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Lettera alla CGIL della Spezia: "Quale futuro per la città militare?"

La città della Spezia è dalla nascita del Regno d'Italia uno dei principali poli dell'industria militare nazionale: l'Arsenale militare fu costruito tra il 1962 e il 1869 e poi arrivarono Oto Melara, Fincantieri, MBDA e tutta una serie di industrie militari minori, oltre al Comando Subacquei e Incursori (Consubin) e alla base Nato (Nato Undersea Research Centre).

La CGIL della Spezia ha organizzato una tre giorni dal titolo “Avanti Popolo”. Un gruppo di associazioni locali ha scritto ai promotori dell'iniziativa la seguente "Lettera aperta", tratta dal sito di Unimondo.

“Avanti Popolo”: per quale futuro e quale tipo di sviluppo?

La CGIL della Spezia ha organizzato una tre giorni di dibattiti e spettacoli dal titolo “Avanti Popolo” con l’intento di “guardare lontano” e di “provare a disegnare un'ipotesi di futuro e di sviluppo”.

Come associazioni da anni impegnate nella promozione della pace, dei diritti umani e nella cooperazione internazionale non possiamo non valutare positivamente ogni momento di confronto di opinioni e di dibattito pubblico sui temi di grande importanza che l’iniziativa ha messo al centro della tre giorni.

In particolare riteniamo di ampia rilevanza – e non solo per la nostra città – il dibattito sullo Sviluppo industriale, sviluppo del territorio” che prevede gli interventi di Mauro Moretti (Presidente Finmeccanica), Domenico Rossi (Sottosegretario alla Difesa) e Fabrizio Solari (Segretario Confederale CGIL). Crediamo infatti che una seria ed approfondita riflessione vada fatta su questo argomento in considerazione delle sue ricadute sul modello di sviluppo della nostra città, ma anche per la sue implicazioni sul modello di difesa e di cooperazione internazionale che l’Italia e la nostra città intende promuovere.

Vorremmo al riguardo sottoporre all’attenzione alcune informazioni e dati sulla funzione dell’industria della difesa e sul suo effettivo operato attuale.

  • Un recente documento del “Comitato economico e sociale europeo” sul tema Necessità di un'industria europea della difesa: aspetti industriali, innovativi e sociali” (qui in .pdf) afferma: «Non esiste un’impostazione strategica comune, né tra i governi, né tra i partner industriali. Tutte le società industriali con sede in Europa si focalizzano sui mercati d'esportazione». E più avanti: «Le industrie della difesa dispongono di un notevole margine di manovra sui mercati d’esportazione. Ciò è in parte dovuto alla privatizzazione e in parte all'incoraggiamento da parte dei governi: la crisi economica sta trasformando alcuni ministri della Difesa in promotori delle esportazioni esplicitamente riconosciuti». Il comitato avverte quindi: «Se l'Europa intende mantenere una solida industria della sicurezza e della difesa, capace di sviluppare e produrre sistemi all’avanguardia, garantendo in questo modo la propria sicurezza, è necessario un cambiamento radicale di mentalità e di politiche».
  • Secondo i dati ufficiali delle Relazioni della Presidenza del Consiglio, nel quinquennio dal 2008 al 2102 solo il 45% dei sistemi militari è stato destinato ai paesi appartenenti alla Nato-Ue mentre il 55%, cioè più della metà, a paesi con cui l’Italia non ha alcuna alleanza politica, militare o economica. Nello specifico i principali destinatari delle licenze di esportazione sono stati: Medio Oriente (41,7%), Europa Occidentale (24,2%), Asia (12,7%), Nord America (8,8%), America Latina (3,7%), Europa Orientale (3,7%), Economie sviluppate (3,6%) e Africa (1,6%). Nel solo 2013, ultimo dato disponibile, l’Italia ha autorizzato esportazioni di sistemi militari ai paesi del Medio Oriente per oltre 709 milioni di euro (su un totale di 1,5 miliardi di euro) ed effettuato un record di consegne in quella zona per oltre 888 milioni di euro (su un totale di 2,8 miliardi).
  • Per venire al territorio spezzino, negli anni recenti le aziende del nostro territorio hanno definito lucrosi contratti con i regimi di diversi paesi autoritari[1] come l’Algeria (la “nave d’assalto anfibio” della Orizzonte Sistemi Navali, la joint-venture tra Fincantieri e Selex Sistemi Integrati del valore di oltre 416 milioni di euro oltre a 14 elicotteri A139 in versione militare della AgustaWestland del valore di oltre 167 milioni di euro); gli Emirati Arabi Uniti alla cui Marina Militare sono state consegnate la corvetta “Abu Dhabi Class” e il pattugliatore “Ghantut” dotati dei complessi navali militari della Oto Melara; il Pakistan (10 sistemi missilistici da contraerea tipo Spada 2000 Plus dotati di 200 missili Aspide 2C della MBDA per un valore complessivo di 415 milioni di euro) e il Turkmenistan col quale la MBDA ha un contratto di 162 milioni di euro per la fornitura di 25 sistemi missilistici Marte e Oto Melara per otto complessi binati navali 40/70 compatti per un valore di circa 28 milioni di euro.

Alla luce di questi dati sorgono spontanee alcune domande che intendiamo sottoporre all’attenzione dei relatori: la nostra “industria della difesa” serve davvero alla difesa italiana o ha invece come scopo principale il suo mero autoconsolidamento? Quali passi concreti sta facendo il governo Renzi e la maggiore azienda militare nazionale per un’effettiva integrazione dell’industria militare europea e per la riconversione di settori obsoleti che vengono oggi mantenuti operativi soprattutto cercando acquirenti tra i regimi autoritari di paesi in zone di conflitto dal nord Africa al Medio Oriente al Caucaso? O dobbiamo ritenere che le nuove politiche e strategie commerciali siano quelle che abbiamo visto col tour promozionale del gruppo navale Cavour denominato “Sistema paese in movimento” che dal novembre 2013 all’aprile scorso ha toccato tutti i porti del Golfo persico e ha circumnavigato l’Africa alla ricerca di nuovi acquirenti di armamenti? E i sindacati locali sono disposti a mettere in discussione alcune di queste lucrose commesse militari o intendono chiedere di conservare un asset industriale-militare nella nostra provincia ad ogni costo pur di salvaguardare i posti di lavoro?

Crediamo che a queste domande si debba dare risposta. Se, infatti, il compito della “industria della difesa” dovrebbe essere quello di promuovere maggior sicurezza per tutti, l’attuale performance dell’industria militare italiana e, soprattutto, le esportazioni di sistemi militari a paesi in zone di conflitto, a governi che spendono ingenti risorse in campo militare contribuendo alla corsa agli armamenti e all’instabilità regionale, a regimi che sono responsabili di violazioni dei diritti umani e di forti limitazioni delle libertà democratiche, a paesi con livelli precari di sviluppo umano rischiano non solo di produrre maggiore insicurezza ma rappresentano una seria minaccia per la pace e lo sviluppo sostenibile.

Ci ha fatto riflettere la bella immagine della bambina raffigurata nel manifesto della vostra iniziativa. Siamo convinti che vogliamo tutti fare in modo che i suoi “occhi puri e profondi che guardano lontano” non vengano mai più oscurati dagli occhi in lacrime di tante altre bambine e bambini vittime delle guerre e delle armi prodotte anche in Italia. Siamo disponibili a partecipare a momenti di confronto e di approfondimento su questi temi che investono non solo il futuro della nostra provincia ma anche quello di tante popolazioni nel mondo.

Cogliamo, infine, l’occasione per invitare le rappresentanze del mondo del lavoro e le associazioni spezzine a partecipare domenica alla manifestazione che si terrà a Firenze “Un passo di pace” promossa dalle reti pacifiste e per il disarmo nazionali. E’ un momento importante in cui verranno presentate proposte concrete per costruire insieme politiche e iniziative di pace, di cooperazione internazionale e di sviluppo umano.

Grazie per l’attenzione,

Pietro Lazagna (Amici di Nevè Shalom - Wahat al Salam)

Giancarlo Saccani (Associazione spezzina solidarietà con il popolo Saharawi - Laboratorio di Pace)

Giorgio Beretta (Campagna di pressione alle “banche armate”)

Alfredo Giusti (Circolo Dossetti)

Omar Carocci (Coordinamento nazionale Freedom Flotilla Italia)

Laura Ricciardi (Emergency – La Spezia)

Rosaria Lombardi e Carla Sanguineti (Gruppo di Azione Nonviolenta della Spezia)

[1] La definizione di “regime autoritario” non è nostra ma è tratta dal Democracy Index 2013 dell’Economist Intelligence Unit. Il Turkmenistan è uno dei cinque regimi più autoritari del mondo: nella lista dei 167 paesi esaminati figura infatti al 163° posto seguito da Chad, Repubblica Centrafricana, Guinea-Bissau e Corea del Nord.