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Un evento abbastanza straordinario, anzi unico, si è prodotto venerdì a Bologna nella grande biblioteca del convento di San Domenico, appena sufficiente a contenere le 500 persone, di ogni provenienza, che vi hanno preso parte. Tutti i partiti dell'attuale opposizione, dal Partito Democratico all'Italia dei Valori all'UDC a Rifondazione comunista a Sinistra e Libertà, rappresentati al massimo livello, hanno accettato e sostenuto il confronto con le analisi, le istanze, i rimproveri, le attese espressi dai Comitati Dossetti per la Costituzione, sul tema della difesa, dell'attuazione e dello sviluppo della Costituzione repubblicana.

Così come ai sensi dell'art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana è illegale la partecipazione italiana alla guerra afgana, sono illegali altresì le misure razziste, schiaviste e squadriste contenute nella legge 94/2009 (il cosiddetto "pacchetto sicurezza").
L'una e l'altra illegalità stanno provocando a innumerevoli persone inaudite sofferenze - e fin la morte di vittime innocenti.
È dovere di ogni cittadino contrastare il crimine, ed a maggior ragione il crimine che uccide.

Una rappresentanza del comitato promotore “Salviamo la Costituzione, aggiornarla non demolirla” si è recata nei giorni scorsi all’ufficio centrale del referendum della Corte di Cassazione per depositare la richiesta di referendum previsto dall’art. 138 della Costituzione.

Si avvia così l’iter formale della raccolta di almeno 500.000 firme di cittadini per dire No alla riforma della Parte II della Costituzione votata dalla Casa delle Libertà.

I tre mesi di tempo per la raccolta delle firme sono scattati il 18 novembre 2005, giorno in cui il testo della legge costituzionale è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Primo firmatario dell’iniziativa è l’ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Erano presenti, per le tre associazioni promotrici, Franco Bassanini (Astrid), Sandra Bonsanti (Libertà e Giustizia) e Maurizio Serofilli (Comitati Dossetti per la Costituzione), i presidenti emeriti della Corte costituzionale Leopoldo Elia e Mauro Ferri e alcuni costituzionalisti del comitato scientifico del Coordinamento.

Del comitato promotore fanno parte tra gli altri Vannino Chiti (DS), Dario Franceschini e Rosy Bindi (Margherita), Marco Boato (Verdi), Graziella Mascia (PRC), Antonio Di Pietro (Italia dei Valori), Paolo Nerozzi (CGIL), Natalino Stringhini (ACLI), Paolo Beni (ARCI), Raimondo Ricci (ANPI), Italo Bono (Cittadini per l’Ulivo), Teresa Petrangolini (Cittadinanza Attiva) e Giovanni Bachelet, tesoriere del Coordinamento nazionale.

Al comitato promotore nazionale aderiscono i rappresentanti dei comitati locali in difesa della Costituzione per il No alla riforma costituzionale già sorti in tutta Italia.

Noi sottoscritti esprimiamo la nostra profonda inquietudine per la situazione del paese, come è mostrata dal risultato elettorale di aprile, e come si presenta in questi giorni.

La divisione in cui si e' venuto a trovare il paese e' artificiale e non corrisponde alla ricchezza e varietà di posizioni politiche, culturali, ideali che in esso esistono.

Il 25-26 giugno si deve votare per cancellare gravissime modifiche della Costituzione, approvate a colpi di maggioranza dalle destre e per salvare la Costituzione antifascista, ma dovremo farlo contro tutte le televisioni, che sono in mano alla destra e non garantiscono una corretta informazione.

Dunque avremo grandi difficoltà a raggiungere, con i nostri argomenti, grandissime masse popolari.

Che, a loro volta, saranno bersaglio di una massiccia campagna di disinformazione e di demolizione dei valori democratici, costruita sulla menzogna, sull'ignoranza e sulla manipolazione.

La campagna elettorale appena conclusa e' lì a dimostrarci che una tale operazione può avere successo. Basterebbero pochi voti per privarci dei valori della convivenza civile scritti nella Costituzione, e per dare alla destra l'occasione di una rivincita di tali proporzioni da mettere a repentaglio, addirittura, la prosecuzione del governo di centrosinistra appena - si spera - insediato.

Per questo lanciamo l'allarme:

1) Perche' l'Italia democratica non si culli nella falsa idea che la vittoria sia già acquisita.

2) Perché non si perda tempo e si mobilitino tutte le forze a disposizione per una battaglia che sarà decisiva per il destino del paese.

3) Perché ci si organizzi in una grande iniziativa popolare che costringa all'onesta' le televisioni pubbliche e private, e le sottoponga a un vasto controllo democratico e popolare.

4) Perché, contro e a dispetto delle menzogne che comunque rischiamo di sentire dalle televisioni, tutti si mobilitino per raccogliere il consenso dei milioni di cittadini che credono nella democrazia.

Per discutere, insieme, sui modi, i mezzi, le forme di questa mobilitazione, vi invitiamo a partecipare a un incontro nazionale, a Roma il 7 maggio mattina (in luogo che sarà comunicato successivamente), in vista di una grande manifestazione nazionale democratica e antifascista da convocare per il 2 giugno, in piazza San Giovanni.

Confidiamo nel sostegno a questo appello, nella sua larga diffusione, nella vostra partecipazione in quest'ora grave per l'Italia. L'esito di questa crisi, che non ha precedenti nella storia repubblicana, dipende da ciascuno di noi.

Primi firmatari: Giulietto Chiesa, Tana De Zulueta, Sabina Guzzanti, Raniero La Valle, Roberto Natale, Diego Novelli, Achille Occhetto, Franco Ottaviano, Lidia Ravera, Roberto Seghetti, Edoardo Schiazza, Francesco Sylos Labini, Marco Travaglio, Elio Veltri.

Ceccanti Stefano, autore dell'articolo, già presidente della Federazione universitari cattolici (Fuci), è docente di diritto costituzionale all’Università di Bologna.

Poco prima delle elezioni regionali, il centrodestra ha approvato in prima lettura la riforma che stravolge una buona parte della Costituzione. Gravissimi gli effetti.
La contrarietà alla riforma costituzionale deve essere ferma, senza mai scivolare nella propaganda: la materia è così importante che esige serietà. Per questo è doveroso dire che non sappiamo con certezza se e quanto l’approvazione da parte del Senato in campagna elettorale della riforma costituzionale sotto il diktat della Lega abbia davvero influenzato il voto regionale. È lecito nutrire qualche dubbio su questa analisi: se avesse inciso il timore per la devolution avremmo avuto cambiamenti marcati solo a Sud, ma qui invece è in tutto il paese che si è verificato un ingente spostamento, compresi la Lombardia e il Veneto, dove pure non è stato sufficiente per la vittoria elettorale del centrosinistra. Credo però che non si possa escludere che abbia giocato non tanto una preoccupazione per qualche specifico contenuto (la devolution, il premierato), quanto piuttosto la sensazione di una maggioranza arrogante, non disposta ad ascoltare su un tema che richiede consensi larghi. Il paese domanda competizione chiara su programmi alternativi, ma richiede forse anche limitate forme di consenso, almeno sulle regole della competizione stessa. Per questo è importante sottolineare una diversità di metodo ancor prima di quella di contenuto: quella riforma va bocciata in primo luogo perché riscrive per intero un impianto complessivo in modo unilaterale.