La vicenda dell’ILVA di Taranto, mi ha fatto tornare alla mente la vertenza della FARMOPLANT di Massa Carrara . Azienda del gruppo Montedison produttrice di pesticidi e prodotti per la terra, che io seguivo nel 1987 in qualità di Segretario dei Chimici della CGIL Toscana.
Negli anni precedenti nell’azienda vi erano stati alcuni incidenti che avevano messo a rischio inquinamento il territorio circostante, la salute dei cittadini e in conseguenza ciò ,nacquero movimenti ambientalisti organizzati unitamente a gran parte della popolazione locale che ne chiedevano la chiusura. Fu fatto anche un referendum tra la popolazione ed il si alla chiusura raggiunse il 70%
Agli inizi del 1987, dopo una lunga e dura lotta per riconvertire le produzioni e rendere ecologicamente sicuro l’ambiente ed il lavoro, fu sottoscritto un accordo con la Montedison dove la medesima si impegnava a spendere 300 miliardi delle vecchie lire per riconvertire, innovare i processi, rendere sicuro il territorio. Dopo alcuni mesi dalla sottoscrizione dell’accordo che doveva entrare in vigore nel mese di settembre 1987, , nel mese di luglio 1987 , ci fu un grande scoppio , penso “creato ad arte” , che solo casualmente non fece delle vittime. A quel punto non fu più possibile governare la protesta delle popolazioni locali e fui io a fare l’assemblea ai 450 lavoratori per dire che non era più possibile sostenere l’apertura della Farmoplant e che andava chiusa. I lavoratori furono posti in mobilità e successivamente bonificato il territorio.
Non fu certo una vittoria delle popolazioni, o dei movimenti ambientalisti, ma della Montedison, che risparmiò 300 miliardi di investimenti ed essendo una multinazionale continuo a produrre i pesticidi “Rogor” in Messico dove non vi erano movimenti ambientalisti di protesta, continuando ad inquinare ed “uccidere” a causa dell’inquinamento.
Ora anche nel caso della ILVA di Taranto continuo a domandarmi e a domandare, se la strada giusta per risolvere i problemi del degrado ambientale e delle ricadute negative sulla salute di chi lavora e della popolazione, è quello della chiusura delle acciaierie, o se invece coloro che puntano alla chiusura dello stabilimento , lo fanno perché hanno sfiducia sulla possibilità di influire sulle scelte del Padron Riva e del governo, attraverso un ruolo attivo di contrattazione e di controllo, non soltanto dei lavoratori occupati, ma anche delle popolazioni locali. Ciò per incidere sulla qualità degli investimenti da effettuare alla fonte, sugli impianti e nel territorio, al fine di far cessare ogni forma di inquinamento e rischio per la salute.
A nessuno può sfuggire il fatto che l’industria siderurgica , resta un settore strategico portante per qualsiasi sistema economico e sociale. Ipotizzarne la chiusura può significare per il Nostro Paese un processo di deindustrializzazione senza vie alternative.
Non dimentichiamo che il massimo responsabile di ciò che sta accadendo all’ILVA di Taranto , è il titolare Riva, che dopo la privatizzazione ha fatto immensi profitti, ma non ha destinato le risorse necessarie per disinquinare e per investire e creare la tutela e sicurezza dei lavoratori e della popolazione di Taranto . Credo anche che i 336 milioni di Euro destinati dal governo alla bonifica , dovrebbero essere richiesti ai titolari dell’ILVA, e in caso di rifiuto l’azienda dovrebbe tornare ad essere pubblica “nazionalizzata”.
Ma la questione fondamentale oggi all’ILVA come in altre parti del nostro Paese, è quello di stabilire quale uso facciamo dell’industria siderurgica e chimica. Sapendo che essa può contribuire al degrado dell’ambiente ma può anche essere indirizzata (con investimenti di avanguardia) al risanamento ecologico del territorio ed ad una produzione salubre e sicura.
Oggi dobbiamo capire qual è la risposta da dare alla crescente e giusta domanda di prevenzione e tutela ecologica proveniente dal territorio. Dobbiamo permettere ad un padronato come quello che ha gestito l’ILVA , che tanto danno ha creato al territorio, di chiudere e di andarsene? Come è successo a suo tempo con Montedison e la chiusura della Farmoplant? O è invece necessario intervenire con la nostra capacità di proposta e di lotta affinché tutto l’apparato industriale siderurgico, non solo Taranto, ma presente in Italia, venga costantemente segnato da una scelta di campo a favore della sicurezza e salvaguardia ecologica ambientale ?
Io credo che lo sviluppo industriale ed occupazionale, non sia antagonista all’ambiente, ma lo è solo un suo uso distorto fondato sulla ricerca del massimo profitto e dei consumi incontrollati. Un uso che come è avvenuto a Taranto si fonda sulla rapina delle risorse naturali e sul degrado dell’ambiente, senza minimamente curarsi della salute di chi lavora e dei cittadini.
Allora termino il mio intervento dicendo che ancora una volta si pone con forza, la contrattazione degli investimenti tecnologici, dell’organizzazione del lavoro, (del come e per cosa si lavora).
E’ possibile sconfiggere un modo di produrre distruttivo e pericoloso ed è per questo che credo che tutti i movimenti ambientalisti, le popolazioni, unitamente ai lavoratori dipendenti dall’ILVA, dovrebbero rilanciare un impegno collettivo comune per ridisegnare il ruolo dell’ILVA e di tutte le acciaierie, per creare un sviluppo economico equilibrato compatibile con l’ecologia e con il sociale.
Lucca 14 agosto 2012
Umberto Franchi