Ci sono immagini raccapriccianti che immediatamente trasmettono quelle che le parole faticano a comunicare. L'immagine, che domenica 24 agosto ha fatto il giro di tutti i nostri telegiornali, della ragazzina irachena di tredici anni con le braccia dietro la schiena, è una di queste.
Portava sotto l'abito un giubbotto con circa 12 chili di esplosivo.
Portava sotto l'abito un giubbotto con circa 12 chili di esplosivo.
Precedentemente le stragi in Algeria, del 19 agosto, con 43 morti per un kamikaze che si è fatto esplodere di fronte a una scuola di polizia nella città di Issers; e prima ancora, sempre in Iraq, dove due donne kamikaze si sono fatte esplodere durante il pellegrinaggio sciita verso Kerbala, uccidendo 19 persone e ferendone 75, non avevano colpito così direttamente la nostra sensibilità ed indignazione. Quasi che a certi fatti ci si sia ormai abituati, soprattutto quando chi li compie rimane, essenzialmente, senza faccia, senza identità.
Anche se molte domande, sull'episodio della ragazzina irachena, restano al momento senza risposta, resta allarmante l'uso delle donne-kamikaze. Oltre tutto nella variante "cecena", per cui a far esplodere l'ordigno è qualcuno a distanza. La ragazzina, nelle condizioni in cui è stata scoperta e arrestata, legata a una rete, non era in condizione di innescare il detonatore. C'è quindi un orrore di mano femminile, che va dalle donne-bomba kamikaze alle torturatrici di Abu Ghraib, che rappresenta una novità.
Conoscevamo i kamikaze giapponesi della seconda guerra mondiale; i piloti suicidi che si abbattevano sulle navi nemiche. Benché percepiti come "armi improprie", erano militari che uccidevano altri militari; il loro bersaglio non era dunque costituito da vittime inermi.
Questo spiega perché i piloti suicidi giapponesi non sono stati mai considerati dei terroristi.
La condanna del terrorismo "contro lo Stato", tramite un corpo-arma che non punta a preservarsi dalla morte ma a uccidere uccidendosi, non può però essere separata dalla condanna del terrorismo "di Stato", come nel caso del bombardamento dell'aviazione statunitense contro una presunta base dei taliban nell'ovest dell'Afghanistan, del 22 agosto, con l'uccisione (secondo l'inchiesta delle Nazioni Unite) di 90 civili: 60 bambini, 15 donne e 15 uomini, nel villaggio di Azizabad, nella provincia di Herat.
In entrambi i casi le vittime sono degli inermi.
E questa logica aberrante, secondo la quale la strage degli inermi diventa un criterio che giustifica, anzi impone, la strage di altri inermi, deve essere assolutamente rifiutata.
L'altro elemento che colpiva nella vicenda della ragazzina irachena, era che ci trovavamo davanti a poco più di una bambina.
Non dobbiamo dimenticare che molti bambini sono vittime della guerra terrorista, di Stato o meno.
Nasciamo tutti nello stesso modo, veniamo tutti da un ventre di donna, abbiamo tutti gli stessi bisogni: bisogno d'amore, di essere accolti e nutriti da un seno caldo.
Eppure solo alcuni nel mondo trovano braccia avvolgenti e un ambiente sicuro dove crescere.
Sbattuti sulla terra molti bambini non sopravvivono alla fame e alle malattie, alle guerre e alla violenze domestiche. È un "effetto collaterale" della nostra moderna civiltà, che drammaticamente distingue nettamente tra bambini "consumatori" e "consumati".
I bambini "consumatori" appartengono a quella parte del mondo detto occidentale, dove sono anche una leva economica, che produce per loro più il superfluo (e dannoso) che non l'utile, e che li lusinga al consumo tramite pubblicità indiretta o diretta, estremamente invadente e con il suo centro nella televisione.
I bambini "consumati" appartengono a quelle parti del mondo dove la maggioranza della popolazione è misera e indigente, e dove ci si serve dei bambini come manodopera, come soldati, come oggetti sessuali per la brutalità degli adulti.
Di tutto questo abbiamo avuto qualche accenno per quello che riguarda il fenomeno dei bambini soldato. Centinaia di migliaia di ragazzini costretti dalla barbarie degli adulti a scegliere fra uccidere o essere uccisi, nelle tante guerre del silenzio superficialmente considerate sempre come "tribali". Trasformati in spietate macchine per uccidere e capaci di ogni nefandezza, con grande partecipazione. Questi "soldatini di piombo" sono burattini nella mani di "Signori della guerra" e di insospettabili uomini di affari, anche occidentali, per accaparrarsi enormi ricchezze naturali, il vero motivo di tante guerre definite "tribali". Una ragione in più per scuotere la coscienza e la nostra capacità di indignazione.
Anche se molte domande, sull'episodio della ragazzina irachena, restano al momento senza risposta, resta allarmante l'uso delle donne-kamikaze. Oltre tutto nella variante "cecena", per cui a far esplodere l'ordigno è qualcuno a distanza. La ragazzina, nelle condizioni in cui è stata scoperta e arrestata, legata a una rete, non era in condizione di innescare il detonatore. C'è quindi un orrore di mano femminile, che va dalle donne-bomba kamikaze alle torturatrici di Abu Ghraib, che rappresenta una novità.
Conoscevamo i kamikaze giapponesi della seconda guerra mondiale; i piloti suicidi che si abbattevano sulle navi nemiche. Benché percepiti come "armi improprie", erano militari che uccidevano altri militari; il loro bersaglio non era dunque costituito da vittime inermi.
Questo spiega perché i piloti suicidi giapponesi non sono stati mai considerati dei terroristi.
La condanna del terrorismo "contro lo Stato", tramite un corpo-arma che non punta a preservarsi dalla morte ma a uccidere uccidendosi, non può però essere separata dalla condanna del terrorismo "di Stato", come nel caso del bombardamento dell'aviazione statunitense contro una presunta base dei taliban nell'ovest dell'Afghanistan, del 22 agosto, con l'uccisione (secondo l'inchiesta delle Nazioni Unite) di 90 civili: 60 bambini, 15 donne e 15 uomini, nel villaggio di Azizabad, nella provincia di Herat.
In entrambi i casi le vittime sono degli inermi.
E questa logica aberrante, secondo la quale la strage degli inermi diventa un criterio che giustifica, anzi impone, la strage di altri inermi, deve essere assolutamente rifiutata.
L'altro elemento che colpiva nella vicenda della ragazzina irachena, era che ci trovavamo davanti a poco più di una bambina.
Non dobbiamo dimenticare che molti bambini sono vittime della guerra terrorista, di Stato o meno.
Nasciamo tutti nello stesso modo, veniamo tutti da un ventre di donna, abbiamo tutti gli stessi bisogni: bisogno d'amore, di essere accolti e nutriti da un seno caldo.
Eppure solo alcuni nel mondo trovano braccia avvolgenti e un ambiente sicuro dove crescere.
Sbattuti sulla terra molti bambini non sopravvivono alla fame e alle malattie, alle guerre e alla violenze domestiche. È un "effetto collaterale" della nostra moderna civiltà, che drammaticamente distingue nettamente tra bambini "consumatori" e "consumati".
I bambini "consumatori" appartengono a quella parte del mondo detto occidentale, dove sono anche una leva economica, che produce per loro più il superfluo (e dannoso) che non l'utile, e che li lusinga al consumo tramite pubblicità indiretta o diretta, estremamente invadente e con il suo centro nella televisione.
I bambini "consumati" appartengono a quelle parti del mondo dove la maggioranza della popolazione è misera e indigente, e dove ci si serve dei bambini come manodopera, come soldati, come oggetti sessuali per la brutalità degli adulti.
Di tutto questo abbiamo avuto qualche accenno per quello che riguarda il fenomeno dei bambini soldato. Centinaia di migliaia di ragazzini costretti dalla barbarie degli adulti a scegliere fra uccidere o essere uccisi, nelle tante guerre del silenzio superficialmente considerate sempre come "tribali". Trasformati in spietate macchine per uccidere e capaci di ogni nefandezza, con grande partecipazione. Questi "soldatini di piombo" sono burattini nella mani di "Signori della guerra" e di insospettabili uomini di affari, anche occidentali, per accaparrarsi enormi ricchezze naturali, il vero motivo di tante guerre definite "tribali". Una ragione in più per scuotere la coscienza e la nostra capacità di indignazione.