La storia della Medicina non consiste solamente nei suoi progressi scientifici e terapeutici, ma anche nella storia del suo rapporta con la società in generale. In particolare, nell’uso che della Medicina è stato fatto per giustificare “scientificamente” pregiudizi sociali e politici, come le inferiorità razziali e delle donne, e la conseguente “necessità” di eliminare anche fisicamente esseri giudicati razzialmente o geneticamente inferiori. Si tratta di un aspetto che si è progressivamente sviluppato dal tardo Settecento alla fine della Seconda Guerra Mondiale, accompagnandosi anche al suo uso per la repressione dei dissidenti politici. Eli Wiesel premio Nobel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti e premio Nobel per la pace, nel 1986, in un articolo comparso nell’aprile del 2005 su una delle più autorevoli riviste mediche internazionali, il New England Journal of Medicine, affrontando il problema del coinvolgimento dei medici nazisti nell’olocausto si chiese anche perché, nell’era stalinista e post-stalinista, i medici comunisti collaborarono con la polizia segreta a torturare i prigionieri politici, diagnosticati come malati di mente ed internati in ospedali psichiatrici. Ma si domandò anche come si potessero giustificare le vergognose torture alle quali i prigionieri musulmani erano stati sottoposti dai soldati americani nel carcere di Guantanamo e in altri teatri di guerra.
Qualche mese dopo, sulla stessa rivista medica, fu affrontato il problema degli interrogatori militari sui prigionieri musulmani a Guantanamo, nei quali si usavano tattiche definite come “enhanced interrogations”, consistenti nell’uso sistematico di misure aggressive, dalla privazione del sonno all’isolamento prolungato, alle posizioni dolorose del corpo, ai finti soffocamenti e ai finti annegamenti (il cosiddetto “water-boarding”), alle percosse, alle provocazioni sessuali e a manifestazioni di disprezzo per i simboli islamici. Queste tecniche erano state definite dal Dipartimento della Difesa come “pratiche sicure, legali, etiche e tecniche efficaci, ” ma erano però state precedentemente riconosciute come torture dal Comitato dell’ONU sulle torture. L’articolo esaminava la questione come un problema di etica medica e di diritti umani in un luogo, il carcere di Guantanamo, definito come “un buco nero legale.” I metodi di interrogatorio in esso attuati erano già stati definiti dal Comitato Internazionale della Croce Rossa Internazionale ed altre istituzioni come trattamenti crudeli ed inumani, ed anche torture. Ma perché una delle massime riviste mediche internazionali, edita negli Stati Uniti, affrontava la questione? Il problema era il coinvolgimento del personale medico (sin dal 2002) di psichiatri e medici negli interrogatori di prigionieri che si mostravano resistenti. I comandanti militari della base si erano spinti ad invocare tecniche innovative per rendere gli interrogatori più produttivi, includendo nello staff che conduceva l’interrogatorio uno psichiatra ed uno psicologo. L’articolo sosteneva che le misure crudeli e degradanti, messe in atto anche con il coinvolgimento di medici, erano diventate materia di vergogna nazionale per gli Stati Uniti. Tale problema assunse tali dimensioni che nel maggio del 2006 l’Associazione Psichiatrica Americana (American Pshychiatric Association) adottò una dichiarazione che proibiva agli psichiatri una “partecipazione diretta” all’interrogatorio, includendo anche “esser presente nella stanza dell’interrogatorio, fare o suggerire domande o consigliare le autorità sull’uso di tecniche specifiche nell’interrogatorio di particolari detenuti”. Tale posizione fu assunta anche dal Consiglio sugli affari Etici e Giuridici dell’American Medical Association (Associazione Medica Americana), che affermò recisamente che “i medici non devono né condurre un interrogatorio né parteciparvi direttamente, perché un ruolo come medico-interrogatore mina il ruolo del medico come curatore”. Sempre nel 2006 la World Medical Association (Associazione Medica Mondiale) ribadì precedenti dichiarazioni in merito, asserendo che “il medico non userà né permetterà che siano usate, finché potrà, conoscenze o abilità mediche, o informazioni sanitarie specifiche di individui per facilitare o altrimenti aiutare qualsiasi interrogatorio, legale o illegale, di quegli individui”. A queste prese di posizione si contrappose il Dipartimento della Difesa Americana (sempre nel 2006) affermando che gli psichiatri, se non forniscono cure ai detenuti, dovrebbero poter fornire consigli sugli interrogatori di detenuti individuali, e che questo è “giustificato dall’esigenza di urgenti interessi di sicurezza nazionale”.
Un altro problema scottante è quello del ruolo dei medici nell’alimentazione forzata dei detenuti che attuano lo sciopero della fame per protestare contro la detenzione e le tecniche di interrogatorio. Sempre nel 2006 il NEJM affrontava il problema esaminandolo come problema di etica medica e di diritti umani, partendo da un confronto con il caso dell’alimentazione forzata del prigioniero politico Vladimir Bukosvski nell’allora Unione Sovietica. Gli scioperi della fame a Guantanamo erano iniziati l’11 settembre del 2005, e nel gennaio del 2006 fu introdotta come tecnica per interromperli una “sedia di contenzione di emergenza, ” ideata da un ex-sceriffo per il trasporto di detenuti, e definita dallo stesso inventore “una cella imbottita su ruote,” allo scopo di impedire che nessuno “digiunasse sino alla morte”. Anche qui, vi sono state diverse prese di posizione sull’argomento da parte dei medici. La più importante di esse è la dichiarazione di Malta, che nell’aggiornamento del 2006 è inequivoca: “l’alimentazione forzata non è mai eticamente accettabile". Anche se con l’intenzione di un beneficio, l’alimentazione forzata accompagnata da minacce, coercizione o uso di costrizioni fisiche è una forma di trattamento inumano e degradante”. Incidentalmente, l’argomento è anche affrontato nell’attuale Codice deontologico dei medici italiani, che all’articolo 51 recita “ se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumer iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di natura artificiale …” Da qualche mese un altro sciopero della fame è attualmente in corso a Guantanamo ed è stato affrontato in un recente editoriale del NEJM. In esso vengono citate due dichiarazioni del Presidente Barak Obama, che sin dall’inizio del suo mandato aveva cercato e tenta tuttora di chiudere il carcere di Guantanamo, incontrando una fortissima opposizione al Congresso. Nella prima, in Aprile, egli disse “non voglio che essi muoiano”; nella seconda, a Maggio, egli si chiedeva: “guardiamo alla nostra attuale situazione, nella quale stiamo nutrendo forzatamente detenuti che sono in sciopero della fame .. E’ questo quello che siamo? .. E’ questa l’America che vogliamo lasciare ai nostri figli?” Oltre a ribadire la condanna alla partecipazione medica all’alimentazione forzata, l’articolo affronta la scottante questione dei differenti standards etici cui sottostanno i medici militari rispetto ai medici civili, poiché come ufficiali militari, essi devono obbedire a ordini militari, anche se violano l’etica medica, per cui i medici che hanno parte in questo processo non medico diventano armi per mantenere l’ordine nella prigione. La presa di posizione è chiara: ”I medici a Guantanamo non possono permettere che i militari usino loro e le loro capacità mediche per scopi politici, e allo stesso tempo rispettino i loro doveri etici: l’alimentazione forzata di una persona competente non è una pratica medica: è un’aggressione grave.” E ad aprile l’AMA ha opportunamente scritto al Segretario della Difesa che “l’alimentazione forzata di detenuti viola il nocciolo dei valori etici della professione medica”. Ma bisognerebbe fare di più, prosegue l’articolo, come fare pressioni sui leaders del Congresso e affermare chiaramente che a nessun medico militare si debba mai chiedere di violare l’etica medica, e che i medici militari che rifiutano di violare l’etica medica dovrebbero essere attivamente e fortemente sostenuti. L’editoriale conclude che Guantanamo è stata descritta come “un buco nero legale”, ma sempre più essa diventa una zona senza etica medica. Per completare il quadro delle opinioni sull’argomento, si può concludere questa rapida esposizione rimandando ad un’altra prestigiosa rivista medica, questa volta inglese, The Lancet, che nel marzo 2006 pubblicò una lettera di 255 medici dove si ricorda che i prigionieri hanno il diritto di rifiutare l’alimentazione forzata, che il governo del Regno Unito aveva riconosciuto questo diritto anche in “circostanze molto difficili,“ lasciando morire di fame dieci appartenenti all’Esercito Repubblicano Irlandese che avevano intrapreso lo sciopero per protestare contro il governo. La lettera ricordava che il New York Times aveva riportato che i detenuti in sciopero della fame sono fissati con cinghie a sedie di detenzione in celle di isolamento fredde, e terminava richiedendo con fermezza al governo americano che i detenuti fossero assistiti da medici indipendenti e che le sedie ritenzione per l’alimentazione forzata venissero immediatamente abbandonate in accordo con gli standards internazionali accertati. Ma è stato anche recentemente obiettato da uno studioso della Scuola di Scienze Politiche di Haifa che chi decide di procedere all’alimentazione forzata si trova a dover prendere in considerazione le possibile conseguenze negative della morte per fame degli scioperanti, o aderire alle loro richieste, riportando però che in occasione di un recente sciopero della fame di detenuti Palestinesi anche che l’associazione Medica Israeliana già nel 2005 aveva dato istruzione ai suoi membri di attenersi alle linee guida dell’Associazione Medica Mondiale.
Per chi è interessato ad approfondire l’argomento, fornisco i riferimenti bibliografici degli articoli citati
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E Wiesel: Without Conscience, New England Journal of Medicine (NEJM), 2005; vol. 352: pag. 1511
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M Gregg, JH Marks: Doctors and Interrogators at Guantanamo Bay, NEJM, 2005; vol. 353: pag.6-8
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DJ Nicholl et al: Forcefeeding and restraint of Guantanamo Bay hunger strikers, The Lancet, 2006; vol. 367: pag. 811
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GJ Annas, SS Crosby, LH Glantz: Guantanamo Bay: a Medical ethics-free Zone?; NEJM, 2013, vol. 369: pag. 101- 103
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ML Gross: Force-feeding, Autonomy and the Public Interest, NEJM, 2013, vol. 359; pag 103-105