Lo scorso novembre, durante un incontro pubblico in cui parlavo di pacifismo e nonviolenza ecc., un uomo fra i presenti mi ha chiesto più o meno: "Qual è il problema principale dell'attivismo italiano?".
Io ho risposto: "La memoria corta" Ve ne sono altri, ovviamente, e non meno gravi (dalla bramosia per la "testa del corteo" alla militarizzazione delle pratiche, fino all'incapacità non solo di fare rete, ma persino di capire cosa una rete è). Tuttavia la questione della memoria "volatile", superficiale, che trasforma e cancella i fatti con sorprendente velocità, è il problema principale non solo degli attivisti, ma dell'intero popolo italiano.
La prima catastrofe che essa comporta è che nessuno impara dagli errori, e pazienza per quelli altrui: nessuno impara dai propri. Così, dalle relazioni interpersonali all'impegno in qualsivoglia causa, si ripetono le stesse azioni per la centesima volta anche se le precedenti 99 avevano condotto a sbattere sonoramente la testa contro un muro. Tutti si rialzano con il bozzo in testa, lamentando il destino cinico e baro, scaricando la colpa sugli alleati, sugli avversari, sulla natura matrigna e il partito patrigno, poi vanno allegramente a sbattere di nuovo.
La seconda catastrofe è che questa labilità sensoriale permette di banalizzare qualsiasi cosa accada, purché non stia accadendo direttamente a te. La memoria consentirebbe di fare paragoni e collegamenti, di trovare radici, di esaminare parallelismi, di esercitare uno sguardo ex-centrico, di nutrire simpatia ed empatia. Ma in mancanza di memoria tutto e il contrario di tutto si equivalgono, e tu puoi vivere in un paese in guerra (anche se la guerra la fa a centinaia di migliaia di chilometri dal proprio suolo), in cui esistono leggi razziali, la cui classe politica ruba e truffa alla luce del sole, e non accorgerti di nulla. O meglio: non dai ai fatti alcuna importanza. Non stanno accadendo a te (così pensi tu, sbagliando). Al massimo dirai, come ho sentito dire io stessa a più di qualcuno: "Bè, chi è che non ha niente da nascondere?".
Gli smemorati sono più facilmente indotti ad essere complici. Gli si fa credere che un giorno la fortuna, le escort e i viaggi vacanza di lusso potrebbero toccare anche a loro. Basta che continuino a guardare grandi fratelli, stelline che ballano, sanremi che cantano e amici defilippeschi, e che continuino a votare un delinquente miliardario, il quale da quindici anni pesca nelle loro tasche per nutrire i suoi favoriti e le sue cortigiane. Agli smemorati si è rubato ogni sogno possibile, ogni futuro: possono solo desiderare di diventare appunto favoriti o cortigiane. "Sciavo vostro, sior paron".
L'assenza di memoria (che deriva anche dall'assenza di narrazione, e cioè di spazi per narrare e volontà di narrare) mi risulta, in alcuni casi, particolarmente ridicola: è quando tocca la condizione femminile. Oggi mi è toccato leggere di quanto siamo libere e felici e fieramente competitive mentre "galoppiamo sulla prateria del sorpasso". Questo mentre tutti gli indici internazionali danno l'Italia al ribasso per equità di genere, e le donne italiane sprofondano nella precarietà, nella disoccupazione, nei dislivelli salariali, nel malfunzionamento dei servizi e nell'attacco ai loro diritti di salute riproduttiva. Probabilmente la donna che galoppa è una dei pard di Tex Willer, laggiù nell'avventuroso West: perciò, non vivendo dove vivo io, non vede ciò che io vedo. Per esempio, io ho visto Filomena.
Filomena Rotolo muore a Taranto il 19 gennaio 2010, a seguito delle ferite riportate nel corso di un'aggressione a scopo di rapina, seguita da stupro. Tale è il linguaggio giudiziario che descrive il caso. Il linguaggio meno ufficiale ci fa sapere che Filomena era una clochard, o una bag lady, o comunque si voglia poeticamente definire una persona che vive per strada, che ogni notte cerca un posto dove dormire e che ogni giorno si arrabatta per trovar da mangiare. Filomena aveva 42 anni, 5 euro e un cellulare. L'assassino le ha portato via tutto. Filomena è stata soccorsa ventiquattr'ore dopo l'accaduto. Probabilmente avrebbe potuto salvarsi se non fosse stata confinata nel recinto delle "persone che non si devono vedere e che perciò, a priori, non esistono". La società italiana aveva dato per morta Filomena ben prima della sua dipartita reale.
E poi ho visto Maria, anni 10. Maria viveva con la mamma e il compagno di quest'ultima in una grotta, a Frascati. L'acqua gelida della fontanella lavava la bimba e i suoi abiti: era così in ordine, quando andava a scuola, che nessuno si è accorto di nulla, per un anno intero. Maria nella grotta a Natale 2009, ha un che di suggestivo, non trovate? Se solo uno straccio di stella cometa fosse andato a posarsi là sopra, forse ci saremmo accorti prima della sua esistenza. O forse no, se c'era il reality in tv, a quell'ora. Perché stavano nella grotta? Perché entrambi gli adulti hanno perso il lavoro, e perso il lavoro hanno perso la casa, ed erano troppo onesti per fare altro. "Bè, chi non ha niente da nascondere?". Eccoli qui. Sono quelli che non si vedono.
Ah, e poi ho visto una "sposa" di 13 anni andare in ospedale da sola, a Brescia, preoccupata perché il "marito" ventunenne è affetto da Aids e non si è neppure preoccupato, avendo rapporti sessuali con la bambina, di proteggerla (ehi, non si chiama "differenza di cultura", si chiama "riduzione in schiavitù"); ho visto una donna strozzata dentro un divano-letto dal suo compagno, che si è giustificato dicendo che lei era ubriaca, e il mobile santodio era difettoso; ho visto una dodicenne stuprata per due anni dai suoi "amici" poco più che coetanei e il solito commento sulle "famiglie italiane assolutamente normali"; ho visto Emiliana massacrata a colpi di coltello a 24 anni, a Napoli, perché il suo ex "non accettava la fine del loro rapporto" (via, sarà stato un raptus: l'aveva pedinata, minacciata e aggredita solo per otto mesi di fila). Devo continuare? Questo articolo verrebbe di trenta pagine.
E infine ho visto un vecchio signore liftato, con parrucchino lussuoso, scherzare giulivo sulle belle ragazze albanesi: per chi le porta, ha detto, si può fare un'eccezione nella lotta agli scafisti. Solo che in Italia le ragazze albanesi soffrono e muoiono, come ha ricordato la scrittrice Elvira Dones in una lettera aperta a questo farabutto: "Io quelle 'belle ragazze' le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A 'Stella' i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. È solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio. Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel 'puttanà sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero".
Ritrovate la memoria, gente. Se lo fate, ritroverete la speranza. Se ritroverete la speranza, troverete dignità, solidarietà, amicizia e amore. Non dite subito di sì a qualsiasi stupidaggine vi propinino: indagate, valutate, chiedetevi cosa è vero, cosa è giusto, cosa è sensato, cosa è umano.
"Perché la parola "sì" è tanto breve? Dovrebbe essere la più lunga, la più difficile, così che tu non possa decidere di dirla in un istante, così che riflettendo tu possa fermarti nel mezzo della sua pronuncia" (Vera Pavlova, poetessa russa contemporanea)
Fonte: Centro Ricerca per la Pace di Viterbo