Nel dicembre del 2018, un report della Commissione Europea, fece un’indagine per verificare la mobilità Europea del lavoro tra i 28 Paesi della Comunità , e con tabelle pubblicate da Eurostat, evidenziando come tra i 230 milioni di lavoratori occupati, di cui circa 200 milioni salariati, esiste una forte mobilità del lavoro in questi termini:
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Sono 9,5 milioni i lavoratori che risiedono da più di un anno in un Paese diverso da quello di cittadinanza;
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1,4 milioni di lavoratori, lavorano in un Paese diverso da quello di provenienza, muovendosi liberamente attraverso i confini;
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1,8 milioni di lavoratori sono “distaccati”, cioè inviati dalla propria aziende a lavorare in un altro Paese d’Europa per periodi discontinui… per un totale di 12,7 milioni di persone;
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Vi sono inoltre 9 milioni di occupati con cittadinanza esterna a quella dell’EU regolarizzati e divenuti cittadini Europei e diversi milioni non quantificabili di migranti irregolare.
Questi dati evidenziano come oltre il 10% della popolazione che lavora in Europa, sono di fatto Operai Europei di fatto non solo di nome… se aggiungiamo a questi anche alcuni milioni di lavoratori che lavorano in aziende Multinazionali provenienti dalla Cina, America, Usa, India (naturalmente non tutto stranieri) , vediamo che per decine di milioni di salariati la nazionalità di origine è superata a causa di uno sviluppo capitalistico globale … e per loro vale “il grido “ di Marx ed Engels i quali sostenevano già nel “Manifesto del 1848” “gli operai non hanno patria”.
Se consideriamo quanto sopra, diventa anacronistica la teoria dei sovranismi o del “Prima gli Italiani”… quindi in prospettiva non c’è alcun dubbio che aumenterà tra chi lavora, la coscienza di essere classe mondiale… ma anche se verrà meno il “fardello” nazionale… ne crescerà un altro : quello dell’imperialismo continentale su cui identificarsi, riconoscersi e difendersi.
In questo contesto quello che meno emerge o meno se ne parla, riguarda lo sfruttamento dei salariati … Ad esempio:
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molti lavoratori, provenienti dai Paesi dell’Est o da altri… distaccati in aziende locate in Paesi a alto reddito e diritti del lavoro soddisfacienti, sono sfruttati e lavorano per 10/12 ore al giorno, con bassi salari e condizioni d vita indecorose… ed in nome della “competitività” fa molto comodo anche ai padroni delle aziende che accolgano sfruttare i lavoratori dell’Est, gli Iberici, ecc… .
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molti lavoratori, qualificati nella propria nazione di origine , per carenza di forza lavoro, vengono richiesti dai Paesi Europei più tecnologicamente avanzati che per rispettare i limiti di legge imposti nei propri Paesi, li fano lavorare in modo precario alcuni mesi l’anno, 5/6, dopo rimpatriati per due mesi e riassunti successivamente, senza mai maturare i salari ed i diritti degli altri lavoratori locali…
Ora quello che realmente manca è anche un Sindacato Europeo che sia all’altezza di governare questi processi e difendere gli interessi della classe lavoratrice… Ricordo, come verso la fine degli anni 90, partecipai , in qualità di Segretario dei Chimici Toscana, ad un Convegno sulla Qualità della contrattazione in Europa, indetto a Dusseldorf (Germania) dalla CES (Confederazione dei Sindacati Europei) e quanto sia difficile passare dall’attuale situazione di sindacato consultivo, alla costruzione di un sindacato che abbia una reale capacità di contrattazione Europea… ma i diritti umani, quelli sociali, quelli economici… cioè la necessità di costruire un modello sociale con al centro il lavoro, Europeo, è sempre più urgente !
In Italia Poi, la consultazione elettorale Europea del 26/27 maggio, anziché essere un momento anche di confronto/scontro con i poteri “padronali”… è diventata l’occasione per un appello comune tra Confindustria e Sindacati per difendere “la democrazia e i Valori Europei” (sic)
Umberto Franchi
Lucca, 10 maggio 2019