolvere il conflitto. I nostri sentimenti, le nostre sensazioni, sono in grado di dirci molto su come vanno le cose e comunicandoli saremo maggiormente in grado di maneggiare le diverse situazioni nel modo migliore: questo non significa che rovesceremo sugli altri tutti i nostri problemi personali senza alcun discernimento. La comunicazione migliore, quella a cui tendiamo, è chiara, aperta ed onesta. Anche quando, come gruppo, comunichiamo verso l'esterno, è necessario che le nostre parole siano accurate e chiare: la credibilità del nostro movimento, e la buona riuscita dell'azione nonviolenta, dipendono dalla fiducia che le persone a cui ci rivolgiamo possono avere in noi. La fiducia che non stiamo mentendo loro, ad esempio. Questa è una differenza sostanziale rispetto al metodo "militarizzato" che la comunicazione usa di solito basato sulla segretezza, sulla menzogna, sull'adesione acritica all'ordine dall'alto o al parere del cosiddetto esperto.
Noi siamo anche molto attente e attenti a non implicare nelle nostre comunicazioni un senso di superiorità, ovvero che ci sentiamo "migliori" solo perché abbiamo delle critiche da fare a situazioni ed azioni. Tutti facciamo errori. Suggeriamo però pacificamente a chi riteniamo in errore di considerare la possibilità di un cambiamento, presentando delle alternative chiare.
Una coraggiosa compassione
Si dice che il metodo dell'azione nonviolenta sia debole e passivo, o che rifiuti il conflitto. Al contrario, l'azione nonviolenta nomina ed apre e gestisce i conflitti. Certamente, non è un metodo per i codardi. Prendere parte ad un'azione diretta nonviolenta richiede coraggio, un coraggio che non ha bisogno nè desiderio di armi e scudi. Un coraggio che cammina con dignità e senza timore nel conflitto, che sfida l'ingiustizia e lavora con forza per il cambiamento. Un coraggio disposto ad assumere su di sè dolore o situazioni spiacevoli, ma non disposto ad infliggerli ad altri. Amore e fiducia, non odio e paura, sono ciò che definisce il coraggio. La parola "coraggio" deriva da "cuore": noi abbiamo cuore sufficiente da confrontarci con i nostri oppositori, credendo fermamente in un processo umano e nonviolento di riconcilazione.
È la compassione a darci cuore. La compassione è amore empatico, è "sentire insieme", nella gioia e nel dolore; un sentimento non solo capace di sintonizzarsi con i sentimenti altrui, ma anche saggio e coraggioso abbastanza da tradursi in azione. La compassione nasce da un sentimento di unità che ha l'effetto di espandere i nostri cuori: qualsiasi sia la campagna, lo scopo, a cui dedicate le vostre energie, la fame nel mondo, la tutela dell'ambiente, il cercare un'economia di giustizia, la scintilla del vostro agire si è accesa a partire da questo sentimento. Voi vi siete dette che era vostra responsabilità fare qualcosa per arrestare il dolore altrui. È stata la compassione, ovvero il sentirvi parte del sentire altrui, a suggerirvi che si potrebbe vivere in armonia maggiore con la terra e fra noi esseri umani.
Una persistente pazienza
Un'altra qualità rivoluzionaria dell'azione nonviolenta è la pazienza. Una pazienza persistente, la capacità di non abbandonare la scena in cui abbiamo scelto di agire, e di procedere in maniera calma ed intelligente. Quando siamo coinvolte nell'azione, spesso le nostre emozioni sono in primo piano: dobbiamo fare molta attenzione ad agire in maniera avvertita, dopo aver riflettuto su quanto vogliamo fare e sulle conseguenze delle nostre azioni. La pazienza persistente ci dà il tempo di pensare, di progettare, di proiettare l'azione nel futuro valutandone le conseguenze. È meglio aspettare e perdere magari una piccola opportunità, piuttosto che muoversi in modo sconnesso e impreparato, rendendo l'azione inefficace. Nuove opportunità ci si presenteranno comunque. Se abbiamo il tempo di riflettere sulla situazione e sul modo migliore di maneggiarla, saremo pronti poi ad agire nel modo migliore.
A differenza dei metodi militarizzati che corrono nell'azione nel modo più veloce e spietato possibile, l'azione nonviolenta è lenta in modo deliberato, nel senso che dà ampi e frequenti avvisi agli oppositori su cosa sta accadendo, di modo che essi possano decidere in modo avvertito come confrontarsi con noi. Non vogliamo che i nostri oppositori reagiscano in maniera istintiva, in preda al panico o alla rabbia. Vogliamo che conoscano noi e i nostri metodi, in modo da poterci rispondere nel modo più calmo e intelligente possibile. Il metodo militarizzato è veloce e distruttivo come il fuoco, ma l'azione nonviolenta fluisce e nutre come l'acqua. Qualcuno è sempre pronto a dire: "il fuoco si combatte con il fuoco", ma se ci riflettete sopra vedrete che la metafora è priva di senso: combattere il fuoco con l'acqua è molto più efficace. L'acqua sceglie il sentiero più profondo, ma il suo scorrere persistente e paziente è in grado di consumare le rocce più dure. Perciò più saremo persistenti, più progressi otterremo nella comunicazione, nell'educazione e nel risveglio di altre persone rispetto alle circostanze che vogliamo veder cambiate. La persistenza significa anche che noi siamo flessibili nelle tecniche che usiamo: se un metodo non funziona, lo abbandoniamo e ne proviamo un altro. E dobbiamo persistere non solo nei nostri sforzi per il cambiamento sociale, ma nel portarci amore l'un l'altro, perché questa è la prima risorsa che ci nutre, ci sostiene e ci consente di continuare. Lo scopo finale di ogni azione nonviolenta non è la cancellazione degli oppositori, ma il trovare un modo armonioso, giusto e pacifico di vivere insieme. Ecco perché quando questo scopo finale viene raggiunto non ci sono perdenti: coloro che sono stati convinti dalla nostra azione saranno grati del mutamento raggiunto quanto quelli che hanno progettato l'azione stessa.
Cos'è la nonviolenza
La nonviolenza è uno stile di vita ed un metodo per ottenere positivi cambiamenti sociali. Ovvero, è essere il cambiamento che si vuole vedere, senza che questo comporti distruzione, umiliazione, punizione di chi vi si oppone. Sebbene, come vedete, questa definizione sia molto semplice, è resa di difficile comprensione dal fatto che la nostra società identifica il potere, la forza e l'efficacia con la violenza, la competizione ed il dominio.
La nonviolenza desidera creare un mondo che sia:- affermativo della vita: un mondo che valorizza tutto ciò che è vivo;- amabile ed empatico: un mondo che si cura della gente che al mondo vive;- egualitario: un mondo che dia valore ad ogni singolo individuo;- cooperativo: un mondo che incoraggia la condivisione fra tutte e tutti;- democratico: un mondo che risponde equamente ai bisogni ed ai desideri di ciascuno, in cui ciascuno assume per sè responsabilità;- gioioso: un mondo in cui si sia spazio per ridere e amarsi e giocare.
La violenza è spesso riduttivamente definita come: "ferire qualcuno fisicamente"; in quest'ottica, c'è chi vede la nonviolenza come "trattenersi/astenersi dal ferire qualcuno fisicamente" e la confonde con la vigliaccheria, la passività, il limitarsi da se stessi o l'ostilità sorda e nascosta, e gli attivisti nonviolenti sono visti come "pazzi" o "santi" a seconda dei punti di vista. Ciò che entrambi i punti di vista sottendono, mentendo, è che la violenza sia inevitabile. Tuttavia, violenza e nonviolenza si esprimono in un vasto raggio di possibilità: ciò che le distingue è l'attitudine di base.
Tipo di comportamento
a) Violento: malizia, ostilità, disprezzo, indifferenza
Assertivo: agire la guerra, usare la forza per ferire o umiliare qualcuno, picchiare o molestare un bambino, distruggere l'ambiente, opprimere o spaventare gli altri, minacciare la rovina fisica o economica di qualcuno; stuprare o abusare sessualmente di qualcuno.
Non assertivo: sostenere (e/o permettere che esistano) la guerra, la fame, la povertà, il razzismo, il sessismo, l'odio, l'abuso. Negare cure ai bambini. Fatalismo: il permettere agli altri di fare di sè ed il sentirsi una vittima impotente. L'usare droghe di qualsiasi tipo per stordirsi.
b) Nonviolento: amore, compassione, cura, gioia, empatia
Assertivo: resistere all'ingiustizia ed alla distruzione, lavorare per un cambiamento positivo, lavorare in modo cooperativo con altri, condividere, crescere con amore i bambini, fare l'amore appassionatamente con qualcuno.
Non assertivo: ammirare chi si impegna in modo nonviolento, boicottare quietamente un prodotto, sostenere organizzazioni/individui che lavorano per il cambiamento sociale, coccolarsi vicendevolmente.
Teoria del potere
La continuazione del sistema di dominio dipende dall'obbedienza e dalla cooperazione della popolazione. Il sistema di dominio sfrutta varie risorse di potere:- risorse umane: gente che sostiene il dominio o provvede servizi per esso;- abilità e saperi: le speciali informazioni riservate ad un ristretto numero di persone;- risorse materiali: naturali, finanziarie, ecc.;- fattori psicologici e culturali: teorie gerarchiche che permettono di accettare e perpetuare la violenza, di difendere coloro che la praticano;- sanzioni: legge, polizia, prigioni, esercito, vigilantes, ecc.
Noi abbiamo individuato quattro tipi di potere. Il potere su qualcun altro (dominazione, controllo); il potere con (o potere tramite, quello che appartiene ai cosiddetti "esperti" e che si esprime in termini di influenza e status); il potere da dentro (creatività, autostima); il potere insieme (quello che stiamo esercitando in questo momento).
L'azione nonviolenta è, letteralmente: fare ciò che è giusto con le tue stesse mani, senza affidarti alle strutture gerarchiche, senza bisogno che da un'autorità "più alta" qualcuno ti chiami ad agire o ti ordini di farlo. L'azione nonviolenta è prendere su di sè responsabilità personale per realizzare il cambiamento.
A cosa la nonviolenza si oppone
Alla distruzione dei corpi e delle menti; all'odio ed all'indifferenza; all'oppressione e al dominio; all'ingiustizia; alla guerra, al terrorismo, allo stupro, alla violenza domestica, alla povertà, agli "ismi" del dominio: razzismo, sessismo, ecc.
Scopi dell'azione nonviolenta
-
Minare la struttura di dominio, creare un'alternativa che la sostituisca;
-
sfidare l'ingiustizia, difendere l'alternativa, negoziare per risolvere un conflitto;
-
porre termine all'oppressione senza ferire fisicamente (o distruggere, umiliare, ecc.) gli oppositori: con/vincere, vincere insieme, non vincere/perdere;
-
risolvere un conflitto in modi che rendano la violenza inefficace o controproducente.
Come rendere efficace l'azione nonviolenta
Essendo "centrati" sul problema: siamo informati, vediamo con chiarezza la situazione di ingiustizia, abbiamo con altrettanta chiarezza formulato una visione alternativa.
Essendo attivi: se permettiamo alla violenza di continuare, ne siamo complici, perciò dobbiamo agire contro lo status quo della violenza. Poiché sappiamo che gli sforzi violenti per il cambiamento sociale non produrranno un cambiamento reale nella struttura di dominio e poiché essi non ci piacciono, noi siamo responsabili della creazione e dell'attuazione di azioni nonviolente sempre maggiormente efficaci.
Essendo coscienti: la violenza non è un monolito composto dalle multinazionali; noi dobbiamo smettere di avallarla ovunque, sapendo che essa comprende la guerra e lo stupro; la fame e la molestia sessuale; l'intimidazione e la minaccia; il razzismo e il sessismo, ecc.
Essendo fieri: consci di star lavorando ad un compito grande e urgente, serio, che metterà in moto energie a lungo termine.
Essendo coerenti: i nostri mezzi sono sempre correlati agli scopi che vogliamo ottenere; noi viviamo ciò che "predichiamo", tentiamo di vivere la "rivoluzione" nelle nostre vite e nelle nostre relazioni, prefigurando quella che sarà una società di condivisione.
Essendo responsabili: poiché i nostri oppositori sono gli emissari di uno status quo violento, essi saranno ovviamente nei nostri confronti irosi, maligni, violenti; poiché noi siamo gli emissari di un'alternativa nonviolenta, noi saremo disponibili all'ascolto, maturi, gentili e fiduciosi. Dimostreremo che possiamo usare il potere e non abusarne.
Essendo aperti: aperti ad una verità di tipo multiforme, disposti ad incoraggiare ed apprezzare le differenze; aperti ad accettare anche i fallimenti: possiamo sbagliare, la cosa non ci turba; aperti alla conversione dei nostri oppositori: consideriamo ogni persona un'alleata potenziale; aperti nell'organizzare le nostre azioni: più trasparenti siamo, meno i nostri oppositori hanno da guadagnare nell'infiltrarsi.
Essendo capaci di amore: rifiutandoci di fare del male ai nostri oppositori, perché il nostro scopo non è la vendetta, non è di punirli o di tornare loro il male che hanno fatto; il nostro scopo è creare un mondo migliore, perciò condanneremo le loro azioni ed il loro ruolo distruttivo, pronti ad aiutarli a trasformare quelle azioni e quel ruolo in qualcosa di positivo, pronti a cercare soluzioni che possano soddisfare anche i nostri oppositori e ad accoglierli fra noi quando cambiano idea.
Essendo intelligenti: ci concentriamo sulle sorgenti del problema che affrontiamo, non sulle persone che lo agiscono all'esterno; ci focalizziamo sul cambiamento positivo (e cioè creare una società giusta) non sul disprezzare gli oppositori, esprimere la nostra rabbia, tacitare i nostri sensi di colpa o semplicemente passare il tempo in questo modo sentendoci più "buoni" degli altri.
Essendo capaci di pianificazione: scegliendo come, dove e quando le nostre azioni si terranno, non affidandoci a sollevazioni emotive senza linee guida; disegnando accuratamente queste azioni in modo che esse portino sostegno alla nostra visione, e vadano a minare il sostegno al sistema di dominio; scegliendo lotte che possiamo vincere: il nostro scopo è dimostrare come le cose possono cambiare, non quanto siamo privi di potere; scegliendo azioni che mettano in discussione gruppi di potere importanti, ovvero coloro che hanno la possibilità di effettuare il cambiamento che noi chiediamo o di resistervi (governi, amministrazioni, ecc.); scegliendo azioni che siano visibili, orgogliose, nuove, eccitanti, tese a raggiungere il maggior numero di persone e non ripetitive e scontate.
Essendo pazienti e tenaci: i cambiamenti significativi e duraturi richiedono campagne a lungo termine.
Tipologie dell'azione nonviolenta
Disobbedienza civile (termine coniato da Thoreau): protestare contro le tasse per le spese militari, rifiutandosi di pagarle; per estensione: il rifiuto di obbedire a leggi eticamente ingiuste. Altro esempio: coloro privi del diritto di voto si presentano alle cabine elettorali chiedendo di votare.
Azione diretta: boicottare un prodotto; indire una marcia di protesta; cominciare una campagna di informazione e pressione (invio di lettere, cartoline, ecc.).
Azione simbolica: realisticamente, noi sappiamo che finché il movimento nonviolento non raggiungerà dimensioni di grande diffusione, tutte le nostre azioni saranno in qualche modo "simboliche" - l'elite al potere continua a determinare le scelte anche quando noi protestiamo contro di essa. Tuttavia, è importante ricordare che le azioni simboliche rendono visibile il modo in cui vorremmo che le cose andassero, rendono visibile l'altro mondo possibile in cui vogliamo vivere. Inoltre, il simbolismo lavora in modo potente nelle persone: pensate ai riti, matrimoni, festività, ecc. Azioni simboliche sono ad esempio: il portare addosso un distintivo con scritto "ripudio la guerra", i die-in, le veglie, le fiaccolate, ecc.
Come preparare una campagna per il cambiamento sociale
I punti in cui si articola una campagna nonviolenta sono essenzialmente cinque:
-
Ricerca. Noi siamo consci di avere un problema: ad esempio, le acque della nostra città sono inquinate. La prima fase della campagna consiste nel raccogliere il maggior numero di informazioni possibile al riguardo: quali corsi d'acqua, da che scarichi sono interessati, che tipo di rapporto hanno con la fornitura dell'acqua potabile, ecc. Elaboriamo un'alternativa.
-
Educazione. Noi informiamo gli altri attivisti, l'opinione pubblica, i residenti in città, e i responsabili dell'inquinamento dei risultati della nostra ricerca, e dell'alternativa che proponiamo.
-
Negoziazione. Cerchiamo un incontro con i responsabili, i nostri oppositori in questo caso, per arrivare, se possibile, ad un accordo (se i responsabili accettano la nostra alternativa in modo soddisfacente, la cosa si conclude qui).
-
Dimostrazione. Protestiamo contro l'oppressione (ed il rifiuto di incontrarci, se così è stato), mostriamo ed incarniamo la nostra alternativa: con una manifestazione pubblica, un corteo, ecc.
-
Resistenza. Continuiamo a protestare nel quotidiano, ad esempio rifiutandoci di pagare le bollette dell'acqua fino a che il problema non sarà risolto.
Qualsiasi azione decidiamo di intraprendere per portare alla luce il problema ed ottenere il cambiamento, essa dovrà essere:
-
Comprensibile: seguire cioè in primo luogo ad un'intensa campagna di informazione; deve essere visiva, semplice, diretta; dev'essere il più possibile tempestiva e vicina ai luoghi in cui il problema si manifesta; deve presentare un'alternativa, e mostrare che essa è migliore dello status quo; se si riesce a concentrare la nostra lotta in un'immagine questo ci dà un quid in più di visibilità: pensate a come sintetizzare il messaggio in una singola immagine che possa trasmetterlo a chi non sa nulla della vostra campagna per il cambiamento.
-
Drammatizzata (ma non scioccante): la gente che vi partecipa e quella che semplicemente osserva devono sentirsi a proprio agio; l'azione dev'essere correlata al fine che ci proponiamo di ottenere; più è partecipata e meglio è (se riuscite a coinvolgervi persone conosciute in città, o largamente conosciute come "sagge" va bene); siate preparati a spiegare diffusamente, in profondità, il senso e lo scopo dell'azione a chi vi si avvicinasse per chiederlo; ricordate che le azioni devono sfidare seriamente l'ordine stabilito e forzarlo ad una risposta, perciò:1. la vostra richiesta sia la più ragionevole possibile in ordine allo scopo di far vacillare lo status quo;2. drammatizzate la situazione (teatro di strada, travestimenti, ecc.) e chiedete il cambiamento con fierezza.
-
Continuata: legate l'istanza specifica ad una campagna più vasta, che chieda il fondamentale cambiamento delle strutture di potere, ovvero:1. negatevi a proposte di riforma inutili, che continuano a mantenere le stesse strutture (come la cooptazione, le risposte-promessa: faremo, vedremo, ci riuniremo..., le istituzioni di comitati che studieranno la questione - di solito per anni...);2. premete per riforme strutturali, che permettano la massima partecipazione democratica, che incoraggino decisioni più giuste, e che diano potere al maggior numero possibile di persone;3. dopo aver vinto una piccola riforma riguardo all'istanza che avete deciso di porre in luce, premete per riforme ancor più incisive e fondamentali.
-
Ispirativa: l'azione deve legittimare, ispirare, incoraggiare la gente a porre domande all'autorità stabilita, a pensare da sè, ad aver fiducia nelle proprie opinioni e ad agire in accordo con la propria coscienza.
Se possibile, è una benedizione quando l'azione comprende del divertimento.
Com'è fatta un'organizzazione nonviolenta
Un'organizzazione è nonviolenta quando incorpora nei propri processi interni:
-
il pensiero indipendente
-
domandare, dissentire, esplorare le idee;
-
la democrazia - il controllo diretto sulle questioni che interessano la tua vita;
-
lo spazio liberato - la protezione da influenze esterne non autorizzate dal gruppo;
-
il rispetto per gli altri/le altre - inclusa la loro storia, l'identità che palesano, ecc.
-
l'empatia
-
il sentire, preoccuparsi degli altri e delle altre intorno a voi;
-
l'altruismo - l'amore e la com/passione per gli altri e le altre;
-
la responsabilità - l'assicurarsi che le cose vadano bene per ciascuno e ciascuna;
-
la cooperazione - il venirsi incontro, il lavorare insieme;
-
la risoluzione nonviolenta dei conflitti.
L'accordo sull'azione nonviolenta
Ogni azione nonviolenta di un certo spessore, che coinvolge più gruppi, necessita di "linee guida" di modo che ciascuno sappia come deve comportarsi e che comportamento può aspettarsi dagli altri. Le "linee guida" possono variare a seconda del tipo di azione che si decide di intraprendere ma generalmente esse sono le seguenti:
Il nostro atteggiamento, nel modo in cui si mostrerà in parole, simboli e azioni, sarà amichevole, di apertura e rispetto verso chiunque incontriamo;- Non useremo violenza, nè fisica nè verbale, verso alcuno;
Non danneggeremo o distruggeremo proprietà (la questione della distruzione delle proprietà disturba la maggior parte della gente e ci aliena possibili alleati);
Non useremo alcool o droghe (vogliamo essere in grado di agire con chiarezza, e vogliamo che ognuno sia in grado di farlo);
Non porteremo con noi armi;- Non correremo (quest'ultima è una regola molto flessibile: ci sono situazioni in cui correre può avere senso); ciò significa sostanzialmente che non ci metteremo a correre da un posto all'altro incoraggiando il panico di massa, ma che in caso di bisogno ci disperderemo e ci riuniremo di nuovo, con la massima calma possibile.
Il processo del consenso condiviso
Il consenso condiviso è una forma per prendere decisioni di modo che esse siano cooperative e non coercitive. Sebbene sia in sè piuttosto semplice, di solito richiede qualche sforzo per essere capito e praticato, e un pò di esperienza per funzionare bene. In breve: un gruppo di persone si riunisce, solleva una questione, la discute, ipotizza varie soluzioni e sceglie quella che soddisfa l'intero gruppo.
Il consenso non è unanimità: la decisione finale, di solito, non coincide con la prima preferenza di ciascun individuo del gruppo, e ci saranno persone a cui il risultato finale non piacerà parzialmente o del tutto, ma sarà una decisione a cui tutti avranno acconsentito e a cui ciascuno sarà disposto, a livelli diversi, a cooperare.
Se non c'è l'onesta volontà di venirsi incontro, il consenso condiviso non funziona. Non funziona quando vi sono individui che vogliono mantenere posizioni di potere, che non possono o non vogliono cooperare. Il consenso condiviso è un processo che permette a ciascun individuo del gruppo di partecipare e di lavorare e prendere decisioni insieme agli altri, in maniera nonviolenta: un risultato di vera democrazia, che di solito attrae molto la gente che ha sofferto a causa di dominio od oppressione. Il consenso dà alla gente il potere di prendere decisioni, e allo stesso tempo richiede a ciascuno di assumere responsabilità per tali decisioni. Non rinuncia al potere (è potere-insieme), non chiede di trasferire responsabilità su rappresentanti, ma domanda che noi la si assuma completamente.
L'alternativa è il voto, ma il voto è qualcosa di diverso da un processo di incontro: è piuttosto una procedura. Il voto implica che una parte del gruppo non sarà assolutamente soddisfatta, e non porterà il proprio contributo all'azione comune o lo porterà in misura molto minore di quanto avrebbe potuto. Anche il voto può produrre decisioni finali soddisfacenti, ove ci si trovi in presenza di un gruppo in cui ciascun individuo è sereno e tollerante, o dove l'opinione sulla questione sia unanime, ma questa è una situazione limite, difficile da sperimentare: è più facile che ci si trovi invece in presenza di competizione per il potere nel gruppo, con la conseguente frattura in fazioni ed il rischio di coercizione.
Se il processo del consenso è agito bene, ciascun membro del gruppo potrà esporre le sue idee, le sue preoccupazioni e le sue opinioni. A differenza del voto, il consenso dà valore al sentimento, all'emozione, al come-ci-si-sente, perché questo, nell'azione diretta nonviolenta, fa la differenza. (Nessuno avrebbe potuto ordinare a centinaia di persone, a Seattle, di farsi arrestare perché la maggioranza aveva votato e deciso, ma centinaia di persone motivate dal processo del consenso hanno deciso volontariamente di patire l'arresto: responsabilmente, e sostenute dai gruppi di supporto).
Passi del consenso:
-
Questione portata alla ribalta: qual è il problema?
-
Chiarificare il problema, metterlo nel contesto.
-
Discussione finalizzata a tirar fuori idee, preoccupazioni, prospettive.
-
Notate i consensi e i disaccordi su ciascuna proposta e le ragioni che li sostengono. Discutete queste ragioni.
-
Sintetizzate le idee/soluzioni proposte, vedete se è possibile una terza via che comprenda anche soluzioni apparentemente non conciliabili.
-
Valutate le differenti idee finché una sembra incontrare il favore del gruppo. A questo punto ciascuno dovrà esprimere chiaramente il proprio consenso.
-
Stabilite ora come la decisione diventerà azione concreta: chi farà che cosa e dove e quando.
-
Assicuratevi che nulla sia lasciato in sospeso. Ribadite i punti essenziali dell'azione che è stata decisa prima di chiudere.
Esempio: "Il caso del ristorante cinese" (di Susan Sandler)
Otto persone vogliono andare a mangiare insieme in un ristorante. Bisogna decidere quale.
Unanimità: accade che la prima preferenza espressa da tutti e tutte sia un ristorante messicano (bello se succede, ma come sapete non accade molto spesso tranne che fra due persone).
Seguire il/la leader: una persona vuole andare ad un ristorante veneto tipico e gli altri/le altre vogliono fare ciò che questa persona desidera più di quanto vogliano mangiare il cibo che preferiscono; oppure, credono che questa persona sappia meglio di loro qual è il bene per tutti (la decisione viene presa facilmente, ma si basa sulla bassa autostima delle persone e sul "culto della personalità" del/della leader).
Compromesso: alcuni vogliono andare a mangiare la pizza, altri vogliono andare in un ristorante che serva pesce, altri ancora vogliono andare al ristorante vegetariano. Si decide che questa volta si andrà a mangiare la pizza, la prossima a mangiare pesce, e la prossima ancora al ristorante vegetariano (nessuno ha veramente quello che voleva, ma ognuno ha almeno una parte di ciò che voleva).
Maggioranza: Se cinque persone vogliono andare a mangiare pesce, due vogliono andare al ristorante vegetariano, e una vuole la pizza, si decide di andare a mangiare pesce, perché è questo che la maggioranza vuole (soddisfa la maggioranza delle persone, ma la minoranza si sente frustrata e può allontanarsi se continua a perdere troppe volte).
Intensità delle preferenze: lo scenario è quello precedente. Ma le due persone che vogliono andare al ristorante vegetariano sono vegetariane, e si rifiutano di mangiare pesce, mentre quello che vuole la pizza non può spendere più di 15.000 lire. Le persone che sono vegetariane hanno ragioni molto forti per non andare a mangiare pesce, mentre quelle che lo desideravano non ne hanno di altrettanto forti se non quello di mangiare qualcosa di "diverso dal solito"; però la persona che vuole la pizza non può permettersi il ristorante vegetariano: così, si va tutti a mangiare la pizza (questo è il tipo di decisione detta "minimo comun denominatore" e di solito non è del tutto soddisfacente).
Incontrare i desideri di ciascuno, ovvero il consenso condiviso: si decide per un ristorante cinese: è qualcosa di diverso dal solito, ha piatti di pesce e piatti di verdure, e ciascuno contribuirà a coprire la spesa per la persona che non può spendere più di 15.000 lire (i desideri di ciascuno sono stati incontrati, si è trovata una soluzione e tutti sentono che è la migliore. Non vi è stato compromesso o amalgama delle preferenze, ma una "terza via").
Notate questo: ciascuna delle decisioni può essere presa cooperativamente (tutti sono d'accordo che la soluzione trovata è la migliore), in modo coercitivo (la gente contraria viene convinta per intimidazione o paura, ecc.), per esaurimento (la gente concorda per stanchezza, perché non ha più voglia di trovare una soluzione, ecc.). Il consenso condiviso è lo spirito che informa il processo, ovvero la volontà di venirsi incontro, più che la forma del processo stesso. Tenete quindi presente, quando lo usate, che non è necessario avere "vincitori e vinti" in una discussione: potrà esserci un'idea totalmente nuova che terrà insieme le prospettive ed i desideri di tutti e tutte.
I problemi più comuni durante il processo decisionale (e come superarli)
Scarso ascolto:
Marta dice: "Credo che il convegno dovrebbe avere più relatrici, i relatori sono quasi tutti uomini. Ad esempio, invece di Paolo potrebbe parlare Giovanna, che è dello stesso gruppo".
Enrica risponde: "Non credo che nessuno dovrebbe rimpiazzare Paolo, è bravissimo, ha fatto tanto nell'ultima azione".
E Riccardo dice: "Io invece sono d'accordo con Marta, neppure a me piace Paolo".
Notate bene: Marta non ha detto nè che Paolo non sia competente, nè che Paolo non le piaccia...
Possibili soluzioni: ponete all'attenzione del gruppo il fatto che non ci si sta ascoltando chiaramente, suggerite di lasciare un piccolo spazio di silenzio fra gli interventi, di modo che ognuno possa riflettere su quanto è stato detto prima di parlare. Lo scarso ascolto può essere prodotto da un clima agitato e nervoso: cercate di minimizzare la tensione dando messaggi di empatia e comprensione, anche con linguaggio non verbale.
Mancanza di centratura: Ovvero, la gente parla di istanze differenti o di differenti aspetti della stessa istanza e non si capisce.
Possibili soluzioni: fate una lista delle questioni che ognuno vuole discutere, sistematizzatele in categorie (organizzazione, raccolta fondi, ecc.) e affrontatele una per una. Oppure, dividetevi in piccoli gruppi che siano interessati a parlare di un'istanza specifica o dello specifico aspetto della stessa.
Ripetizioni: la gente continua a ripetersi e pare che non si stia andando verso nessun accordo.
Per esempio Marta dice: "Quest'idea non mi piace". E Riccardo risponde: "A me sì, penso che sarà divertente". E Marta replica: "Sarà anche divertente, ma a me non piace". E Riccardo: "Dovremmo farlo. È divertente". E Marta: "Ma a me non piace..." e via di seguito.
Possibili soluzioni: uscite dalla secca cercando di determinare le aree e le ragioni dell'accordo o del disaccordo sull'idea; portate all'attenzione del gruppo che ci si sta ripetendo e chiedete a Marta e Riccardo di tirar fuori altre idee, chiedetelo anche agli altri. Suggerite voi stessi un'altra soluzione, possibilmente inusuale o persino un pò "scema", di modo da stimolare la discussione e la produzione di pensiero. Oppure, suggerite di indirizzare la discussione su un altro punto o su un'altra istanza.
Competizione per l'idea migliore: la gente tenta di dimostrare che la propria idea è migliore delle altre, di solito sminuendo o deprecando le idee altrui.
Marta: "Credo che la mia soluzione sia quella giusta, non costa molto".
Riccardo: "Io credo che la mia sia migliore, a livello di qualità".
Enrica: "Bè, io vedo falle in entrambe le vostre opzioni. La mia idea è migliore di entrambe le vostre".
Possibili soluzioni: tentate di de-personalizzare la discussione, riferendovi agli aspetti di ciascuna idea prospettata, e non alle persone che la prospettano; fate una lista dei pro e dei contro di ciascuna idea e fate notare che nessuna idea è priva di falle e nessuna è completamente fallimentare. Provate a combinare fra loro le parti migliori di ciascuna idea in un nuovo progetto. Contribuite a rinforzare l'autostima di ogni persona che ne abbia espressa una, lodando ciascuno e ciascuna per il suo lavoro e le sue proposte.
Verbosità: una o più persone tendono a parlare troppo a lungo (della serie "Sarò breve - e dopo tre quarti d'ora - ... so di aver parlato tanto, ma volevo solo aggiungere che...").
Possibili soluzioni: vedete se è il caso, e se c'è la possibilità, di dividervi in gruppi più piccoli in cui ciascuno parli finché è stufo. Interrompete gentilmente chi si comporta in questo modo, facendo notare che anche altri vogliono parlare. Usate dei limitatori di tempo: ovvero, adesso faremo un giro di interventi sulla questione e ognuno dovrà durare non più di 5 minuti.
Passività o timidezza: alcune persone non dicono nulla, sembrano distanti o riluttanti ad intervenire e a sentirsi parte del gruppo. Invitati ad esprimersi spesso tacciono, dicono di non aver opinioni al proposito, oppure che quello che si decide a loro "comunque" va bene.
Possibili soluzioni: parlate con loro separatamente, ad incontro terminato, chiedete come si sentono rispetto al gruppo, cosa potrebbe aiutarli a sentirsi parte del gruppo, cosa impedisce loro di esprimersi. Incoraggiate i membri silenziosi a presentarsi, a raccontare un'esperienza, a dire cos'è importante per loro. Prevedete sempre, negli incontri, un pò di tempo iniziale per dare il benvenuto alle persone nuove (e anche se non ce ne sono, datevi il ben-ritrovato l'un l'altro). Provate a vedere se dividendovi in gruppi più piccoli queste persone riescono ad esprimersi. Oppure, cantate una canzone tutti insieme, usate un pò di tempo per la celebrazione, la chiacchiera informale, ecc.
Mancanza di informazioni: Siamo tutti d'accordo per l'acquisto della segreteria telefonica per la nostra sede, ma il tesoriere questa sera non è venuto all'incontro e perciò dobbiamo posporre la decisione.
Possibili soluzioni: telefonate alla persona che ha le informazioni, mentre il gruppo passa a discutere d'altro. Tornate sulla questione quando avete le informazioni. Oppure, ipotizzate i vari scenari e scegliete cosa fare in ogni caso (decisioni "contingenti"). Assicuratevi che le informazioni necessarie siano disponibili alla prossima riunione.
L'evitare il problema: questioni difficili sono evitate invece di essere maneggiate e risolte:
Marta dice: "Dovremmo parlare di come si è comportata Enrica l'ultima volta" e Riccardo risponde: "Non potremmo farlo dopo? Abbiamo cose più urgenti e poi io non ho voglia di parlarne". E Nadia aggiunge: "Sì, per favore, parliamo di qualcosa di più piacevole".
Evitare il problema significa che esso si presenterà sempre più pressante e non maneggevole in futuro; inoltre, impedisce all'intero gruppo di essere coeso ed efficace su altre questioni.
Possibili soluzioni: organizzate incontri specifici per parlare dei problemi che si incontrano nel gruppo; può accadere che sia necessario chiedere ad una persona di abbandonare il gruppo, ma questo può essere fatto in maniera civile, spiegando a lui o lei che la divergenza di scopi ed obiettivi e modi non ci permette di lavorare insieme, ma che lui o lei può essere più efficace e trovare maggior soddisfazione in gruppi che lavorano in maniera diversa.
Il perdersi su problemi minori: un sacco di tempo viene speso su dettagli. Per esempio, il gruppo ha deciso di produrre un bollettino, ha deciso gli articoli che vi appariranno, ma continua a discutere sul fatto se sia meglio mettere l'articolo di Marta a pag. 2 o a pag. 3...
Possibili soluzioni: date potere a chi desidera occuparsene formando un comitato, un piccolo gruppo a parte che deciderà tali dettagli; in presenza di un accordo generale, incoraggiate il gruppo a passare oltre.
Scarso seguito: la gente si dimentica di fare ciò che aveva concordato di fare o semplicemente non lo fa. Tipico: "Ma non dovevi farli tu i volantini?" - "Ah, dovevo farli io?".
Possibili soluzioni: ogniqualvolta una decisione viene raggiunta, assicuratevi che tutti i passi necessari alla sua realizzazione siano stati discussi e affidati a qualcuno; alla fine dell'incontro riassumete rapidamente gli incarichi che ognuno si è assunto, accertatevi che chiunque si è assunto un compito lo abbia fatto di buon grado.
Polarizzazione: due o più persone insistono su polarizzazioni che si contraddicono, o si sviluppano due fazioni polarizzate. Esempio: Marta dice che si rifiuta di considerare qualsiasi proposta che includa il vendere una macchina di proprietà dell'associazione; Riccardo risponde che finché la macchina non sarà venduta lui non sosterrà nessun'altra azione del gruppo.
Possibili soluzioni: cercate di capire su cosa si basano entrambe le posizioni, quali sono le vere preoccupazioni dietro alle parole che vengono dette; fate una lista dei benefici e dei costi di ciascuna opzione e sottolineate che entrambe sono possibili ed entrambe hanno pregi e difetti; fate in modo che le due fazioni si incontrino e discutano fuori dal gruppo; dividetevi in due gruppi e se possibile separatevi in modo amichevole.
Manipolazione, giochi di potere, manovre: alcuni tentano di manipolare altri affinché accettino le loro idee e proposte; decisioni importanti vengono prese in modo separato dal gruppo da un ristretto numero di persone; arrivano agli incontri persone mai viste prima che fanno tutte il medesimo intervento a sostegno di un'opzione.
Possibili soluzioni: non abbiate timore di nominare la povertà di questi processi, chiedete che le opzioni vengano valutate esclusivamente sul merito e non in base alle persone che le sostengono; insistete affinché ogni questione sia discussa dall'intero gruppo; come gruppo, prendetevi il tempo di studiare le tecniche manipolative e di propaganda al fine di evitarle; insistete sul fatto che il processo del consenso prevede che ogni persona desideri cooperare in modo onesto con le altre e che ogni persona dev'essere disponibile al cambiamento durante la discussione; chiedete a coloro che non vogliono aderire a questo modello di lavoro di lasciare il gruppo e di formarne uno che risponda meglio alle loro esigenze.
Dominio, idee legate ad un individuo specifico: una o più persone dominano il gruppo; la gente è seccata, o abbandona il gruppo, o partecipa scarsamente; altri individui accettano o scartano le proposte in base al comportamento del leader o dei leader. Per esempio, Riccardo è fra i fondatori del gruppo, e tutti si aspettano che sia lui a parlare in pubblico, a tirar fuori idee e soluzioni, e a decidere cosa fare. E la conversazione su una questione qualsiasi può presentarsi così:
Riccardo dice: "Credo che il nostro gruppo dovrebbe produrre un bollettino mensile". Marta interviene: "L'idea di Riccardo mi piace davvero". Dopo qualche minuto Riccardo cambia opinione: "Pensandoci un attimo - dice - ho paura che ci porterebbe via troppo tempo". E subito Marta interviene di nuovo: "Sono d'accordo con Riccardo, un bollettino porta via troppo tempo".
Possibili soluzioni: parlate con Riccardo fuori dal gruppo, condividete con lui le vostre preoccupazioni e chiedetegli come lui si sente in questa situazione; adottate la modalità a cerchio nel gruppo, di modo che chiunque possa vedere chiunque altro e parlargli; chiedete a chi resta in silenzio se può dare un apporto alla discussione; insistete affinché tutti esprimano la loro opinione; cercate di risolvere fuori dal gruppo il conflitto tra individui.
Attacchi personali: urla, insulti, denigrazioni, "pubbliche denunce", minacce dirette o indirette.
Possibili soluzioni: spiegate come vi sentite durante questi momenti; discutete su come ci si sente essendo attaccati; cercate di parlare alle persone separatamente e chiedete loro di discutere la loro rabbia verso gli altri e la loro paura degli altri: se possibile, assorbite la rabbia e disperdete la paura.
Noia, bassa energia, scarsa partecipazione.
Possibili soluzioni: rivedete il modo in cui tenete gli incontri, aggiungetevi elementi di facilitazione, di divertimento, di interesse, di creatività; mettetevi in cerchio e fate qualcosa che coinvolga tutti: una canzone, una meditazione, un gioco; domandate alle persone presenti perché sono stanche; chiamate quelle che avrebbero dovuto esserci e chiedete loro cosa li tiene lontani e cosa invece potrebbe riavvicinarli; riducete il tempo degli incontri, se la loro lunghezza è il problema, e aggiungete un elemento di celebrazione per ogni decisione presa.
Risposta nonviolenta alla violenza personale
La nonviolenza si focalizza sulla comunicazione.
I tuoi obiettivi devono essere ragionevoli. Devi credere di essere nel giusto ed essere capace di comunicare questo ai tuoi oppositori.
Mantieni il più possibile il contatto tramite lo sguardo.
Non compiere gesti bruschi. Muoviti lentamente. Quando è possibile, dì ai tuoi oppositori cosa stai per fare prima di farlo. Non dir nulla che li spaventi, che sia sprezzante od ostile.
Non farti scrupolo di attestare l'ovvio; dì semplicemente: "Lei mi sta gridando addosso", "Lei mi sta facendo male al braccio".
Spesso, nel cominciare un atto di violenza, l'offensore ha forti aspettative su come la sua vittima si comporterà. Se tu riesci a comportarti in modo diverso, un modo che non spaventi, puoi interrompere il flusso degli eventi che condurrebbero al culmine dell'atto violento.
Cerca di farti amica la miglior natura del tuo oppositore; persino il più brutale e brutalizzato di noi ha qualche scintilla di decenza che il difensore nonviolento può raggiungere.
Non interrompere l'azione in risposta alla violenza; qui devi agire "a pelle". La miglior regola è di resistere fermamente il più possibile senza accrescere la rabbia o la violenza. Prova approcci differenti e continua a tentare di cambiare la visione che il tuo oppositore ha della situazione.
Fai parlare i tuoi oppositori e ascolta quel che ti dicono. Incoraggiali a parlare di ciò in cui credono, dei loro desideri, delle loro paure. Non dare inizio ad una discussione, ma allo stesso tempo non dare l'impressione di essere d'accordo con le asserzioni crudeli o immorali. L'ascolto è più importante di ciò che dirai; mantieni il dialogo e mantieni la calma.
Gruppi per l'affinità
Un gruppo per affinità è un gruppo di persone che condivide appunto un'affinità, in cui ciascuno conosce i punti di forza e i punti di debolezza dell'altro, e vuole agire politicamente insieme. La maggior parte di noi ha esperienza dell'essere parte di un gruppo (per esempio da bambini, quando facevamo parte del gruppo del nostro quartiere, o di una squadra sportiva). I gruppi per affinità hanno però delle sostanziali differenze, che concernono il non uso della gerarchia, la fiducia, la responsabilità. Il concetto ha una lunga storia. I gruppi per affinità si svilupparono durante la guerra civile spagnola e sono stati usati con sorprendente successo, durante gli ultimi trent'anni, dai movimenti femminista, antinucleare, per la giustizia sociale, in tutto il mondo.
Con chi formare un gruppo per affinità?
Con le persone che conoscete, e che condividono le vostre opinioni sulle istanze in questione. Il punto importante è che condividiate qualcos'altro, oltre a ciò, un'affinità che vi porta a stare insieme e, soprattutto, a fidarvi l'uno dell'altro. Dovete condividere un'idea su ciò che volete individualmente e ciò che volete come gruppo; come queste due cose si conciliano, che tipo di sostegno chiedete agli altri e che tipo di sostegno siete disposti a dare.
Organizzazione
All'interno di un gruppo per affinità c'è una vasta gamma di ruoli che una persona può assumere. Molti di questi deriveranno dalla ragion d'essere del gruppo per affinità, ma possono includere addetti all'ufficio stampa, ai contatti con i giornalisti, i facilitatori, l'osservatorio legale, il o la portavoce rispetto agli altri gruppi, ecc. Inoltre, un gruppo per affinità può specializzarsi in un ruolo specifico nel mentre interagisce con altri gruppi: ci sono gruppi per affinità specializzati nel ruolo legale, o di primo soccorso durante le azioni dirette nonviolente, o di intrattenimento e persino di catering... in questo modo, il gruppo per affinità, oltre a lavorare per la causa che si è dato, permette ad altri gruppi di fare altri lavori.
Supporto
Un aspetto importantissimo dei gruppi per affinità è il gruppo di supporto che non agisce direttamente sulla strada: il supporto è fondamentale per la riuscita dell'azione, e merita di essere celebrato quanto il ruolo sulla strada. Il gruppo di supporto, oltre ad informare stampa, parenti degli attivisti, ecc. su quanto sta accadendo, si prende cura ad esempio delle case, delle piante e degli animali di chi sta portando avanti l'azione... Sembrano banalità, ma la gente è molto più pronta ad agire (e persino a rischiare di più) se sa di poter contare su un sostegno di questo tipo. Tutti i ruoli e le abilità all'interno di un gruppo per affinità sono necessari. Nessuno è più importante di un altro.
Lo scopo alla fine di tutto è l'essere riusciti ad aver cura l'uno dell'altro, nel mentre si lavora al massimo grado di un cambiamento sociale costruttivo.
Note sui gruppi per affinità e i gruppi di supporto
Gruppo per affinità
Un gruppo di 5/20 persone che hanno un'affinità in comune, fanno insieme lavoro sociale e si sostengono l'un l'altro.
Storia
Le persone si sono sempre riunite in piccoli gruppi, è un arrangiamento naturale. Il termine "gruppo per affinità" viene dalla guerra civile in Spagna, dove verso la fine degli anni '30 gli anarchici si organizzarono in "grupos de afinidad".
Ragioni per lavorare in gruppi per affinità- elimina la sensazione d'isolamento dell'essere una persona in una folla numerosa;- fornisce un modo di organizzarsi in cui ciascuno lavora e prende decisioni con gente che conosce;- trasforma una massa confusa di 1.500 persone in cento gruppi organizzati di quindici;- fornisce sostegno emotivo ad ogni persona: insieme resistiamo, da soli possiamo perdere la calma;- fà in modo che ciascuno sia responsabile di qualcun altro. Se qualcuno perde il controllo e si comporta in modo strano, allora c'è qualcun altro pronto a fornire aiuto e ad evitare problemi;- aiuta a prevenire il tentativo dei provocatori di distruggere le nostre azioni. Esempio: nel 1977, durante le proteste contro il nucleare di Diablo Canyon, furono arrestate 47 persone; due di esse erano vicesceriffi (e uno portava con sè un coltello).
Formare un gruppo per affinità
Con chi?- spesso con gli amici e i colleghi di lavoro;- a volte con persone di gruppi diversi che si incontrano per preparare azioni nonviolente;- molto spesso con le persone che si conoscono durante i seminari nonviolenti.
Struttura del gruppo
Durante le azioni dirette, di solito 5/10 persone che rischiano l'arresto e 5/10 persone nei gruppi di supporto.
Queste ultime sono molto importanti: fanno tutto il cosiddetto "lavoro concreto" e spesso non ricevono sufficiente riconoscimento (il sostegno alle persone in carcere: occuparsi della loro famiglia, dei loro animali domestici e piante, chiamare al lavoro e i parenti, ecc. è quanto fa un gruppo di supporto: se le persone possono contare su questo tipo di sostegno sono disponibili a partecipare e persino a rischiare di più di quanto credevano possibile).
Non dimenticate il supporto emotivo (abbracci, sorrisi, ascolto, contatto con le persone in carcere dopo che l'azione è terminata): essendo sostenute in questo modo, le persone si sentono abbastanza "al sicuro" da mettersi in gioco.
Il gruppo di supporto si occupa anche dell'informazione ai media, e della raccolta di fondi per le spese legali
Un gruppo per affinità comprende:
il/la portavoce per i media; il/la facilitatore/facilitatrice per le decisioni da prendere rapidamente; il/la portavoce per gli altri gruppi coinvolti nell'azione. Molto utile se riesce a comprendere un/una medico/a e un/una avvocato/a.
Filosofia (principi di unità)
Vi aiuterà condividere alcune cose di base: qual è la vostra prospettiva politica, quanto e come sarete attivi, che parte ha la spiritualità nel gruppo, come sarete nonviolenti, come sarete sensibili fra di voi e con gli altri, ecc.
Potete raccogliervi attorno ad un'affinità che non ha nulla a che fare con l'attivismo sociale: potete essere colleghi di lavoro, compagni di scampagnate in bicicletta, compagni di danza, ecc.
I gruppi per affinità possono essere gruppi "in evoluzione".
Possono fare del lavoro politico insieme al di là del lavoro come gruppo d'azione nonviolenta.
Imparano insieme: sul mondo, la politica, l'azione diretta, il processo del consenso, ecc.
Si divertono insieme, insieme discutono le proprie vite, i membri si offrono sostegno l'un l'altro.
Responsabilità di un gruppo di supporto
Prima dell'azione
-
Dovete avere una "descrizione" di ogni membro del gruppo per affinità (indirizzo, telefono, eventuali necessità mediche, chi avvisare in caso di arresto ecc.).
-
Dovete conoscere bene i vostri piani come gruppo (e i piani del tavolo comune).
-
Dovete essere in contatto con il network di sostegno all'azione, con il collettivo legale, ecc.
-
Cercate di sapere dove la gente arrestata verrà portata.
Durante l'azione
-
Custodite denaro, chiavi, altre proprietà di chi ha deciso di rischiare l'arresto.
-
Pianificate trasporti, cibo, ecc.
-
Osservate e annotate ogni nome di chi viene arrestato, il momento e il modo in cui, l'attività della persona che viene arrestata, e il comportamento, e possibilmente il nome o il numero identificativo dell'agente che l'ha arrestata.
-
Date sostegno emotivo agli altri.
-
In tribunale, prigione, centro di detenzione, ecc.
Annotatevi:
-
nome del giudice o magistrato che conduce le indagini;
-
nomi dei dimostranti;- le accuse a carico;
-
le dichiarazioni dei dimostranti;
-
la data del processo, l'ammontare della multa, il rilascio;
-
la sentenza.
Restate in contatto con il collettivo legale.
Durante il tempo che i vostri amici passano in prigione
-
Chiamate la famiglia, gli amici, i datori di lavoro, chiunque debba essere informato.
-
Andate a far visita agli arrestati se possibile, cercate di chiamarli al telefono, o concordate prima un orario in cui attenderete la loro chiamata.
-
Scrivete loro lettere.
-
Andate ai processi o alle udienze.
-
Organizzate i mezzi di trasporto per quando escono di prigione.
-
Restate in contatto con i coordinatori dell'azione ed il collettivo legale, fate loro sapere quando le persone lasceranno la prigione.
-
Organizzate copertura mediatica, veglie, ecc. relative all'incarceramento.
Quando l'azione è terminata
-
Fate attenzione all'esaurimento in voi stessi e negli altri.
-
Date enormi dosi di sostegno emotivo agli arrestati e agli altri del gruppo.
-
Fate in modo che ciascuno possa raccontare ciò che gli è accaduto (molte volte, se necessario) in un ambiente sicuro, ove si possano esprimere dolore, paura ecc.; condividete oltre ai disagi anche la gioia e l'entusiasmo che l'azione vi ha comunicato. Dopo un'azione ciascuno di noi ha bisogno della catarsi emotiva: non spaventatevi di fronte alle lacrime, alle risa, ecc. anzi: incoraggiatele.
-
Se è possibile, organizzatevi in modo da alleggerire il "carico" nelle vite delle persone che hanno sofferto traumi o la prigione per qualche settimana.
Per favore: prendete nota che per organizzare una buona azione possono volerci mesi e prendete nota che può volerci altrettanto tempo per riuscire ad "uscirne".
Ciclo risolutivo
È il ciclo degli stati emotivi di cui si fa esperienza andando verso la mediazione. In risposta allo stress, a un forte trauma, o ad un conflitto, gli esseri umani passano attraverso un ciclo emozionale conosciuto come "ciclo risolutivo".
Le sue fasi basilari sono:
-
shock/negazione;
-
mercanteggiare;
-
senso di colpa;
-
paura;
-
depressione;
-
rabbia;
-
accettazione/risoluzione.
Il ciclo si manifesta nelle persone come nei gruppi e nelle nazioni. La popolazione di un paese che si prepara ad andare in guerra fa esperienza di un primo stato di shock e negazione. Poi tenta di venire a patti con la situazione, prova senso di colpa, paura e rabbia. Infine, che la guerra sia persa o vinta, la popolazione va verso l'accettazione e la risoluzione.
Il ciclo non si applica solo ad un dolore intenso o ad un conflitto grave. Lo stress del cambiare lavoro, del divorziare, ecc. può dare inizio allo stesso ciclo. Il ciclo risolutivo è parte della normale vita umana. La sequenza dei passi può variare, e si può andare e tornare in una stessa fase più volte.
A volte, senza aiuto adeguato, non si giunge davvero alla fase "risoluzione".
Quello che non si dovrebbe mai dire in presenza della manifestazione del dolore e della perdita:
-
Poteva andare peggio;
-
Questo è sempre vero. Ma non è in alcun modo consolatorio;
-
La persona cara che hai perduto è in un posto migliore;
-
Il problema non è che la perdita è permanente, ma che il dolore è intenso e continuato;
-
Devi lavorare duramente e pensare ad altro.
In presenza di uno shock grave, la persona colpita opererà al 10-15% delle proprie capacità per almeno i sei mesi successivi al trauma. Possono volerci dai tre ai cinque anni per recuperare interamente. Suggerirgli di fare di più può gratificare chi lo consiglia, ma non chi sta soffrendo.
La cosa migliore è esprimere liberamente la propria "simpatia", anche se non si sa che parole usare:
-
Sono dispiaciuto/a. Non so cosa dirti, ma sono addolorato/a per te:
-
Vorremo poter fare qualcosa. Ti pensiamo molto, preghiamo per te.
Uscire dal dolore è un processo che necessita pazienza. Tentare di forzarlo aumenta lo stress e "chiude" la persona in una delle fasi del ciclo risolutivo (solitamente la negazione).
Inizi: come organizzare l'evento
Avete deciso di pianificare un'iniziativa riguardante un'istanza qualsiasi. Un buon inizio è riflettere sul tipo di coinvolgimento che potete raccogliere attorno ad essa, ovvero sull'ammontare di tempo ed energie che avete da dedicarvi.
Tempo
Organizzare un evento efficace necessita veramente tempo ed energia. Riflettete onestamente su cos'altro, in questo momento, sta prendendo il vostro tempo, e su quanto potete essere coinvolte/i nel progetto. Commisuratelo a seconda dei risultati: se al progetto lavora una sola persona che può dedicare ad esso 10 ore in un mese, o venti persone che possono dedicarvi ognuna 20 ore la settimana, ciò determinerà comunque che tipo di progetto riuscirete a realizzare.
Risorse disponibili
Quando avete riflettuto sul tempo a disposizione, pensate a che risorse avete o a che risorse potete facilmente ottenere per il vostro progetto. Per esempio, conoscete già persone disposte ad aiutarvi? Avete già contatti nei media locali? Ci sono i soldi necessari per portare avanti il progetto? Siete in grado di raccogliere quelli eventualmente mancanti facilmente? Avete un luogo in cui riunirvi e l'equipaggiamento necessario (computer, tavoli, telefoni)? Di seguito vi fornirò qualche idea su come raccogliere denaro e trovare volontari. Per il momento, riflettete anche su come gli eventuali gruppi a cui già appartenete e le persone che conoscete potrebbero aiutarvi.
Analizzate le possibilità
Il resto del lavoro consiste nel correlare le risorse disponibili all'ottenimento di un progetto efficace:
-
se fate parte di un organizzazione, potete proporle il progetto;
-
se il gruppo è già coinvolto nel progetto, ma il vostro intento è collegarvi con altri per rafforzarlo, potete formare una "coalizione";
-
chiedete un appoggio (e datelo in cambio) ad altre organizzazioni che stanno pianificando eventi relativi alla vostra stessa istanza (ambiente, immigrazione, ecc.);
-
formate un gruppo specifico che ruoti esclusivamente attorno al progetto.
Proporre un progetto
Ciascuna/o di noi è coinvolto in gruppi di un qualche tipo. Provate a pensare creativamente ai gruppi a cui appartenete, ai modi in cui potrebbero essere coinvolti nel progetto. Forse siete membri di un gruppo religioso, scolastico, di volontariato; forse lavorate con colleghe/i sensibili alle tematiche di cui intendete occuparvi. Un buon modo per dare energia al progetto è parlare con questi gruppi e chiedere loro se sono disponibili a dare una mano (spesso il sostegno offerto e l'entusiasmo vi sorprenderanno!). Proponete loro due o tre spunti specifici riguardo all'iniziativa che intendete organizzare e chiedete suggerimenti ed impressioni. Preparatevi a rispondere a domande inerenti le risorse necessarie per portare avanti il progetto e siate pronte/i ad accettare modifiche al progetto originario. Siate flessibili. Se non c'è molto interesse per la vostra proposta, non "spingetela": è molto più facile organizzare un nuovo gruppo attorno ad essa, piuttosto che tentare di forzare le persone a far cose che non vogliono fare.
Dar vita ad un'organizzazione
Se non riuscite a trovare un gruppo già esistente che sostenga il vostro progetto, potreste considerare l'ipotesi di formarne uno nuovo. Di seguito gli ingredienti perché la ricetta abbia successo:
Scopo ("mission") e messaggio - Perché il nuovo gruppo funzioni è importante essere molto chiari su cosa si sta facendo e perché. Il gruppo dovrebbe concentrarsi su due/tre concetti base relativi agli scopi che tenterà di ottenere tramite l'organizzazione. Per esempio: se il concetto base che sta a fondamento della nascita del gruppo è il ritenere che la comunità abbia informazioni accurate sull'ambiente, ciò che organizzerete saranno eventi "educativi" a questo scopo.
Qualunque sia l'azione che decidete di intraprendere, accertatevi che l'opinione pubblica possa capire la vostra posizione. Ciascun membro del gruppo dev'essere in grado di dire con precisione che cosa il gruppo sta facendo e perché. Questo aiuta a far giungere il vostro messaggio all'esterno senza distorsioni.
Conoscere la materia che avete scelto - Una volta che vi siate dedicate/i ad un concetto, istruitevi sulle istanze che lo riguardano: libri, articoli, riviste, internet, sono tutte ottime risorse per ottenere informazioni. Cercate fatti interessanti, spiegazioni semplici e indagate i retroscena delle notizie. Assicuratevi che l'intero gruppo condivida almeno un senso di "base" rispetto al problema su cui avete deciso di lavorare, da dove esso proviene, e cosa è necessario per risolverlo. Ogni volta che trovate buone informazioni, sentitevi libere/i di diffonderle in ogni materiale che producete per trasmetterle ad altre/i (assicuratevi di citare le fonti che usate).
Sviluppare una strategia - Identificate i vostri scopi ed obiettivi come gruppo. Ciò significa raffigurare con chiarezza ciò che volete ottenere. Quando le vostre intenzioni sono chiare, siete pronte/i a considerare i progetti che possono aiutarvi ad ottenere i vostri scopi.
Trovare/essere volontari
Ci possono essere altri gruppi, nella vostra comunità, che stanno pianificando progetti sulle vostre stesse istanze. Approfondite le vostre ricerche in questo senso, prima di fondare un nuovo gruppo.
Quando avete sufficienti informazioni, riflettete su cosa per voi ha più senso: se decidete di unirvi ad un gruppo esistente, assicuratevi di avere abbastanza entusiasmo per lavorarci e di sentirvi in sintonia con i messaggi e scopi che il gruppo propaga.
Trovare fondi per le vostre iniziative
Partite dal presupposto (fondato o meno che sia) che ci sia gente che apprezza il vostro lavoro e vorrebbe aiutarvi finanziariamente: il vostro compito è trovare modi per cui questa gente possa farlo e tradurre il loro aiuto in opportunità creative, messa in luce della vostra organizzazione, ecc. Suggerite ai potenziali donatori di lavorare insieme, chiedendo loro di partecipare alla pianificazione dell'evento che magari sponsorizzeranno o sosterranno a livello finanziario.
In primo luogo, fate una stima esatta di quello che vi serve: poi iniziate a lavorare per rendere reale la vostra visione. Identificate ciò di cui avete bisogno e chiedetelo, senza mai scoraggiarvi. Man mano che altra gente si unirà a voi per rendere reale quella specifica visione le risorse necessarie appariranno (e spesso proprio nell'esatto momento in cui vi servono). La cosa più importante è che restiate concentrate/i su ciò che state facendo per costruire l'iniziativa. C'è una bella differenza nel dire ad un potenziale donatore che voi state facendo qualcosa piuttosto che dire che vorreste fare qualcosa. È importante anche che stiliate un budget realistico, basandovi sui costi effettivi che sostenete: può sembrarvi una fatica in più, ma ne vale la pena perché vi aiuta ad analizzare esattamente quello che vi serve. Per molte cose il denaro non vi servirà, molte risorse le avrete in dono, molte in prestito. Di seguito trovate un'ipotetica lista per aiutarvi a sistematizzare le cose in questo modo.
Lista operativa
-
Sistema di amplificazione (microfoni, ecc.): in affitto? Qualcuno può prestarvelo?
-
Acquisizione e montaggio palco: chi lo fa? Chi tiene il mixer?
-
Tende (gazebi) per proteggere le persone in caso di tempo inclemente;
-
Tavoli e sedie (chi mette in mostra o vende libri ecc. ne ha bisogno);
-
Mostre (sostegni per i pannelli, coperture in plastica);
-
Adesivi, segni distintivi in stoffa o carta, ecc. per i partecipanti (ricordare l'evento) e per i volontari (distintivi speciali, berretti, magliette che permettano di identificarli subito);
-
Sicurezza: l'evento potrebbe essere disturbato? Avete provveduto ad un sistema di auto-tutela o "filtro" per i possibili disturbatori? Se il Comune o altri Enti pubblici hanno patrocinato la vostra iniziativa potrebbe esserci la polizia a controllare, ma non è detto;
-
Assicurazioni, tasse, permessi;
-
Sacchetti per la spazzatura;
-
Pubblicità: programmi, volantini, manifesti murali (francobolli per quello che mandate per posta);
-
Comunicati stampa, "media kit";
-
Fotografie: documentare la vostra iniziativa può servire in futuro per proporre un servizio ai giornali sulla vostra attività (il che può poi più facilmente tradursi in raccolta fondi);
-
Spese amministrative: fax, telefono, ecc.
Provate a chiedere a stampatori ed altri fornitori d'opera di donare parte del lavoro che faranno per voi, o di praticarvi un prezzo minore: specificate che sarà un vantaggio per loro, che verranno nominati come donatori nelle centinaia di volantini che distribuirete ecc. Naturalmente non chiederete ad una compagnia di inquinatori di sponsorizzare l'evento ecologico che avete in programma, questo lo chiederete ad un negozio di cibi biologici ecc.
Invitate i governi locali, ove sia possibile, a patrocinare la vostra manifestazione. Spiegate loro chiaramente i vostri intenti: voi volete che loro vi diano il patrocinio, perché includerli in questo modo nelle vostre attività mostra che l'istanza di cui vi state occupando è largamente condivisa, è un'istanza della comunità in cui vivete. La presenza dei membri del governo locale all'iniziativa significherà maggiore opportunità che i media "coprano" l'evento.
Fondazioni private: alcune potrebbero esservi d'aiuto. Hanno criteri specifici per offrire il loro supporto finanziario, di cui voi dovete essere a conoscenza prima di far loro delle proposte in questo senso. Quando ne avete identificata una che ha fra i propri scopi l'istanza di cui vi occupate, scrivetele per proporle di partecipare all'iniziativa.
A chiunque vi rivolgiate per ottenere fondi, potete differenziare i tipi di supporto richiesti e il ritorno che il donatore ne avrà: qualcuno potrebbe sponsorizzare il palco, qualcun altro avere il proprio nome nel programma, essere incluso nei comunicati stampa, ecc. Se qualcuno si dice disposto a sostenervi ma non con denaro, chiedete un "favore" (fotocopie gratuite, pubblicità, ecc.).
Raccolta fondi tramite progetti di visibilità
Oggetti da vendere, come le magliette con il vostro simbolo, possono essere una grande risorsa. I concorsi (scrittura, poesia, pittura, torte, ecc.) sono un'altra grande idea, perché oltre a portarvi introiti generano interesse ed attesa attorno all'iniziativa. Potete anche provare a contattare un gruppo musicale e chiedere loro di fare un concerto di beneficenza per la vostra attività. Vendere cibo e bevande, ricordate, funziona sempre...
Idee per il vostro evento
Coalizioni
Se per realizzare l'iniziativa formate una "coalizione" con altri gruppi e con singoli/e volontari/e, organizzate incontri pubblici per parlarne. Cominciate ogni incontro dando il benvenuto a chi partecipa e mettendo tutti/e al corrente di come le cose stanno procedendo. Fornite sempre una rapida presentazione del vostro gruppo (chi viene per la prima volta potrebbe semplicemente avervi sentito nominare e non sapere chi siete). Chiedete a chi viene per la prima volta di presentarsi brevemente (chi sei, cosa fai nella vita, svolgi già attività di volontariato, fai parte di qualche organizzazione). Assicuratevi di venire a sapere come queste persone hanno saputo del meeting (annunci via media, passaparola, ecc.: vi servirà per identificare i metodi più efficaci per trovare volontari). La parte successiva dell'incontro dipende dal punto in cui vi trovate nella pianificazione: se state formulando ipotesi potete incoraggiare il "brainstorming", ovvero il flusso di idee e intuizioni. Assicuratevi di avere il consenso dell'intero gruppo sulle idee che vengono scelte.
Durante l'incontro, chiedete spesso ai partecipanti se hanno domande e aspettate (5-10 secondi) per dar loro il tempo di formulare mentalmente tali domande ed alzare la mano.
Ricordatevi di chiedere a ciascun presente, se non l'ha già fatto, di riempire un modulo che predisporrete allo scopo e in cui verranno contenute informazioni quali: nome, recapiti, eventuale gruppo di riferimento, abilità e/o risorse specifiche che - importante! - esse/i abbiano voglia di mettere a disposizione (Tizia è una giornalista? Quali contatti può fornirvi? Caio è falegname per hobby? Potrebbe costruire i pannelli che vi servono?). Potete anche appendere al muro un foglio con segnate le abilità/risorse necessarie e lasciando spazio perché chi vuole apponga il proprio nome accanto a quelle che preferisce. Ricordate che uno dei modi migliori per perdere i/le volontari/e è suscitare il loro entusiasmo attorno ad un progetto e poi non avere alcun compito specifico da assegnare loro (può essere semplicemente dare una mano alla pianificazione, ma dev'essere chiaro!). Chi si offre di partecipare al vostro progetto vuole sapere di fare la differenza, di essere coinvolto/a in qualcosa di più grande di se stesso/a: il modo migliore di mantenere i/le volontari/e è il riconoscimento. Riconoscete il loro contributo, la loro generosità nell'offrire tempo ed energie al progetto. Condividete con loro la visione originaria, lasciate che vi apportino le loro idee (nessuno vuol giocare in una squadra di calcio in cui deve stare tutto il tempo in panchina). Trovate modi per incorporarle nel progetto. Assicuratevi comunque che siano in grado di svolgere i compiti che si sono scelti e che abbiano il desiderio di svolgerli: se qualcuno si carica (o viene caricato) di troppi compiti o se ne assume alcuni sotto pressione il lavoro non avrà buoni risultati. Permettete quindi che durante l'assegnazione dei compiti ci sia la possibilità per ciascuno/a di dare o non dare disponibilità sul tema specifico: il senso di colpa non è un grande motivatore di entusiasmo... Formare sottogruppi per ciascuna istanza è il modo più produttivo e divertente di lavorare; prevedete per ognuno di essi almeno una persona che sia responsabile di seguire lo svolgimento del progetto e di riferirlo agli altri sottogruppi (attenzione: questo non significa che tale persona deve fare anche il lavoro degli altri, ma solo che si incarica di verificare che il lavoro venga svolto). Siate responsabili di quello che fate, e pretendete che ogni volontario/a lo sia; la linea di pensiero per cui i volontari non devono rispondere di come fanno ciò fanno, perché non vengono pagati, è la ricetta sicura per il disastro. Assicuratevi che ciascuno sappia con chiarezza cosa deve fare, come e in che tempi.
Fiere e feste
Le feste sono uno degli eventi pubblici che portano maggior successo: perché si tengono all'aperto e perché avete la possibilità di invitare gli espositori che vi interessano e che sono correlati all'istanza (nel caso ambientale: potete invitare i locali gruppi di Legambiente, Greenpeace, Wwf ecc.), di tenere spettacoli a basso costo, ecc. Il grosso problema di eventi di questo tipo è il tempo atmosferico: avete la possibilità, in caso di brutto tempo, di tenere la manifestazione al coperto?
Dichiarazioni
Predisponete grandi pannelli in cui la gente possa scrivere il proprio proposito concernente l'istanza di cui vi state occupando. Serve a far capire che cambiare i propri comportamenti personali è il primo e necessario passo per cambiare quelli collettivi. Esempi: "Comincerò a riciclare più oggetti", "Indirizzerò i miei consumi in maniera ecologica", "Tratterò i bambini con maggior rispetto", "Mi impegnerò contro le discriminazioni e le violenze", ecc.
Sottoscrizioni di documenti
Un sistema abbastanza efficace per ottenere attenzione è la richiesta che personaggi "ufficiali" (governatori locali, artisti, ecc.) firmino un vostro documento. Mandateglielo per tempo, e leggete poi queste firme durante l'evento pubblico. Chiedete loro di partecipare in prima persona alla manifestazione.
Petizioni/lettere
Qualsiasi sia l'evento pubblico che avete in programma, disponete sempre un tavolino su cui vi siano l'eventuale petizione da firmare, fac-simili o originali di lettere/cartoline da inviare ai politici, ecc. Potete anche predisporre la petizione su grandi fogli, con qualche disegno ben visibile che illustri la situazione, come per le dichiarazioni che abbiamo visto prima.
Borsette per la spesa
Acquistate un buon numero di borse di carta riciclata, stampatevi sopra una breve frase correlata all'evento ("Giorno della Terra 2002", "8 marzo 2002") e chiedete agli studenti delle scuole elementari e medie di dipingerle con un soggetto a loro scelta che riguardi l'istanza di cui vi occupate (bene se vogliono scriverci sopra il loro nome proprio, non il cognome, e il nome della loro scuola). Dopo di che passate per i negozi ad offrirle almeno quattro/cinque giorni prima dell'evento. Potete eventualmente chiedere un contributo.
Festival del cibo
Un festival del cibo organico, biologico, ecc. può servire da esca per portare luce sulle istanze correlate al cibo stesso (gli effetti individuali e globali delle abitudini alimentari) e vi dà la possibilità di coinvolgere erboristerie, gruppi che si occupano di nutrizione, botteghe del commercio equo.
Concorsi
Stimolate la creatività della comunità a cui vi rivolgete indicendo un concorso (poesia, saggio, slogan, dipinto, fotografia, ecc.) sul tema di cui vi state occupando. Avrete bisogno di un recapito per le opere e di fare una buona pubblicità. Ricordate di mandare il vostro bando di concorso alle scuole e ai gruppi giovanili. Il vostro annuncio deve contenere chiaramente il tema del concorso, l'ammontare della "tassa" per parteciparvi, i termini di scadenza, i "premi" che offrirete ai vincitori. Tenete la premiazione al culmine dell'iniziativa che state preparando.
Labirinto
Se la vostra iniziativa si tiene all'aperto, in uno spazio ampio, costruire una mostra-labirinto può essere un'idea. Ponete dei cartelli con delle scelte alle intersezioni: la scelta sbagliata condurrà in uno dei vicoli ciechi del labirinto, ove un altro cartello spiegherà le ragioni dell'errore.
Conferite "diplomi" di benemerenza
Una pergamena, e magari una pianta in dono, basteranno. Dichiarate "Eroe/Eroina" del rispetto dell'ambiente, della cultura delle differenze, della pace, ecc. qualcuno/a che si sia distinto nella vostra città (o altrove) per la propria azione in questi campi. Sollecitate "nominations" da parte dei vostri concittadini. Questo serve a mostrare che l'impegno personale fa una grossa differenza quando si agisce in maniera positiva senza attendere che sia qualcun altro a farlo per noi.
Chiamate ad un "consiglio"
Forma di teatro di strada. Per l'ambiente, per esempio, chiederete ai partecipanti di impersonare un animale o una pianta e di parlare a loro nome. Questo si chiamerà "Consiglio di tutti i viventi". Darete loro maschere di carta che rappresentino ciò che hanno scelto. Una volta formato il cerchio, ognuna/o si alzerà e parlerà in difesa e celebrazione del "personaggio". Potete tenere un "Consiglio di tutte le donne del mondo", un "Consiglio dei pacifisti/delle pacifiste", ecc. Potete fornire ai partecipanti delle brevi note preparate da voi, ma se la cosa è spiegata bene potete anche lasciare alla loro creatività cosa dire. Spiegate a chi parla di includere nel proprio intervento il contributo del personaggio (alla vita sulla Terra, al mantenimento della pace, ecc.). Se fate parte del "Consiglio di tutti i viventi", e avete scelto di impersonare un verme, ergetevi e parlate di come contribuite alla vita del pianeta decomponendo la materia ed arricchendo il terreno di modo che nuova vita possa crescere; di come vi offenda che essere un verme sia considerato un insulto; di come pensate che al vostro lavoro non sia dato il rispetto che merita...
Come lavorare con i media (giornali, tv, radio, ecc.)
Usare i media può essere uno dei mezzi più efficaci per concentrare attenzione pubblica attorno al vostro progetto. Tuttavia, la maggior parte di essi riceve più informazioni al giorno di quelle che può (e a volte vuole) usare. Perciò è molto importante che le informazioni che fornite loro siano concise, interessanti, ben organizzate e visivamente attraenti (meglio se avete un simbolo che ricorre in esse, di modo da essere immediatamente identificabili).
Contatto
Passo Uno. Creare il contatto
Come primo passo, create un archivio (su file o carta) che contenga:- i riferimenti dei media presenti sul vostro territorio, incluso un sommario sui contenuti, lo stile, i tipi di articoli;- una lista continuamente aggiornata degli editori e dei giornalisti.
Poter contattare di persona questi ultimi è importante. Potete raccogliere informazioni chiamando i media stessi (e chiedendo ad esempio: chi da voi si occupa di ambiente? Chi da voi si occupa di immigrazione, di femminismo, ecc.?); raccogliendo nomi e indirizzi dei giornalisti che vi hanno precedentemente contattato in occasione di altre azioni; tenendo un piccolo archivio di articoli già apparsi sull'istanza che vi interessa.
Quando siete coinvolti in un progetto che raccoglie più gruppi, scambiatevi queste informazioni.
Abbiate cura di mantenere aggiornati i dati: nel giro di due o tre mesi i reporter possono cambiare, la proprietà editoriale anche, ecc.
Passo Due. Stabilire una relazione
Andate a conoscere personalmente il/la giornalista che si occupa del tema che vi interessa. Fate precedere l'incontro da una telefonata in cui proponete la fornitura di materiale sulle vostre attività.
Abbiate sempre pronto un "media kit" che includa il calendario delle iniziative, i comunicati stampa, eventuale materiale prodotto dal vostro gruppo e articoli già apparsi su di esso, ed ogni altra informazione che ritenete importante. Fate in modo che ogni vostro prodotto scritto consegnato al reporter sia "educativo", ovvero contenga qualche suggerimento e brevi analisi: se "educate" il vostro contatto nei media è più probabile che gli articoli siano soddisfacenti per voi e per il pubblico che intendete raggiungere.
Passo Tre. Mantenere la relazione
Questa è una priorità: la continuità della relazione può essere assicurata da qualche semplice accorgimento: siate il più disponibili e rintracciabili possibile; provvedete le informazioni che forniscono il retroscena di ogni nuova "storia" in cui il vostro gruppo viene coinvolto; rendetevi disponibili a partecipare ad incontri, tavole rotonde, ecc., quando i media cercano nella comunità qualcuno che possa rappresentare le istanze di cui vi occupate; convocate i/le reporter (conferenza stampa) prima di fare un annuncio o di tenere un'iniziativa.
Passo Quattro. Seguire il materiale
Assicuratevi di controllare con una telefonata l'arrivo e la ricezione di qualsiasi materiale inviato via mail o fax.
Materiale: cosa dare ai media
Ovviamente i materiali che potete fornire ai media sono svariati. Di seguito sono illustrati i modi più comuni ed efficienti di informare i media dei vostri progetti. Combinati con i precedenti Passi 1-4 possono risultare in una campagna molto efficace.
Il comunicato stampa
Un comunicato stampa è una breve descrizione dell'evento che state preparando, una descrizione effettuata in modo da attrarre l'attenzione del lettore (e da suscitare il desiderio di seguire e testimoniare l'evento). Assicuratevi che il comunicato comprenda sempre un nome da poter contattare, il nome dell'organizzazione, l'indirizzo ed il numero di telefono. Fatelo corto: una pagina, spazio doppio; fatelo chiaro: cosa, dove, perché, quando. Cercate di andare al punto proprio all'inizio; ricordatevi che la persona che leggerà il comunicato potrebbe averne chissà quanti altri da leggere ed il vostro potrebbe ottenere un tempo di lettura di 5/10 secondi: questo è il tempo in cui l'attenzione dev'essere catturata. Assicuratevi di aver verificato al dettaglio i fatti di cui parlate (è molto importante, se volete essere e mantenervi credibili). Chiamate il contatto che avete nel media a cui avete inviato il comunicato e informatelo del suo arrivo.
Annunci via radio
Possono fornire una chiara e concisa risposta al "chi, cosa, quando, dove, perché e come" della vostra iniziativa. Chiamate la stazione radio e chiedete se potete ottenere un annuncio di questo tipo. Generalmente, le lunghezze di questo genere di comunicati sono 4: 10 secondi (25 parole); 20 secondi (50 parole); 30 secondi (75 parole); 60 secondi (150 parole). Provvedete alla stazione tutte e quattro le versioni, di modo che possano scegliere, due settimane prima dell'evento. Assicuratevi di ripetere due volte, all'inizio e alla fine, il nome dell'organizzazione ed il numero telefonico a cui contattarla. Controllate se l'annuncio viene fatto, telefonate per chiedere come mai in caso negativo, e telefonate per ringraziare in caso positivo.
Lettere al Direttore
Contattate la rivista prima di spedirle, di modo da sapere qual è la lunghezza dei testi che vengono accettati e che tempi vi sono per la pubblicazione. Ricordatevi che le lettere vanno firmate e devono avere un indirizzo (potete eventualmente chiedere che esso non compaia). Le "lettere al Direttore" possono provvedere una piazza mediatica in cui si parlerà della vostra iniziativa prima che essa venga posta in opera e si continuerà a dibatterne dopo.
Suggerire una storia (un "servizio")
I media sono sempre in cerca di una "buona" storia. Preparate una proposta in questo senso. Una proposta di "servizio" consiste generalmente di una lettera della lunghezza di una pagina, con una buona esca per la continuazione, che spieghi lo scenario e perché la storia è interessante, e per chi. Più sostegno fornirete (materiale, foto, testimonianze, contatti), più è probabile che funzionerà: perciò non mancate di far notare, nella lettera, che siete in grado di dare questa assistenza. Se il servizio viene fatto, ricordatevi di chiamarne gli autori/le autrici e di ringraziarli.
Inserire l'iniziativa in un calendario
Se la vostra iniziativa fa parte di una sinergia di gruppi, di un'azione correlata ad un giorno specifico (il Giorno della Terra, la Giornata internazionale della Donna, ecc.), fornite ai media il calendario in cui è inserita. Per i media è abbastanza appetibile dare informazioni di questo tipo ai lettori.
Copertura mediatica per il "giorno dell'evento"
La pubblicità prima dell'iniziativa è solo uno degli usi che potete fare dei media. Certamente volete che essi "coprano" l'evento il giorno in cui esso si dà, con foto e video, ecc.
È utile cercare di sapere in precedenza chi saranno i reporter inviati (potrebbero non essere i vostri contatti): è importante stabilire una relazione con loro, di modo che la storia sia riportata nel modo migliore possibile. Potreste non venire a sapere chi sono fino a pochi giorni prima, ma insistete, e prendete contatto per assicurare che lavorerete "con" loro. Quando li avete identificati, inviate loro il vostro "media kit". Teneteli informati degli eventuali sviluppi dell'ultimo minuto, fornite loro i recapiti dei giornalisti che, nel loro media, si sono già occupati di voi. Chiamateli la mattina dell'evento per aver conferma che verranno. Se l'iniziativa necessita che vi raggiungano in auto, fate in modo di riservare loro un parcheggio. Date loro istruzioni su dove e come potranno parlare con chi si occupa delle relazioni con la stampa nel vostro gruppo. Attrezzate uno spazio per l'ospitalità ai media, ove vi sia materiale da fornire loro e possibilità di sedersi attorno a un tavolo per scrivere e parlare con i vostri portavoce.
Azione diretta di massa
Scenari per il futuro
Opzione n. 1: Creare "manifestazioni dilemma"
La forma dell'azione diretta deve mettere i detentori del potere in un dilemma: se ci permettono di agire e di fare ciò che abbiamo pianificato, noi guadagniamo un qualcosa relativo all'istanza di cui ci stiamo occupando; se ci reprimono, si mettono in cattiva luce, e l'opinione pubblica riceve comunque il nostro messaggio.
Molti esempi possono ispirare la nostra creatività. Le campagne per il salvataggio degli alberi hanno per esempio inscenato il dilemma. Se ai dimostranti viene permesso di sedere sugli alberi, gli alberi non vengono tagliati; se i dimostranti vengono cacciati violentemente, l'opinione pubblica viene "educata" e nuovi alleati si aggiungono a noi. Il movimento per i diritti civili negli Usa è un'altra fonte di ispirazione. Gli studenti afroamericani del sud entravano nei locali pubblici che dichiaravano di non servire gente di colore e ordinavano un caffè. Se venivano serviti, il razzismo perdeva un colpo. Se venivano attaccati o arrestati per aver chiesto un caffè, il razzismo lo stesso perdeva un colpo.
I nostri oppositori, in sostanza, devono essere messi in questo dilemma: qualsiasi cosa facciano, il risultato è una perdita di terreno per lo status quo che noi intendiamo cambiare.
Non sto dicendo che sia sempre facilissimo creare queste tecniche, e ci sono momenti in cui bloccare il traffico è la miglior cosa a cui riusciamo a pensare. La differenza fra questa tecnica ed altre, ad ogni modo, ci risulterà più chiara se adotteremo il punto di vista della "persona qualsiasi" che vede ad esempio la nostra azione in tv, o sui giornali. Magari è curiosa, e non pregiudizialmente ostile alle nostre istanze, ma non sempre ha la volontà o l'energia per informarsi di più, per fare connessioni logiche o salti di immaginazione. Perciò, se dalle immagini o dagli articoli percepisce unicamente lo scontro fisico, il nostro messaggio resterà inascoltato. Se adottiamo il suo punto di vista, affinando la nostra creatività, gli scenari che svilupperemo saranno più potenti, più attrattivi, dotati di maggior chiarezza comunicativa. Per esempio: che ne dite di piantare un giardino in una zona abbandonata e degradata?*
Opzione n. 2: Decidere chi stiamo tentando di raggiungere ed influenzare
Quando usiamo il termine "opinione pubblica" (come ho fatto io due minuti fa...) stiamo ovviamente semplificando, e rischiamo di semplificare anche le nostre tecniche. L'opinione pubblica include numerosi sottogruppi, alcuni dei quali hanno importanza cruciale per il successo di una campagna, altri sono meno importanti, ed altri ancora non lo sono per nulla. Se quando decidiamo il nostro intervento creiamo una "mappa politica del territorio", e decidiamo qual è il gruppo cruciale che deve essere contattato, le nostre tecniche otterranno più frequentemente la forza di cui hanno bisogno.
Fu un piccolissimo gruppo di attivisti a bloccare la politica estera degli Usa, tramite questa tattica, non molto tempo fa. Gli Usa stavano sostenendo una dittatura militare in Pakistan (diretta da Yayah Khan). Tale dittatura stava massacrando migliaia di persone in una regione dell'est che chiedeva l'indipendenza. Il governo non disse la verità sul suo sostegno, ma gli attivisti scoprirono che nei porti statunitensi attraccavano le navi pakistane per rifornirsi di armi e continuare il massacro. Il gruppo capì che se i marinai locali rifiutavano di caricare le navi, il sostegno del governo sarebbe stato vano.
Il problema che si trovarono di fronte era che, generalmente, i marinai della East Coast erano inclini a sostenere il governo, e temevano di perdere il loro posto di lavoro e di affamare le loro famiglie. Gli attivisti non riuscirono a convincerli ad agire in solidarietà. A questo punto, passarono all'azione diretta.
Il gruppo annunciò che intendeva bloccare il porto con una flotta di barchette e gommoni. La tecnica spinse i lavoratori del porto a discutere di nuovo, e si raggiunse un accordo per cui, se gli attivisti avessero fissato una "linea", essi non l'avrebbero oltrepassata. I media dettero una copertura continua dell'evento, e l'azione ebbe successo al punto che venne esportata in numerosi altri porti, e il sindacato dei lavoratori marittimi annunciò che i lavoratori non avrebbero caricato armi sulle navi pakistane in nessun porto degli Usa! Il piccolo gruppo di attivisti, in sostanza, ebbe successo perché era stato capace di dirigere l'azione verso quella parte dell'opinione pubblica che maggiormente necessitava di essere influenzata.
Opzione n. 3: Diventare propositivi anziché reattivi quando si creano campagne
A volte una forte reazione ad una mossa dei detentori del potere può essere molto efficace, come è stato a Seattle. Mobilitandoci attorno al meeting del Wto e bloccandolo, abbiamo ottenuto risultati importantissimi. Il lato negativo della globalizzazione è stato visto allora, da molti, per la prima volta, ma da allora è sempre stato "in agenda". Nuove ed inedite alleanze sono state possibili. Il solo rilasciarsi di quell'energia di ribellione è stato in se stesso un dato positivo.
Reagire occasionalmente, però, è una cosa, stare perennemente in una postura reattiva è qualcos'altro. Ci toglie potere. Avere la nostra agenda dettata da dove e quando si tengono i meeting è dare ad altri questo potere.
Un'azione differente è pianificare campagne. Una campagna è una mobilitazione focalizzata di energie verso l'ottenimento di un chiaro obiettivo, in un periodo di tempo che possa essere sostenuto realisticamente dalla coalizione (o dal gruppo). Spesso l'obiettivo prende la forma di una domanda ad un'entità ben definita che può prendere una decisione in merito. Un esempio vincente, ma ce ne sarebbero moltissimi, è la lotta di Birmingham (1963) in cui un'intera città si mobilitò per ottenere una legge equa sugli affitti di abitazioni. Devo ancora incontrare un/una giovane attivista di questo movimento che conosca i successi della lotta contro il nucleare. Non è un rimarco nei confronti dei giovani, sia chiaro: questi successi sono ben nascosti, per ovvie ragioni. La lotta contro il nucleare ci ha visti fronteggiare un tremendo dispiego di poteri: i governi, i militari, le banche, le compagnie commerciali coinvolte, i sindacati dei costruttori di centrali, e persino il senso comune che credeva l'energia nucleare sicura e a basso costo. Non ho qui l'intenzione, nè lo spazio, per raccontare tutto ciò che accadde, ma questa combinazione di potere fu battuta dalle nostre campagne.
Opzione n. 4: Mutare la nostra valutazione del ruolo dei mass media
I media hanno schemi di comportamento che sono largamente prevedibili, ed il nostro movimento può scegliere di usarli a proprio vantaggio. Dobbiamo innanzitutto capire che i media hanno sempre rispecchiato i pregiudizi dei loro proprietari. Posseduti da gente bianca, hanno presentato in modo stereotipato e negativo quella di colore; posseduti da eterosessuali, hanno stereotipato e negativizzato gli altri orientamenti sessuali; posseduti da uomini, hanno sminuito e vittimizzato le donne; posseduti da ricchi, ci hanno propinato una visione in cui l'unico fine della vita è avere soldi.
Noi liberiamo la nostra creatività semplicemente essendo consci che questi pregiudizi di fondo esistono, invece di limitarci ad indignarci (giustamente!) ogni volta in cui li vediamo all'opera, o in cui il nostro agire è rappresentato in modo distruttivo, negativo, o falso.
Decidiamo: per la prossima azione, abbiamo bisogno di una copertura favorevole dei media oppure no? Se la risposta è no, perché per esempio il gruppo che vogliamo influenzare può avere il nostro messaggio in altri modi, allora possiamo risparmiarci tempo e fatica. Se la risposta è sì, possiamo imparare come interagire con i media. Ormai c'è un'ampia letteratura su questa questione, ma visto che la maggior parte di essa non è in italiano, ribadirò qui alcuni punti chiave:I media usualmente mostrano ciò che è più "drammatico". Se un migliaio di persone sta tenendo un sit-in e tre sfasciano una vetrina, la campagna sarà presentata come uno sfascio di vetrine. Gli organizzatori delle dimostrazioni devono prendere atto di questo. Evitare la riflessione su questo aspetto porta solo confusione, demoralizzazione e scontri all'interno del movimento (ci tornerò su più tardi).
I media "progressisti", dai quali ci aspettiamo sostegno, spesso escono con pezzi e servizi altrettanto confusi. I primi commentatori "liberal" sulle azioni del Movimento per i diritti civili erano prodighi di consigli sull'abbandonare l'azione diretta nonviolenta. Le donne che picchettarono le sedi dei governi per ottenere il diritto di voto furono aspramente criticate proprio dai giornali "progressisti". Guardiamo in faccia la realtà: per molte persone di buona volontà, una sollevazione è disturbante. Una dimostrazione è inquietante (a meno che non la dirigano e guidino loro). Molte di queste persone disapprovano il conflitto, così come noi lo agiamo, al di là delle loro convinzioni politiche. Se sono commentatori dei media, troveranno sempre un errore l'azione diretta.
Generalmente i mass media tendono ad ignorare l'azione diretta e faranno qualche eccezione se l'azione è particolarmente creativa e nuova. La campagna contro l'aiuto militare al Pakistan di cui parlavo prima fu coperta, a Filadelfia, 27 giorni su 30: gli attivisti avevano trovato mezzi creativi e fotogenici per "drammatizzare" la protesta.
È più probabile ottenere copertura mediatica per le campagne che per gli episodi sporadici, ma possono volerci giorni e settimane prima dell'apparizione sui media locali, settimane e mesi per quelli nazionali. È importante riflettere su questo, tenere il terreno, e non avere fretta.
Opzione n. 5: Esaltare il contrasto fra il comportamento dei dimostranti e quello della polizia
Il cuore della scena per il cambiamento sociale è il conflitto. Ma se il pubblico di un teatro, ad esempio, può apprezzare personaggi sfaccettati, intrisi di luci ed ombre, senza una perfetta definizione di "buono" e "cattivo", quando la scena è sulle strade la semplificazione è proprio questa: i "buoni" e i "cattivi". Sicuramente i nostri alleati politici hanno già deciso chi sono i "buoni", ma quando agiamo su questo scenario non dobbiamo dimenticare che la maggior parte delle altre persone non lo ha già deciso. Mentre il "dramma" si svolge, diciamo così, ci sono quelli che stanno alla finestra, curiosi di vedere come va a finire e a volte i "buoni" saranno i dimostranti, e a volte no.
La grande lezione che dobbiamo imparare è che quando siamo nelle piazze non è possibile far conto su sottili argomentazioni, che nei bar non si faranno ragionamenti di tipo filosofico ma sul semplice e puro contrasto fra il comportamento dei manifestanti e quello della polizia.
I simboli che possiamo usare per esaltare il contrasto dipendono dalle situazioni. Gli studenti di colore che lottavano per i diritti civili rimanevano seduti calmi e composti mentre isterici razzisti bianchi davano in escandescenze. I filippini che rovesciarono il governo in un'azione diretta di massa lo fecero anche con le suore che danzavano in mezzo alla strada e con le collane di fiori attorno al collo dei soldati. Ancora una volta, noi abbiamo il potere di scegliere. Possiamo scegliere di agire un confronto usando simbologia appropriata, affinché l'opinione pubblica ci identifichi come i "buoni": questo significa detenere un piano morale superiore agli oppositori... vi pare poco?
A volte le tecniche della polizia possono sfidare la nostra creatività. Durante la marcia del sale gandhiana la polizia, stanca di bastonare ed imprigionare dimostranti, si ammassò su una strada di fronte ai dimostranti stessi ed attuò un sit-in nonviolento! I marciatori si fermarono, e la situazione si paralizzò. Dopo ore di incertezza venne la notte, e i dimostranti andarono a procurarsi cibo e coperte che divisero con i poliziotti. Questa fu per loro la classica goccia che fa traboccare il vaso: lasciarono passare i dimostranti, che celebrarono a mezzanotte la loro vittoria. Pensate: a confronto con una resistenza nonviolenta, i marciatori risposero esaltando la propria nonviolenza.
Opzione n. 6: Assumere un'attitudine forte verso la prospettiva della repressione
Ovviamente, lo scopo della repressione è indurre la paura, di modo che le persone smettano di opporsi alle ingiustizie. I detentori del potere vogliono che noi si giochi al Gioco della Paura. È fondamentale per qualsiasi movimento sociale decidere che atteggiamento tenere verso la repressione. In genere si crede che tutti i movimenti abbiamo la stessa attitudine su questo problema, il che è lontano dall'essere vero.
Durante la "protesta degli autobus" a Montgomery, del Movimento per i diritti civili, fu a un certo punto sparsa la notizia che durante la prossima azione la polizia avrebbe arrestato una serie di persone di colore, definite "leader", di cui aveva già pronta la lista. Costoro decisero di non giocare al Gioco della Paura e agirono in modo propositivo, non reattivo: andarono in gruppo al Commissariato e chiesero di essere arrestati tutti insieme. Non solo, il loro numero era considerevolmente aumentato rispetto alla lista, e individui che non vi erano segnati protestarono indignati perché li si insultava non considerandoli "leader"... Recentemente, questa tecnica è stata ripetuta da attivisti in Illinois.
Pensate alle difficoltà che i nostri oppositori trovano nel maneggiare una situazione del genere: se quelli minacciati rifiutano di aver paura, essi perdono la loro arma più potente.
L'adottare una "cultura della sicurezza" comporta dei pericoli per i movimenti, ed è necessario rifletterci attentamente: stiamo giocando il Gioco della Paura? Stiamo rafforzando le strutture di dominio? L'alternativa è il crescere della fiducia.
Per vincere, i movimenti hanno necessità di espandersi. Per espandersi, gli attivisti hanno bisogno di fiducia: in se stessi, l'uno nell'altro, e nelle persone che contattano. Pensate all'ultima volta in cui qualcuno vi ha convinto ad agire. Avete avuto la sensazione che non avesse fiducia in voi? Probabilmente è stato il contrario: avete percepito ottimismo e fiducia e una volta ottenute le informazioni avete deciso di partecipare.
La dinamica in atto attualmente nel movimento (lo chiamo così per brevità, date ad esso la definizione che preferite) è proprio la mancanza di fiducia. Il Gioco della Paura opera facendoci preoccupare di chi potrebbe essere un infiltrato, di chi potrebbe tradirci, di chi possiamo o non possiamo fidarci. Le persone non dicono i loro nomi, non si considerano responsabili delle proprie azioni, si guardano sospettosamente a seconda di quale sia il gruppo a cui appartengono. Questo è tossico: la paura nutre se stessa. Quando la paura diviene parte di un comportamento "socialmente normale" è facilissimo che un movimento la contenga, perché non riesce ad attirare persone fuori dai gruppi di coloro che si definiscono (o sono) vittime. Poiché molte persone, piene di talento e di voglia di fare, non trovano consono definirsi vittime, non si uniranno agli stretti circoli dei "cospiratori", per quanto radicali siano le loro idee.
Il Gioco della Paura riduce la capacità di sviluppare azioni dirette e di stringere alleanze. I movimenti che hanno avuto successo lo hanno avuto anche grazie alla capacità di attirare alleati. Il ruolo di un alleato è diverso da quello di un attivista. Possiamo essere simultaneamente attivisti in una campagna ed alleati in un'altra: questo tipo di flessibilità lavora bene. Poiché il Gioco della Paura genera sfiducia, i dimostranti hanno un bel da fare ad aver fiducia negli alleati, se neppure ne hanno gli uni negli altri. Il momento in cui questo atteggiamento mostra tutta la propria debolezza è quello della repressione, in cui la necessità di alleati è vitale.
Non è invece infrequente il caso, attualmente, in cui gli attivisti rifiutandosi di aver fiducia negli alleati dicono loro: "Fidatevi di noi e fate questo, quest'altro e quello! Subito!"... e poi si arrabbiano e diventano persino furiosi se gli alleati non si mettono immediatamente sull'attenti e rispondono: "Sissignore!". Il Gioco della Paura, iniziato dai nostri oppositori, riduce il potenziale di crescita del movimento, distrugge le relazioni con gli alleati, irrigidisce i confini tra il "dentro" e il "fuori": siamo furbi se lo continuiamo?
Opzione n. 7: Dedicarsi esplicitamente all'azione nonviolenta
Al momento una grande massa di attivisti sta chiedendo questa opzione, e non vede ragione per fare altro. Quando si disegna una nuova campagna, gli attivisti si trovano di fronte questo dilemma: dobbiamo essere espliciti rispetto a questo, o lasciamo correre? Scegliere rispetto ad una campagna che ci terrà impegnati lungo tempo è particolarmente importante: gli ostacoli che incontreremo sul nostro percorso saranno di più di quelli che si incontrano durante un'azione sporadica.
Prima di iniziare la campagna di Chicago, Martin Luther King spese mesi a negoziare con i differenti gruppi presenti nella sua comunità, comprese le "gang" che, dopo averlo sfidato ed aggredito per testarne l'adesione alla nonviolenza, vennero a discutere con lui ed accettarono i principi dell'azione diretta.
Rinunciare alla nonviolenza è una tentazione. Essere bollati da "pacifisti moralisti" è seccante, ci si accusa di predicare e di non agire, temiamo di perdere alleati, veniamo messi di fronte a tutta una serie di "urgenze" che non avrebbero tempo per la riflessione: bisogna muoversi verso il prossimo punto in agenda, la prossima manifestazione e vada come vada...
Forse giova ricordare che la discussione non è sul pacifismo, ma sull'efficacia dell'azione diretta. Molti pacifisti non partecipano ad azioni dirette, e molte persone che vi partecipano non sono pacifisti. Perciò la questione non è su un piano filosofico, ma su un piano pratico.
La paura di alienarci gli amici più "militanti" è una questione reale, va affrontata. Il dialogo può aiutare. Riflettere su cosa ha funzionato e cosa no nelle passate azioni anche. E riflettere sull'uso delle tattiche di estremo confronto, che in presenza di azioni di massa finiscono per danneggiare coloro che non le hanno scelte.
Voi vi siete ad un certo punto detti che desideravate intervenire nel processo di cambiamento, che volevate agire. Prendere l'iniziativa è una forma di "leadership". In questo processo, ciascuno di voi ha scelto delle modalità, sapendo che le sue parole e le sue azioni avrebbero attratto delle persone e ne avrebbero allontanate altre. Vi siete detti disposti a sopportarne le conseguenze, ad essere responsabili delle vostre azioni. Perciò dovete tenere in mente i risultati di ciò che fate e di ciò che non fate. Se scegliete tecniche nonviolente, i risultati saranno di un tipo. Se ne scegliete altre, saranno di un altro tipo. Tutto questo non ha nulla, assolutamente nulla a che fare con la "tolleranza" o con il "rispetto". L'opzione di dichiarare esplicitamente che le nostre tecniche sono quelle dell'azione nonviolenta ha dei vantaggi ulteriori a quelli dell'efficacia dell'azione stessa. Per esempio, sottrae carburante ai nostri oppositori, che vogliono disperatamente che noi si sia violenti, e che se non lo siamo arrivano a pagare gente che lo sia in nome nostro... (I sedicenti black bloc a Genova).
Un gruppo di giovani attivisti di Filadelfia, studenti, si trovò in questa situazione qualche tempo fa. Quando li aggredì e li arrestò nella loro sede, la polizia "scoprì" opportunamente della dinamite... Gli studenti dichiararono di non aver mai predicato la violenza, ma le loro tattiche erano di confronto estremo (distruzione di proprietà) e non furono creduti.
Chi partecipa alle azioni di massa con l'atteggiamento da "mordi e fuggi" ha poco da perdere nel distruggere qualcosa o nello sfasciare vetrine. Generalmente, dopo lo sfogo di adrenalina se ne torna a casa contento. Sono gli attivisti a lungo termine, quelli per cui quell'azione è un momento di una campagna continuata che ne subiranno le conseguenze. Molto del loro lavoro arretrerà o andrà perduto.
Risolvere problemi costruisce il movimento
I movimenti sociali crescono risolvendo problemi. Mentre i movimenti crescono, crescono anche i problemi, si spera assieme alla nostra capacità di rifletterci sopra, di discuterli e risolverli. Abbiamo tanto da imparare l'uno dall'altro, da insegnarci l'un l'altro: questo tipo di attività ha la capacità di catalizzare il cambiamento e la trasformazione, portando libertà e giustizia alla portata di tutti. È un'occasione. Le scelte stanno a noi.
Basato sul lavoro di George Lakey (arrestato per la prima volta quale attivista nella campagna dei diritti civili negli Usa, Lakey ha scritto manuali sull'azione diretta e libri sul cambiamento sociale, fra cui "Strategy for a Living Revolution". In oltre 40 anni di attivismo ha tenuto seminari per gli anarchici londinesi, per gli attivisti di Act Up di New York, per i minatori del carbone della Virginia, per l'African National Congress a Johannesburg, per i gay e le lesbiche in Russia, per gli studenti rivoluzionari della Birmania e per innumerevoli altri gruppi e movimenti).
La nonviolenza comincia da me: come agire nelle relazioni
Non è necessario che io piaccia a tuttiE non è necessario che tutti mi piacciano. Mi piace essere amata/o e apprezzata/o, ma se non piaccio a qualcuno va bene lo stesso. E io non sono da disprezzare per questo. Non posso costringere qualcuno ad apprezzarmi, non più di quanto possa costringere me stessa/o ad apprezzare un altro. Rispetto le altre persone, riconosco umanità in me e in loro, ma non ho bisogno di dare o ricevere approvazione 24 ore su 24.
È giusto fare errori, va beneTutti fanno errori, anch'io, e resto una persona decente e di valore anche quando sbaglio. Non c'è ragione che io mi arrabbi quando commetto un errore. Ho tentato, e se tentando ho fatto un errore, imparerò dall'errore e continuerò a tentare in altro modo. Posso sopportare di fare errori. Anche gli altri hanno lo stesso diritto. Accetterò i miei errori e gli errori altrui come occasioni per imparare.
Le altre persone sono ok ed io sono ok
Le persone che fanno cose che non mi piacciono non sono necessariamente cattive persone. Non devono essere punite perché a me non piace ciò che dicono o fanno. Io so che tutti meritiamo rispetto e un trattamento decente. Non ho bisogno di controllare le altre persone, così come non ho bisogno di essere controllata/o.
Non ho il dovere di controllare le cose
Sopravviverò anche se le cose sono differenti da come vorrei che fossero. Posso accettarlo. E accettare me stessa/o per quello che sono. Non c'è ragione perché mi piaccia tutto. E anche se qualcosa non mi piace, posso sopportarlo.
Sono io la/il sola/o responsabile del mio comportamento
Sono responsabile di come mi sento e di come agisco. Se ho avuto una giornata schifosa, me ne faccio carico. Se ho avuto una giornata splendida me ne godo il merito. Non è responsabilità delle altre persone cambiare perché io mi senta meglio. Sono io a dirigere e guidare la mia vita.
Posso sopportare i momenti in cui le cose vanno maleSuccede. Non ho bisogno di capri espiatori. Le cose di solito vanno bene, e quando non vanno bene, posso maneggiare la situazione. Il cielo non ci cadrà sulla testa. Possiamo risolvere la situazione.
Tentare è importante
Anche se si fronteggiano ostacoli difficili, è meglio tentare che non tentare. Evitare la prova non mi darà alcuna opportunità di raggiungere il risultato che desidero, ma tentare me la darà. Non devo essere capace di fare tutto, ma so che so fare qualcosa.
Io sono una persona capace
Non ho bisogno che siano gli altri a farsi carico dei miei problemi. Sono capace. Posso prendermi cura di me stessa/o. Posso prendere decisioni per me stessa/o. Non dipendo da qualcun altro per aver cura di me.
Io posso cambiare
Non devo essere in un certo modo, od agire in una tal maniera, a causa di ciò che è accaduto in passato. Ogni giorno è un nuovo giorno. È sciocco pensare che io non possa cambiare le mie azioni, è naturale ed ovvio che posso.
Le altre persone sono capaci
Non posso risolvere i problemi per gli altri. Non devo prendere i loro problemi come se fossero miei. Non ho bisogno di cambiare le altre persone, di fissare le loro vite. Le altre persone sono capaci e possono prendersi cura di se stesse e risolvere i problemi che hanno. Io posso star loro vicina/o ed essere di qualche aiuto, ma non posso sostituirmi a loro.
Posso essere flessibile
Ci sono più modi di fare le cose. Essere in più di una persona a riflettere fa nascere idee che funzionano. Non c'è un unico modo migliore. Ognuno ha idee che hanno valore. Alcune possono avere, per me, più senso di altre, ma il contributo di tutti è utile e ciascuna/o ha il suo tassello da mettere.
Io sono responsabile delle mie azioni
Non c'è nulla che un'altra persona possa dire o fare che mi induca ad agire in un modo che so essere sbagliato. Posso sentirmi arrabbiata/o, ma non dirò e non farò nulla di cui debba pentirmi o sentirmi colpevole più tardi. Anche se una persona dice o fa qualcosa che veramente mi ferisce, io resto responsabile per come rispondo. Io posso maneggiare queste situazioni in maniera adulta, calma e responsabile.
Due torti non fanno una ragione
Non ho bisogno di vendicarmi solo perché qualcuno ha detto o fatto qualcosa di sbagliato. Qualsiasi cosa io dica o faccio non "pareggerà i conti": i risultati saranno imbarazzo, sfiducia, senso di colpa. Agire in risposta ad un comportamento non appropriato senza vendicarsi è un segno di forza e serenità. Uscire da una situazione difficile conservando la mia integrità e il rispetto per la mia maturità è molto più importante del proteggere il mio orgoglio o il mio ego.
Prendete tempo quando la situazione emotiva è tesa: non alzate la voce, non imprecate, non minacciate e non usate comportamenti intimidatori. Chiedete una pausa di 5/10 minuti, uscite dalla stanza, pensate positivamente a voi stesse/i ed al gruppo.
Ricordate sempre questi quattro punti:
-
avete il diritto di dire ciò che volete, ma non in maniera da abusare degli interlocutori, usando un linguaggio violento o intimidatorio;
-
per ottenere una comunicazione efficace dovete ascoltare ed essere ascoltati. Discutere non significa semplicemente tentare di convincere gli altri ad aderire alla vostra posizione;
-
una buona comunicazione richiede negoziazione e flessibilità. Se qualcuno deve vincere la discussione e qualcun altro deve perderla, la comunicazione sparisce;
-
nessuna istanza è più importante del vostro scopo di rimanere nonviolente/i e non abusanti nelle vostre relazioni.
Poesia per la pace
In questa vita,
apparirà una finestra
tra due eserciti,
sul campo di battaglia.
Invece di vedere i nemici,
i soldati vedranno nella finestra
se stessi quando erano bambini.
Smetteranno di combattere,
e andranno a casa, e dormiranno.
Quando si sveglieranno,
la Terra starà di nuovo bene.
(Cameron C. Penny, 9 anni, Scuola elementare "St. Clare of Montefalco", Grosse Pointe, Michigan
Fonte: Centro di ricerca per la pace e i diritti umani