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Dare un futuro alla svolta profetica di Francesco (Assisi, 24-27 agosto 2017) – appunti di Enrico Peyretti [Seconda parte - 25 agosto]

«Un Dio che sorprende», quello annunciato da papa Francesco, è il tema più difficile, affrontato da Raniero La Valle. Ma c'è un altro Dio che non sorprende, che giace nel catechismo. Poi c'è quello onnipotente, nella cultura comune, per chi lo afferma, per chi lo nega, per chi lo ignora. Per gli archeologi del sacro, la ricomparsa di un Dio che sorprende è un incidente sgradito. Francesco è solo, combattuto con astio.


Non è certo la prima volta che Dio sorprende. Ha sorpreso Adamo, col mettergli accanto la donna e dandogli la libertà, non più determinato dalle potenze divine. Ha sorpreso Noè: la terra non sarà più distrutta. Sorprende Abramo, facendo a pezzi l'ideologia sacrificale. Gesù sorprende tutti, tacendo sulla vendetta, nel leggere Isaia (in Luca 4). Sorprende la Samaritana: non c'è un tempio che vale più dell'altro. Sorprende la chiesa primitiva: da uguale a Dio il Cristo si è fatto servo (Filippesi 2).

È un Dio inedito, inesauribile. Dio non cambia, ma lo conosciamo meglio, come chiedeva papa Giovanni al Concilio. Questa è la ragione del pontificato di Francesco. Gli obiettano che Gesù è l'edizione definitiva di Dio. Ma Giovanni evangelista conclude: ci sono tante altre cose da dire di lui. La svolta di papa Francesco fa cambiare epoca. Prima, era angoscioso il problema della salvezza fuori dalla chiesa.

Il Dio di Francesco non è suo, è uscito dopo le tragedie del 900, fa corpo con l'evento Concilio. Francesco non è apolide, appartiene alla tradizione profonda, ritrovata dal Concilio. Anche Benedetto XVI ha detto che è «del tutto errata la tradizione sacrificale» e che c'è una «evoluzione del dogma». La Commissione Teologica Internazionale ha parlato di «Dio nonviolento». Siamo in una nuova fase della storia della salvezza. C'è un ripensamento dell'idea stessa di religione. In questo senso il magistero di Francesco è dottrinale.

Come dare un futuro alla svolta? Benedetto XVI ha detto che nel catechismo ci sono cose errate. Molari propone di cambiare catechismo per la nuova teologia evolutiva. Piuttosto: metterlo negli scaffali. Non può afferrare il vento dello Spirito. Mettere il vangelo al posto del catechismo.

Poi, rimettere mano ai libri liturgici, dove c'è da correggere un linguaggio sacrificale espiatorio. Infine, sui migranti: non basta l'accoglienza, sono un problema teologico-messianico, sono il segno dell'unità umana. C'è il diritto umano universale a migrare per vivere. Ho usato una parola grave: genocidio. Essi sono il popolo della tragedia comune, la fuga. Se non esistono per noi, è genocidio. Sono uccisi in quanto popolo dell'esodo.

Nella discussione, La Valle si chiede: e se non fosse vero ciò che diciamo di Francesco? I profeti, si dice, “raccontano i loro sogni, profetizzano i loro desideri”. Allora, facciamo un'altra lettura: il papato di Francesco come ultima difesa contro la catastrofe. Come quel katékon opposto al mysterium iniquitatis, al potere assoluto senza legge, selvaggio, che è oggi il denaro. Siamo tentati di farci rappresentare in questo da Francesco? Furono ritenuti tale katékon l'impero romano e il sacro romano impero. Ma è Francesco che dichiara chiusa la cristianità. Lava i piedi a donne musulmane. Rifiuta di riferire il terrorismo all'islam, rifiutando la guerra di religione. Così il mondo può ancora sperare. Francesco frena-ferma la catastrofe: per questo è combattuto, perché le forze distruttive non vogliono essere fermate. Allora, è nostro compito la resistenza alla globalizzazione selvaggia.

Rosanna Virgili, teologa e biblista, parte da quel «Buona sera!» di Francesco. Lo stile non si improvvisa, è il modo di essere. La gentilezza è amore. Dio parla un linguaggio familiare: «Adamo, dove sei?». Risponde, ascolta, scende a vedere. La sua parola è cor(con)-rispondenza. Francesco pone domande e risponde a domande. Per il sinodo sulla famiglia propone un questionario. Chiede: «Chi sono io per giudicare?».

Usa il linguaggio della gioia. Ha fatto sparire il verbo dovere. Nella Bibbia c'è la legge, la sapienza, la profezia. La tradizione cattolica ha ridotto tutto a legge. Ma la torah significa sapienza, parla con consiglio, narrazione, imbandisce una mensa, alla pari. Francesco ha uno stile di cura, la chiesa infermiera, non mater et magistra.

Il poliedro è sempre altro, non è chiuso. Il linguaggio di Francesco è destrutturato, non dogmatico, ma kerigmatico. Per questo è criticato. Il cristianesimo nasce come destrutturazione: Dio vuole la distruzione del suo tempio, la sua gloria esce dal tempio. Ezechiele denuncia la corruzione nel tempio. Ci vuole coraggio a demolire. Sulla croce finisce il patriarcato religioso, Dio si destruttura come padre. Francesco fa una chiesa orizzontale, costringe i cattolici a pensare.

Alla domanda su Dio e il male, Francesco ha risposto: «Non lo so. Posso solo accarezzare chi soffre». Su donne e ministeri, c'è il tabù del sangue mestruale. Ma i catechisti sono al 95% donne. Le teologhe entrino nei documenti della chiesa. Il potere oggi lo hanno solo i chierici-maschi.


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Dare un futuro alla svolta profetica di Francesco (Cittadella di Assisi, 24-27 agosto 2017 - 75° corso di studi cristiani):