La mamma del giovane Stefano Cucchi, entrato vivo nelle maglie della Giustizia il 15 ottobre 2009 e uscitone morto il 22: chi la ricorda? Naturalmente, tutti sappiamo che esiste, l’abbiamo anche intravista alla tv. Lei l’ha messo al mondo con dolore, lei l’ha visto precipitare nella sua difficile vita, lei ha visto la sua tragica fine. E la madre del trans Brenda, ucciso in un paese straniero, dopo essere vissuto per anni in una topaia di Roma? Quante madri vivono nel dolore per i loro figli? Di là dai fatti di cronaca, che sono milioni, pensiamo mai alle madri? Stefano ha un viso indimenticabile. La magistratura indaga su alcuni medici e agenti di custodia, e questo è un suo compito, ma il nostro, di cittadini, qual è? Del mondo del carcere l’opinione pubblica conosce quello che dicono i mass media e i mass media pubblicano solo quello che sanno in via ufficiale, fanno qualche inchiesta e, pur non essendo in grado di controllare la veridicità delle versioni ufficiali, le accompagnano con diversi commenti. Informazioni o disinformazioni e opinioni personali, quindi, si rincorrono e si confondono.
La fiducia nella Giustizia come istituzione passa attraverso la fiducia nel comportamento di tutti coloro che la compongono e la sorreggono. Il nostro compito di cittadini, oltre a quello morale, intoccabile, che ci permette di parlare della sacralità della vita, è di tenerci informati, di sapere, di «voler» sapere sempre la verità. Dio non condannò Caino a morte o alla tortura fisica: lo allontanò dalla comunione dei suoi fratelli. La sua condanna fu di essere fuori dell’amore della comunità. Restò solo.
Il germe della violenza si annida ovunque, cerchiamo di capirne le cause tenendoci informati, perché il mondo della Giustizia si trova di fronte a problemi immensi. Conosco alcuni volontari che si occupano dei detenuti e delle loro famiglie, e mi sembra giusto parlarne (e nello stesso tempo ricordare il lavoro di tutti quelli che dedicano molta parte delle loro giornate a questo infelice settore dell’umanità). Ecco qualche dato da giornali e tv.
Un nordafricano «si uccide» nel bagno di un istituto di pena per minorenni: vi era rinchiuso da tre mesi e mezzo, e per cosa? Per un tentato furto. Un uomo di 41 anni «dimenticato» in carcere. Nei primi dieci mesi e mezzo del 2009 si sono contati 65 «suicidi» (le virgolette sono dei mass media e indicano i dubbi sia dei giornalisti sia degli inquirenti). Un giornale titola: «Carceri allo stremo», e un altro: «Quando la punizione diventa un inferno». E dove? Proprio «nei luoghi che dovrebbero rieducare chi ha sbagliato».
In un dossier compilato da esperti di argomenti penitenziari si segnala o, meglio, si denuncia: «Problemi dei detenuti: nei volontari un senso di impotenza». Sui quotidiani: «Carceri, la protesta degli psicologi». Sono i vincitori di un «concorso del 2004 avviato per integrare le carenze del trattamento rieducativo dei detenuti»: vogliono finalmente essere assunti. Si pensi poi al sovraffollamento: una tortura quotidiana.
I dati documentali sgomentano qualsiasi persona. Le notizie sono queste e, purtroppo, anche altre. Ma perché, dunque, si soffre inutilmente e si muore colpevolmente? La persona umana è troppo importante per un cristiano per essere lasciata nella tempesta. Queste madri ci a iutano a ricordare che Dio ammonisce: «Chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte di più».
Mario Pancera