Ammetto, questo pensierino è un po' lungo, apposta quindi per spaventare ancor più l'eventuale amico lettore aggiungo che è anche profondo tanto da far paura.
Il 15 settembre 2014 sono andato a Pisa alla presentazione del libro “Mal di Lavoro”, edizioni Sensibili alle foglie, al Circolo Battichiodi, in via Battichiodi. Con un nome così non posso sfuggire alla digressione, il Rogèr, che le ama, ne godrà. In quella via non dovevano aver molto da fare, evidentemente il commercio e gli artigiani erano in crisi, perché questo vuol dire battere chiodo. Invero ricordo di più il gioco delle feste di paese. Io sono anche un po’ piastrino, da ragazzo andavo ogni anno alla festa di San Biagio, a Pietrasanta, lì c’era il gioco del battichiodo, si trattava di battere un chiodo col martello per infilarlo su un travetto di legno, lo si doveva fare in 2 colpi, o tre. Il chiodo era un bel chiodo, di circa 8 cm, mi pare. Tra noi di Marzocchino- Ripa-Querceta c’era un campione, ci stava tutto il giorno, e accumulava premi fatti di bottiglie, ed anche salami e prosciutti, che poi si mangiava e beveva tutti assieme. Non mi ricordo il nome, mi ricordo il mestiere. Faceva l’incassatore! Che mestiere è?, chiederete. Non era legato alla finanza come sembrerebbe, ma era di ben più alta professionalità, in pratica incassava le marmette nelle casse di legno, fatte a tavolette, che lui inchiodava 8 ore al giorno. Sarà stato forte al battichiodo?!
A presentare il libro c’era l’autore, un sociologo del lavoro che non è però un professore, anche se può vantare di aver creato con altri la facoltà di sociologia di Trento. Ora da più di 20 anni fa socioanalisi del lavoro direttamente con i lavoratori stessi, una cosa un po’ strana, forse d’altri tempi, non mi pare infatti che usi più tanto. Tempi forse in cui esisteva ancora il capitalismo industriale. Non essendo un cattedratico è ovvio che il luogo della riunione non potesse essere un’aula universitaria, anche se si era a Pisa, ma più propriamente, di sicuro apposta, in considerazione della disoccupazione dilagante, è stato scelto un luogo dove appunto non si batte chiodo.
Questo sociologo così “efferato” in socio-analisi narrativa del lavoro, che non ho capito ancora bene cosa sia, se non per intuito, un modo positivo di stare assieme, non è un nome di richiamo che appare sui giornali, si chiama Renato Curcio.
Io l’ho conosciuto a Forno alcuni anni fa. Ancora a controprova della mia strategia della conoscenza che mi impone di non lasciare il paese, tanto son sicuro che tutti prima o poi passano da lì. Io devo solo aspettare. E se non ci passano peggio per loro. Ma questo è un altro discorso.
Da quell’incontro abbiamo preso l’abitudine di scambiarci i libri che scriviamo, e gli avevo quindi mandato il mio “Palla”. Lui l’aveva già letto e mi aveva scritto tanti complimenti. E’ un tipo tosto, di quelli che non si complimentano solo perché sono amici o conoscenti. Se ha qualcosa di negativo da dire lo dice nel muso, senza preoccupazioni o remore. I complimenti quando vengono da persone così sono sinceri, e quindi benvenuti. Non potevo non usargli la cortesia di andare ad ascoltarlo per una sua presentazione, tanto più che avveniva a Pisa, non tanto lontano dal mio stato.
Quando mi ha visto si è messo di nuovo subito a spiegarmi le grandi qualità del mio libro, lui a me! Non è che lo sia stato molto a sentire perché non è un esperto del tema, ed ha l’umiltà di dirlo, e non tutti lo fanno quando si sbragano nei commenti, però devo dire che del libro mio ha sicuramente percepito i dettami più giusti. Per avere contezza delle qualità della mia ricerca ero del resto già forte del giudizio di altri amici ben più esperti del settore, i quali me ne avevano confermato la bontà, proprio segnalando gli stessi suoi punti di analisi.
Comunque dove primeggia è nella socioanalisi del lavoro, un vero e proprio maestro, del cui sapere ho goduto.
Ha iniziato facendo una breve disamina storica del concetto di lavoro, partendo un po’ da lontano, dalla Bibbia, e su, su venendo sino alla nostra epoca. Quello che più mi ha colpito è che parlando del lavoro ha sempre rimarcato, e mai dimenticato, che la riflessione verteva sul lavoro nella società capitalistica, facendo sempre intuire che di lavori ne possono esistere anche di altri tipi, o almeno che lo possiamo sognare, o comunque sperare. E questa fiducia non è cosa da poco, comunque cosa che si avverte, che ti prende.
Tre concetti mi hanno attirato in maniera profonda.
Il primo quando ha spiegato che tutto il blaterare rispetto al lavoro ed alla vita, sui media e da parte dei grandi maître à penser della nostra epoca, sulla società liquida o fluida, su quella flessibile, su quella precaria, sull’incertezza e la insicurezza, sull’abolizione dei diritti del lavoro, sull’articolo 18, etc, etc., un blaterare che rappresenta ormai immensi fiumi e mari di parole, declinato al livello del corpo di un uomo, lavoratore o non lavoratore, che è l’unico livello che a lui ed a noi dovrebbe interessare, si può tradurre semplicemente in una parola: ansia.
Male terribile e invincibile che disastra completamente la coscienza individuale e collettiva.
E che questo semplicemente l’ha scoperto, o meglio analizzato, a contatto diretto con i lavoratori e i disoccupati e le loro famiglie.
Non mi sembra davvero una riflessione da poco.
Il secondo concetto è l’aver spiegato e dimostrato che il mondo del lavoro è ormai entrato in una fase di “sospensione del diritto”. Mi è stato davvero facile trasportare questo assunto in ogni altro ambito della nostra vita sociale, oltre il lavoro, nella politica, nell’economia, nella finanza, negli affari, nella cultura, nell’ambiente, etc. La sospensione del diritto prelude chiaramente infatti alla sua eliminazione, e quindi all’assenza del diritto. Ma prelude anche ad un mondo che finora ancora non abbiamo mai immaginato, nemmeno nelle letterature più fantastiche, anche se qualcuna lo ha avvicinato. Oggi si prefigurano controlli sul lavoro non più difeso da alcun diritto (e da lì poi chiaramente nella società) che daranno la situazione in tempo reale dei movimenti del lavoratore, il controllo del suo tempo, dei suoi atti. Altro che Grande Fratello! Dispositivi già in uso in alcune aziende americane, come semplici tessere magnetiche personali, permettono infatti di sapere quanto un dipendente è stato al gabinetto, e di multarlo se ha superato il tempo consentito. E via dicendo…
Infine l’ultimo concetto ha riguardato il prefigurare cosa ci rimarrà da fare, a noi poveri abitanti del pianeta. Non ha rivendicato rivoluzioni sociali, ma solo una prospettiva culturale, che a me sembra gran cosa. Ha infatti avvertito che l’unica cosa che ci potrà consolare sono le narrazioni, meglio se individuali. Perché questa capacità di narrare la vita, che è l’unica vita che ci resterà, lui l’ha ritrovata nei singoli, quelli che ha contattato.
Se sto a dire che a Pisa il 15 settembre 2014 ho imparato qualcosa da Curcio, qualcuno magari anche mi criticherà, ma ciò avverrà perché quel qualcuno non conosce i miei veri unici maestri, che sono davvero gli ultimi della terra. Abitano o abitavano tutti in un buco di culo del mondo, che ha nome Forno. Ma non vi si cuoce nessuno, e non è un inferno.